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CARATTERI DISTINTIVI E COMUNI TRA BUONA FEDE IN SENSO
OGGETTIVO E BUONA FEDE IN SENSO SOGGETTIVO: differenti sia nella natura
che nella funzione, da un lato la buona fede soggettiva fa riferimento ad uno stato
intellettivo, cioè ad una situazione storica, svolgendo una funzione descrittiva dello
stato intellettivo successivamente al suo verificarsi, dall'altro lato, la buona fede
oggettiva fa riferimento ad un”modello sociale di comportamento” ricavabili da
valutazione di ordine giuridico, economico e sociale, al quale il soggetto deve attenersi.
25 Così MENGONI, Gli acquisti «a non domino»,Milano, 1968, 303 ss
26 Sembra rimanere al di fuori della categoria della buona fede soggettiva l'ipotesi del «dubbio», rilevandosi al
proposito delle difficoltà di ordine sostanziale e metodologico nell'inserire questo stato intellettivo nel modello
, MILANO
operativo della buona fede: in argomento cfr. SACCO, La presunzione di buona fede
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La funzione di buona fede oggettiva,quindi, è di ordine “percettivo”, ponendo un
obbligo di buona fede, cioè un obbligo di comportarsi secondo buona fede, si
concretizza in uno specifico obbligo giuridico mediante un processo di oggettivazione.
Si può, quindi, affermare riguardo la distinzione tra buona fede in senso oggettivo e
buona fede in senso soggettivo, che la prima presenta una natura “precettiva”, ponendo
l'obbligo di comportarsi secondo un modello socialmente apprezzabile, e la seconda, la
buona fede in senso soggettivo, ha una natura “descrittiva” di una situazione storica, è
di conseguenza uno strumento giuridico diretto all'esame di un “fatto” identificabile.
Mentre la buona fede soggettiva ha come proprio referente una situazione storica
preesistente, la buona fede oggettiva ha come referente un modello di condotta
socialmente apprezzabile, che essa stessa mira a far rispettare conferendogli un
carattere obbligatorio. Sotto il profilo strutturale, mentre la buona fede soggettiva
agisce nell'ordinamento giuridico in quanto parte integrante di una fattispecie
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normativa, la buona fede oggettiva si pone quale vera e propria clausola generale ,
cioè come dato normativo fondante un dovere giuridico di natura generale ma idoneo a
concretizzarsi in relazione al caso concreto in cui si pone. Per quanto rigurda i caratteri
comuni alla buona fede in senso oggettivo e la buona fede in senso soggettivo, l'identità
del nome ha spinto la dottrina a verificare la sussistenza o meno di elementi comuni tra
le due categorie, al fine di stabilire se la buona fede soggettiva ed oggettiva abbiano
una comune matrice. Se sotto il profilo storico esse sembrano svilupparsi
autonomamente, ciò che maggiormente rileva ai fini della presente ricerca è la
eventuale identità, o connessione, di elementi propri dell'una e dell'altra figura, tali da
influire sulla loro struttura ed efficacia. Un primo problema sull'eventuale identità o
«vicinanza» delle due figure di buona fede nasce con riferimento alla rilevanza
28
dell'etica . Si è sostenuto più volte che la buona fede, sia nella sua accezione oggettiva
27 Cfr. A.BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, TORINO,
pag.206 e ss.
con
28 particolare riferimento alla buona fede oggettiva, ma con un ragionamento estensibile anche alla buona fede
soggettiva, viene fatto notare da BIANCA,Diritto civile, I, la norma giuridica - le persone, Milano, 2002, 15, come
la buona fede attiene a una norma giuridica (avente il carattere di eteronomia) distinguendosi quindi dalla norma
morale
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che in quella soggettiva, abbia un fondamento etico. Si tratta, quindi, di verificare non
tanto se il dato etico possa avere influito sulle origini dell'uno o dell'altro tipo di buona
fede o di entrambi, bensì se l'etica agisca come elemento necessario nella struttura o nel
sistema funzionale delle due figure di buona fede. La concezione unitaria della buona
fede è stata sostenuta in dottrina, individuando come elemento unificante tra le figure
di buona fede soggettiva e la buona fede oggettiva, l'agire leale e onesto. Questa tesi,
che sembra richiamare come dato unico unitario il concetto di correttezza non ha
trovato accoglimento nel nostro ordinamento nè in giurisprudenza, ove la distinzione
tra buona fede oggettiva e buona fede soggettiva non appare in discussione, né nella
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dottrina che, per lo più, si è indirizzata verso una netta distinzione tra le due figure .
1.4 Buna fede come clausola generale di diritto .- Il tema delle clausole
generali è da sempre oggetto i importante dibattito dottrinale e giurisprudenziale
nell'esperienza dei vari ordinamenti continentali. Infatti, nel corso dei secoli, il ruolo
giuridico e la funzione sociale attribuiti alle clausole generali sono mutati nel tempo e
si sono ampliati e sviluppati in relazione alle sempre nuove esigenze del diritto.Sono
anche dette norme in bianco, per la loro espressione generica, vaga, il che perette al
giudice di interpretare i principi sottesi al diritto in chiave evolutiva. Queste permettono
29 SACCO, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, TORINO, 1949, 6 ss.
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all'ordinamento di evolvere e di adeguarsi alle esigenze della società. Grazie all'utilizzo
di tali strumenti tecnico-concettuali è possibile attuare un raccordo, ovvero un
contemperamento, tra norma positiva e valori etico-sociali; infatti, grazie alla natura
elastica delle clausole generali tali valori ispirano direttamente determinati modelli
giuridici, permanentemente recepito nel sistema normativo. Costituiscono i principi
generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui le parti di un rapporto
obbligatorio devono comportarsi secondo le regole della correttezza e che tanto la
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formazione quanto l'interpretazione e soprattutto l'esecuzione dei contratti, devono
avvenire secondo buona fede. Nelle intenzioni del legislatore, i principi della buona
fede e della correttezza erano intesi come “ requisiti etici della condotta delle parti di
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ogni rapporto obbligatorio ” La clausola generale è diretta a operare nell'ambito di un
singolo settore dell'ordinamento, caratterizzato da interessi, per così dire, «tipici»; ed è
proprio per questo motivo che la buona fede oggettiva, operando nell'ambito delle
vicende contrattuali ove gli interessi tutelati sono quelli riconducibili al contratto, è da
qualificare come clausola generale e non come principio generale il quale, invece, è
diretto a operare nell'ambito dell'intero ordinamento giuridico, non solo nel settore
privatistico e non solo, a maggior ragione, con riguardo alla figura contrattuale Nel
codice civile, risalente al periodo della seconda guerra mondiale, sono state introdotte
numerose clausole di buona fede, le quali rientrano, com'è noto nella categoria delle
cosiddette clausole generali. L'utilizzo di tali concetti da parte de legislatore viene
usualmente ricondotta all'esigenza di garantire una certa flessibilità dell'ordinamento
giuridico in una duplice direzione: onde consentire una maggiore adattabilità di esso
alle circostanze concrete del caso da decidere di volta in volta: onde consentire allo
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stesso di mantenersi “attuale” nonostante il passare del tempo. Le clausole generali,
consento infatti all'interprete di modellare le soluzioni alla sensibilità giuridica del
30 Con riferimento al principio generale della buona fede: “Dall'enunciato dell'art.1375 c.c risulta
inequivocabilmente che la norma esprime un precetto circa la condotta dei contraenti nella esecuzione del
contratto”, A.ANGELO, il principio generale di buona fede e la disciplina del contratto, TORINO
31 Cfr in questi termini, Cass. 111 febbraio 2005, n.2855, in Giur,it,2005, 10, 1810
32 Cfr. sul punto ROSELLI, il controllo della Cassazione civile sull'uso delle clausole generali, NAPOLI,1983,144
ss,
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momento, costituendo uno strumento utile per l'adeguamento e l'integrazione del diritto
positivo. Anche la nozione di buona fede è, dunque, fatalmente destinata ad essere
integrata dalla giurisprudenza, in sede interpretativa, mediante puntualizzazioni di
dettaglio che, come le tessere di un mosaico, vagono a definite meglio i contorni di tale
generale precetto. Nella applicazione pratica, le clausole generali di correttezza e di
buona fede forniscono, i criteri di ordinamento teleologico della condotta nelle
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relazioni di diritto privato, consegnando all'interprete l'idea di autonomi obblighi . In
tale contesto, la Suprema Corte ha progressivamente iniziato a valorizzare il precetto di
buona fede, rinvenendone il fondamento nel più generale dovere di solidarietà tra i
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consociati ed attribuendogli il valore di un vero e proprio dovere giuridico.
1.5 Buona fede come “articolazione del principio primario di solidarietà
costituzionale - Il principio di buona fede in senso oggettivo si riporta all'idea di
fondo della solidarietà la quale, a suo volta, può definirsi, con specifico riferimento alle
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parti del contratto come solidarietà contrattuale : “Il richiamo al principio
33 CRISCUOLO, equità e buona fede come fonti i integrazione del contratto potere di adeguamento delle
prestazioni contrattuali da parte dell'arbitro( o del giudice) di equità. Riv. Arbitrato, 1999,1,74.
34 Cfr. Cass.18 febbraio 1986, n960, “la buona fede, intesa in senso etico, come requisito della condotta,
costituisce uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni e forma oggetto di un vero e proprio dovere
giudico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare
pregiudizio all'altro, ma anche il comportamento da esso tenuto non sia stato, comunque, improntato alla
diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale, che integrano, appunto, il contenuto della buona fede.
35 Cosi BIANCA, Diritto civile, il contratto, Cit, 477.
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costituzionale di solidarietà sociale e, più specificamente, a quello di buona fede che ne
costituisce espressione, impronta la disciplina privatistica in materia di rapporti tra i
contraenti, sia nella fase preparatoria, e soprattutto per quel che nella specie rileva, e
36
art.1374, in quella dell'esecuzione del negozio”. La buona fede diviene cosi
“articolazione del principio primario di solidarietà costituzionale che concorre “ alla
conformazione di tale regolamentazione in senso ampliativo restrittivo, rispetto alla
fisionomia apparente, per modo che l'ossequio alla legalità formale non si traduca in
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sacrificio