vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il concetto di Fortuna in Dante, Boccaccio, Ariosto,
Machiavelli e Guicciardini
La fortuna, la quale indica il destino, è stata discussione di molti poeti.
Dante Alighieri, nella Commedia, attribuisce alla fortuna un significato
religioso: essa corrisponde all'intelligenza divina e provvidenziale. Tale tipo di
fortuna è al di sopra delle capacità interpretative dei mortali, dunque
imperscrutabile e non comprensibile dall'uomo.
Giovanni Boccaccio concepisce la fortuna in termini laici. Anche se gli
uomini sono guidati dall'intelligenza (quella che per Boccaccio è la
principale virtù dell'uomo) devono affrontare la fortuna, cioè un insieme di
coincidenze e fatti imprevedibili che agiscono in determinate circostanze.
Ciò può essere riscontrato, ad esempio, nella Novella Quarta della Seconda
Giornata del Decameron: «Landolfo Rufolo, impoverito, divien corsale e da'
Genovesi preso, rompe in mare, e sopra una cassetta, di gioie carissime
piena, scampa, e in Gurfo ricevuto da una femina, ricco si torna a casa
sua.». In tale novella Landolfo Rufolo deve affrontare un “vento tempestoso”
il quale corrisponde ad un evento imprevedibile, un fatto casuale. Inoltre,
sempre in questa novella, il tema della fortuna si fonde con La virtù
dell'uomo, l'intelligenza.
Per Ludovico Ariosto la fortuna corrisponde al caso. Esso assume un
significato laico il quale corrisponde ad eventi ed atti del tutto casuali. Infatti
nell'Orlando Furioso, i personaggi sono costantemente soggetti al caso, al
quale non possono opporsi in alcun modo. L'Ariosto non ha però nessuna
concezione provvidenzialistica della Storia.
Niccolò Machiavelli molto si sofferma sul tema della fortuna; dedica infatti il
capitolo XXV de Il Principe a Virtù e fortuna. La fortuna può essere
considerata secondo una concezione laica e terrena: essa corrisponde a
fatti terreni, i quali se utilizzati adeguatamente (sfruttando l'occasione)
costituiranno la virtù. Machiavelli, per chiarire la possibilità dell'uomo di agire
nel corso della Storia, afferma che la virtù costituisce metà della vita
dell'uomo, e l'altra metà è costituita dal libero arbitrio. Sempre nel capitolo
XXV utilizza due similitudini per meglio chiarire tale concetto. La prima: «E
assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che, quando s'adirano,
allagano e piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lievano da questa parte
terreno, pongono da quell'altra: ciascuno fugge loro dinnanzi, ognuno cede