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Ubaldini per Petrarca e a quelle dei Canti Leopardiani ad opera di Moroncini.
Isella afferma che sarebbe giunto il tempo che qualcuno prenda l’iniziativa di storicizzare il lavoro
compiuto, che ne ripercorra i tempi e i fatti individuandone le direzioni su cui ci si è mossi fin qui e
riconoscendo il carattere specifico della scuola italiana in rapporto alle posizioni teoriche e alle iniziative di
altri paesi (Germania, Francia e Spagna).
Ci informa poi che la scuola pavese è stato uno dei centri più vivi e fecondi della filologia d’autore. E che nel
suo discorso del 1952 di inaugurazione della cattedra di Letteratura Italiana all’università di Pavia, Caretti
notò che era giunto il tempo di distinguere “l’apparato classico e ormai tradizionale di ogni testo critico da
quello destinato ad accogliere “le correzioni o varianti alternative” dello scrittore”.
Un problema che oggi la filologia d’autore deve affrontare, consiste nella necessità di omologare tutto
quanto si lascia ricondurre a una casistica comune, evitando sul piano della formalizzazione degli apparati le
innovazioni gratuite. La quantità e la varietà dei casi già affrontati hanno consentito di elaborare modelli e
criteri ecdotici che possono essere perfettamente utilizzati senza inventare soluzioni diverse, nuove e
collaudate ogni volta. Occorre stabilire norme comuni come nel campo della filologia classica.
2. GLI APPARATI GADDIANI – PAOLA ITALIA-
GADDA E LA FILOLOGIA D’AUTORE: se nell’ ‘800 l’ “officina” della filologia d’autore dei testi in prosa ha
avuto in Verga il principale banco di prova, nel ‘900 l’ecdotica genetica si è cimentata soprattutto su Gadda.
È un autore particolarmente congeniale al filologo per tre motivi:
1. Gadda è stato protagonista di una delle più complicate storie editoriali del secolo: infatti solo il successo
Pasticciaccio
del ha permesso la stampa di testi che erano stati pensati e scritti in decenni precedenti.
2. La sua scrittura raggiunge la perfezione,
3. Gadda conserva tutto, dai compiti delle elementari al conto della spesa, dai progetti narrativi ai romanzi
inediti, dai suoi appunti agli esercizi di inglese o tedesco. Non tutto questo materiale è giunto fino a noi.
Questa prassi conservativa si riflette anche nella scrittura. Gadda, infatti, anche sulla pagina non butta via
nulla e non solo nella riutilizzazione dei suoi testi, ma proprio all’atto della scrittura.
La genesi del testo gaddiano non procede per ‘sostituzione’ come per Verga (la cui prassi correttoria
consiste nella cassatura di interi brani che vengono riscritti), ma si evolve per ‘instaurazione’, per aggiunta
di singoli elementi testuali che concrescono su un nucleo originario.
Nell’arco di poco più di un decennio (1983-1995), sono state pubblicate edizioni critiche fondamentali, sia
per la conoscenza dell’opera di Gadda che per la filologia d’autore, e sono stati approntati strumenti
sempre più raffinati per risolvere i problemi presentati dalla sua scrittura. Dante Isella è stato uno dei
promotori della filologia d’autore e il principale editore di Gadda. Nel 1983 esce a sua cura da Einaudi il
“Racconto italiano di ignoto del Novecento”, uno dei principali testi inediti gaddiani: 253 pagine di testo, 80
di apparato. Questa edizione utilizza il triplice filtro di separazione tra apparato genetico, postille e varianti
alternative. Con “postille” vengono definite le “osservazioni, scritte un po’ dovunque, con le quali Gadda è
solito postillare il già fatto o il da farsi: espressioni di scontento o di soddisfazione, avvertimenti o consigli
su sé stesso e collegamento tra diversi luoghi. Essendo postille al testo, sarebbero da vedere idealmente ai
suoi margini, ma per esigenze tipografiche sono raccolte in un regesto finale. il lettore interessato viene
informato da un segno convenzionale posto nel margine di pagina. Le “varianti alternative” sono invece
lezioni concorrenti tra le quali l’autore non sa decidersi, vengono registrate a piè di pagina e contrassegnate
da un esponente alfabetico (in quanto quello numerico è utilizzato per le note d’autore presenti nel testo).
Dunque, le postille appaiono prima dell’Apparato critico vero e proprio e sono da esso separate, le varianti
alternative si trovano a piè di pagina, nello stesso corpo tipografico del testo.
Il sistema è semplice, ma funziona bene per la prosa gaddiana, dal momento che si tratta di una prosa in cui
il momento creativo-narrativo spesso convive con quello riflessivo. Per quanto riguarda il tipo di apparato
utilizzato da Isella, esso riprende un tipo di apparato “parlato”, che utilizza abbreviazioni e segni diacritici
che permettono di descrivere il percorso testuale e di darne una puntale rappresentazione topografica.
Tale sistema ha mostrato la propria validità anche per altre edizioni. Un discorso a parte andrebbe fatto
Poesie
per le di Gadda, pubblicate nel 1993 da Terzoli. L’edizione riporta in apparato solo “l’ultima fase
reperibile in ogni testimone”. Nei “Discorsi milanesi”, il rapporto testo-apparato è decisamente più
sbilanciato a favore di quest’ultimo (103 pagine contro 244), ma in questo caso si tratta di tutte le stesure
dei due racconti, tre per ciascuno, seguire dal relativo apparato genetico, più dagli apparati del “Fulmine sul
220”, le cui differenti stesure spesso arricchiscono l’opera. Il “San Giorgio in casa Brocchi” può essere
considerato un unicum filologico: di questo testo, infatti, possediamo tutte le fasi di stesura, dal primo
abbozzo alle bozze (prime e seconde), all’edizione in rivista,a quelle in volume. Il curatore Giorgio Pinotti è
riuscito a rappresentare le discrepanze tra l’ultima fase manoscritta, le bozze e le edizioni a stampa in un
unico apparato ripartito in due fasce, dove la prima dà conto dell’evoluzione del manoscritto alle stampe,
mentre la seconda offre le correzioni interne all’ultima fase manoscritta.
FENOMENOLOGIA DEI MANOSCRITTI GADDIANI: INCHIOSTRI E GRAFIE: I manoscritti di Gadda hanno tutti
un’aria di famiglia: vi sono cioè alcune costanti scrittorie che ci permetterebbero di riconoscere un testo
gaddiano basandoci solo sulle abitudini correttorie, indipendentemente dalla grafia. Per esemplificare Italia
utilizza il racconto “La chiesa antica”, che costituisce la prima parte di “Polemiche e pace nel direttissimo”,
ultima sezione del “Castello di Udine”. Le sue testimonianze manoscritte sono contenute nello stesso
quaderno che si apre con la terza fase dell’ “Incendio di via Keplero” : alle pagine 29-32 si legge un primo
abbozzo del testo [A], alle pagine 56-71 la successiva stesura manoscritta [B], molto vicina alla stampa in
rivista (“L’Italia letteraria”). Gadda scrive inizialmente un primo abbozzo che può essere un testo
narrativamente anche molto più ambizioso di quello finale oppure una semplice frase guida.
Successivamente lo ricopia, in quella che inizialmente considera una “copia in pulito”, e che poi subisce
tante e tali correzioni da diventare fatalmente un’altra copia di lavoro, da copiare di nuovo, muovendo
gradualmente verso la forma definitiva. Nel ricopiare interviene spesso sul testo originario. A questo
impianto compositivo si aggiungono anche numerose ‘variazioni sul tema’(dall’aggiunta di fogli a richiami
all’interno dello stesso quaderno o tra quaderni diversi ).
Di fronte al manoscritto gaddiano, il primo elemento certo per identificare diverse fasi di stesura, è
costituito dall’inchiostro e, in misura più ristretta, dalla grafia. Il testo è infatti genericamente scritto a
penna, il lapis invece viene utilizzato per singoli brani, immediatamente riscritti a penna, o per cassare
intere pagine che sono state rifatte in altra sede e dichiararle così superate. Ai fregi di cassatura si
aggiungono spesso le scritte rifatto o esaurito oppure fatto. Gadda, inoltre, tende a ritornare sul testo con il
lapis o con matite di vari colori, in fasi più tarde, per apporvi piccole correzioni, commenti o ritocchi finali. I
colori delle matite,però, non distinguono mai il tipo di interventi ( ad esempio a pg. 64 dell’autografo la
matita nera è usata per una postilla, a pag 65 per un aggiunta interlineare). L’alternanza penna/matita ci
offre indicazioni sulla seriazione delle varianti. Nella fase B della “Chiesa antica”, ad esempio, il testo è
scritto a penna nera; nella correzioni si distinguono, oltre a quelle effettuate a penna, altre quattro fasi di
intervento: matita nera chiara [A], matita bleu [C] matita nera scura [C], matita nero-viola [D]. il testo
corretto in matita talvolta può essere corretto nuovamente a penna. Riassumendo, dunque, per la fase B
della “Chiesa antica” possiamo contare sei revisioni. La grafia, invece, non subisce sostanziali variazioni. Il
momento di copiatura, infatti, convive con quello creativo e le grafie corrispondenti all’uno o all’altro
possono appartenere a un medesimo momento cronologico.
FORMALIZZAZIONE DELL’APPARATO: L’apparato è volto a tradurre l’oscurità del manoscritto in segni
chiari. Per quanto riguarda i manoscritti gaddiani, non è possibile utilizzare esponenti numerici, perché nel
procedere della scrittura non è possibile affermare che 1 corregge in 2 corregge in 3. Ma, al contrario, le
correzioni sono così numerose e frammentarie che i numeri finirebbero per susseguirsi incessantemente
fino a trasformare la pagina dell’apparato in qualcosa di simile alle equazioni. L’uso di numeri è invece
praticabile quando ci si trova di fronte a interi passi riscritti, che vengono così dati in sequenza negli
apparati gaddiani sono stati utilizzati soprattutto esponenti alfabetici.
nella catalogazione delle varianti, l’unico elemento certo è costituito dalla distinzione tra correzioni
immediate e tardive. A tale distinzione si giunge dall’analisi del tipo di inchiostro o dalla tipografia. La
fenomenologia delle varianti tardive è molto varia: si va da correzioni soprascritte o sottoscritte, a lezioni
cassate in rigo o a parole, sintagmi o intere frasi, inserite in interlinea o il altro spazio a disposizione e
nuovamente corrette al loro interno.
Posto che si riescano a distinguere le varianti immediate da quelle tardive, e queste dagli interventi
effettuati sul testo con penne o matite diverse, sarebbe utile differenziare anche graficamente queste
stratificazioni. I tentavi fatti sui manoscritti gaddiani però si sono rivelati insoddisfacenti. la separazione
delle varianti in fasce costringe il lett