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LA COMEDIA DELLE NINFE FIORENTINE 1341
Con quest’opera, conosciuta anche come Ninfale d’Ameto, Boccaccio mostra di fare proprie
alcune direttrici formali che dominano la letteratura toscana del periodo.
L’Ameto è un prosimetro, cioè un misto di prosa e poesia, e annovera antecedenti in Boezio e
nella Vita Nuova di Dante. Innanzitutto guardando alla struttura del testo si può guardare come
l’utilizzo della terzina nelle parti in versi faccia riferimento a Dante della Divina Commedia, mentre
alla poetica del dolce stil novo fa riferimento il motivo centrale del prosimetro: la potenzialità di
raffinamento interiore appartenente all’esperienza d’amore.
E’ la storia di un rozzo pastore, Ameto, che a seguito dell’incontro con sette ninfe rappresentanti le
Virtù, si libera della sua condizione di brutalità e viene guidato verso la condizione di realizzata
umanità, fino alla possibilità di attingere alla massima felicità spirituale, cioè nella contemplazione
della divinità.
Allo schema lineare dell’itinerario ascensionale percorso da Ameto, fanno da contrappeso
le difficoltà delle modalità espositive: Boccaccio fa interagire tra loro tre generi letterari
diversi, cioè l’egloga pastorale, il poemetto allegorico e la novellistica. L’attenzione
maggiore spetta alla novellistica poiché le ninfe, dopo essersi presentate, raccontano la
storia dei loro amori con rilevanti dettagli maliziosi e notevoli sono anche gli effetti comici.
L’intero tracciato del prosimetro si basa su uno statuto di ambiguità, ed Ameto riesce a solo alla
fine dall’esterno a capire la metamorfosi da lui effettuata, dal guardare coi sensi a farlo con la
ragione.
In quest’opera la realtà storica s contrappone alla realtà ideale abitata da Ameto: questo suscita
invidia nell’autore che deve vivere nella realtà e non nella vita idealizzata del protagonista. C’è,
come nella Caccia di Diana, uno spettatore d’eccezione, che è lo stesso Boccaccio che vive nel
racconto e se ne sta in disparte invidioso della trasformazione di Ameto. La realtà effettiva si
manifesta nella parte conclusiva dell’Ameto ed è una realtà piena di negatività che culmina nel
richiamo alla figura paterna: proprio su Boccaccino vengono proiettati i disvalori che incupiscono lo
scrittore.
La “commedia” è tale solo per il protagonista (Dante nell’ Epistola a Congrande “la commedia inizia
dalla narrazione di situazioni difficili, ma la sua materia finisce bene”), mentre per Boccaccio è una
tragedia: se all’inizio dell’opera Boccaccio si definiva amante, al termine della stessa rappresenta
se stesso “nell’infino stante delle tristezze.
L’AMOROSA VISIONE 1342-43
Boccaccio scrive un’altra opera di impostazione allegorica. E’ un poema scritto in versi, utilizzando
come metro la terza rima. Si compone di 50 canti preceduti da 3 sonetti. Dantesco è il metro e
dantesco è lo strumento narrativo, ovvero la visione.
In sogno, al poeta smarrito in un deserto lido marino, appare una donna che si offre come
guida per condurlo al luogo della somma felicità. Entrambi si avviano vero un “nobile
castello” e qui giunti il poeta si trova davanti a due porte, dovendo decidere quale
intraprendere, se quella più piccola e stretta che conduce tramite una via aspra alle virtù, o
quella più ampia e larga che concede l’acceso al godimento dei beni mondani. Il poeta
sceglie di intraprendere la seconda, ed entrato, accede ad una sala le cui pareti sono interamente
dipinte, ed il poeta rivolge la sua attenzione su una parete in cui sono raffigurate la Sapienza e le
sette arti liberali con i loro seguaci (filosofi, poeti,storici). La seconda parete presenta l’affresco del
carro trionfale della Gloria mondana (fama). La terza parete raffigura personaggi che si sono
macchiati di “viltate” (avarizia come cupidigia; ricchezza). In quest’ultima parete si distinguono re
Roberto d’Angiò e Boccaccino. La quarta parete raffigura un bel prato in cui hanno dimora
Amore e “fiammetta”(senhal di donna amata dal poeta).
Completata la visita alla prima sala, si spostano nella seconda che è completamente occupata
dalla figurazione della Fortuna, e di tutti i personaggi che sono stati soggetti al suo capriccio e che
sono state sue vittime. Le vicissitudini di questi personaggi sono un pretesto per il poeta e la guida
di fare un discorso di approfondimento sull’essenza della Fortuna.
Successivamente il poeta viene condotto in un giardino in cui gli si prospetta la contemplazione
delle cose “gloriose ed etterne”, anziché delle mondane che aveva visto nelle due sale. Mutano le
immagini nelle sale, non più personaggi storici, poeti, ma immagini simboliche: significativa è la
fontana scolpita con figure allegoriche che indicano differenti forme d’amore. Il poeta osserva tra le
donne del giardino, Fiammetta. La guida spinge il poeta a congiungersi con lei e sdraiati sul prato,
nel punto in cui egli sta per avere l’amata, l’eccesso di felicità lo fa risvegliare. Così la guida
ricompare e gli dice che la felicità suprema che credeva di aver raggiunto, si può raggiungere solo
attraverso la “porta stretta”, cioè con le Virtù.
L’Amorosa Visione può essere considerata come singolare parodia della Divina Commedia
e emulazione di quanto avviene con Dante, Boccaccio entra in scena come personaggio
protagonista (non più come osservatore inerte). Ma la presenza di Boccaccio come personaggio-
poeta è di portata molto più ridotta poiché si pone in una condizione di spettatore che contempla
ammirato lo sfarzo delle sale e i dipinti delle pareti. Un aspetto molto importante è l’ambizione del
poeta per la concorrenza tra memoria letteraria e arti visive. Il significato morale del poema è che
l’esperienza mondana dell’uomo deve essere affrontata e deve essere lasciata al margine la
preoccupazione per il estino ultraterreno dell’uomo. I beni mondano sono esperienza da superare
perché banco di prova del libero arbitrio. Il poema non guarda al sovrannaturale ma tende a
esemplificare, fissandole in una serie di quadri che racchiudono le vicissitudini umane, le categorie
dei valori e le regole che amministrano la vita umana.
2 – IL RACCONTO DELLA PASSIONE D’AMORE
L’ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA 1343-44
Boccaccio si allontana dal prosimetro e dalle terza rima, poco consone alla sua sensibilità, e si
accosta ad una nuova linea letteraria d’impronta filoumanistica, assumendo un atteggiamento
classicista (scrive carmina, ecogle).
Nell’ Elegia di Madonna Fiammetta si ritorna al tema amoroso e alla presenza della figura di
Fiammetta, rielaborata secondo l’educazione classicistica: la protagonista racconta le sue pene
d’amore, assumendo i contorni di un’eroina classica.
Fiammetta, attraverso la narrazione in prosa, si rivolge ad un pubblico specifico, di donne
innamorate, e racconta della storia d’amore extraconiugale per Panfilo.
L’innovazione della scelta del protagonista è importante primo perché la protagonista è l’autore,
inoltre ricorre ad un personaggio che lo rappresenti e tale personaggio è la donna amata. Vi è un
capovolgimento di ruoli, all’insegna di Ovidio.
Il libro è una lunga epistola e Fiammetta assume il ruolo di epistolografa, e con la scelta di questo
tipo di narrazione produce 3 risultati: 1) la dilatazione dell’analisi dei propri sentimenti, come un
romanzo psicologico moderno; 2) donna che assume il valore di personaggio autonomo; 3) la
descrizione di turbamenti interiori si esplicita attraverso la letteratura (la volontà di
comunicazione non si risolve in sfogo o confessione, ma si appoggia ai sostegni delle convezioni
formali e retoriche).
Alle numerose fonti si aggiunge anche il Dante della Vita Nuova in cui viene ricalcato
l’incontro di Dante e Beatrice in chiesa con l’innamoramento di Fiammetta in un tempio;
inoltre c’è una coincidenza tra il Prologo della Fiammetta e un passo di Vita Nuova in cui
prende l’avvio l’episodio della “donna pietosa”. Infatti per Dante l’esigenza della
compassione è il tratto distintivo dell’elegia, e Boccaccio conferma tale distensione nella
sua narrazione.
Caratterizzante dell’opera è la l’accentuata ed enfatizzata passionalità che non è altro che l’inizio
del lbro, in quanto esso si rivela un vero e proprio testo letterario: non è un discorso di esperienza
sull’amore, ma un discorso letterario sull’amore. Fiammetta rielabora la verità attraverso la
letteratura.
Si possono riscontrare elementi che dimostrano il grado i convenzionalità letteraria: complicità tra
protagonista narrante e racconto; consapevolezza della donna di essere non solo l’attrice, ma
anche l’ordinatrice di quanto viene esposto.
La consapevolezza che la letteratura accompagni tutte le esperienze della protagonista, si palesa
sin dall’inizio del libro, ed è qui che c’è la vera innovazione dell’opera: l’Elegia si presenta sì come
un’opera di pene d’amore, definizione di elegia appunto condivisa con Dante, ma assume una
valenza più alta, non più umile. Questo è caratterizzato innanzitutto da fatto che Fiammetta è
un’aristocratica. Per quanto riguarda il contenuto, Fiammetta non avrà né la morte, né un
lieto fine (amore del suo amato); perciò questa avventura amorosa non è iscrivibile né
all’interno dei parametri della tragedia, né nella commedia, perché a Fiammetta resteranno
le pene: le resterà l’elegia. Questa situazione a metà lascia uno spiraglio alla speranza. Questa
condizione fa del libro un “libro aperto”, infatti l’oggetto impossibile del desiderio secondo la
tradizione cortese è diventato oggetto possibile. Contenuto autentico dell’elegia è l’assidua ed
ininterrotta meditazione sull’angoscia amorosa che non trova soluzioni. Boccaccio fa di
Fiammetta una vera e propria “eroina” conveniente a questo genere; Fiammetta posiziona se
stessa nel ruolo di paradigma dell’infelicità, e lo fa mettendosi in paragone con gli “esempi antichi”.
E’ proprio l’affiancamento alle figure del mito, e la dichiarazione di maggiore gravità del proprio
soffrire rispetto alla loro –secondo il concetto per cui qualunque pena, anche la più nefasta, è
meno dolorosa dell’angoscia da