vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Canto XVI del Purgatorio
Il luogo è la terza cornice. Vi soggiornano gli iracondi; avanzano in un fumo denso e acre.
Un paesaggio quasi infernale:
L’incipit del canto, con le sue prime due parole “buio d’inferno” richiama al tipico ambiente infernale.
La sensazione di trovarsi là è rafforzata dall’insistenza sulla notazione paesaggistica e atmosferica di
un luogo in cui non sia visibile nessuna stella e nemmeno la luna. Il cielo è perciò privato dei suoi
ornamenti luminosi e poi si fa riferimento anche al massimo grado di nuvolosità possibile, che dia
per effetto una tenebra assoluta. Tutti questi fenomeni atmosferici risultano essere addirittura
inferiori, nel produrre il buio, rispetto a quello causato dal buio che avvolge i due poeti. Tutto per
dare il senso del ripiombare nell’inferno, quasi a suggerire perplessità attraverso anche il richiamo
alla forte sensazione tattile che richiama proprio la materialità infernale, con i suoi afrori disgustosi
comunque esasperate. L’effetto conclusivo e significativo è dato dalla cecità
o le sensazioni
temporanea.
L’aiuto di Virgilio:
Naturale che Virgilio corra in aiuto del suo discepolo in difficoltà a camminare, offrendogli il suo
fitta e impenetrabile. Dante cos’ avanza come un cieco che
braccio, sicuro appiglio nella tenebra
segue la sua guida, affidandosi a Virgilio, che lo ammonisce di non dividersi da lui. I dubbi del lettore
non sono ancora stati sciolti; rimane l’incertezza che fa accrescere l’interesse per la piccola suspense,
abilmente creata dal narratore.
Anche in questo caso il significato letterale non va disgiunto da quello allegorico. Il fumo altri non è
che la materializzazione dell’ira, la quale priva della luce della ragione l’uomo. Costui, oscurato nelle
sue facoltà razionali, procede a tentoni nelle difficili scelte morali della vita, che richiedono attenta
valutazione e discernimento: pena lo smarrire la retta via o l’urtare qualcosa che lo danneggi o lo porti
quella dell’anima,
addirittura alla morte, ben più grave della corrispondente morte fisica. Solo la
ragione umana, allora, Virgilio, può soccorrere Dante, in qualità di guida saggia e fidata.
L’invocazione alla pace da parte degli iracondi: affini il senso dell’udito ed un canto religioso
In una situazione di cecità temporanea è naturale che si
viene infatti percepito, un canto corale armonico e omogeneo: è l’Agnus Dei, appello alla liberazione
dal male e alla concessione della pace dell’anima. Così implicitamente il lettore capisce che Dante e
si trovano ancora nel Purgatorio. Si è ristabilita adesso l’appropriata atmosfera purgatoriale.
Virgilio
Il dialogo:
A questa sequenza descrittiva corrisponde una sequenza dialogica. Dante interroga Virgilio circa
l’identità di coloro che cantano, e Virgilio risponde: sono gli iracondi che devono purificarsi dal
peccato dell’ira e opportunamente invocano pace e misericordia e si rivolgono a Cristo in quanto
Agnello del Signore, vittima innocente e mansueta immolatasi per la redenzione dell’umanità
peccatrice. Poi inaspettatamente una voce anonima pone una domanda a Dante, incuriosita dal tipo
di richiesta avanzata da Dante medesimo, e chiede a quest’ultimo chi sia. La voce ipotizza che il
il tempo per “calendi”; le
richiedente sia una persona vivente, apostrofandolo come uno che misura
calende nel calendario romano rappresentano il primo giorno del mese, cioè come uno che misura il
tempo in base ai mesi, e quindi non può che essere ancora vivo. Le anime purgatoriali, invece, sono
dimensione temporale dell’eterno, pur dovendo scontare
pienamente assorbite nella una pena limitata
temporalmente. Le condizioni atmosferiche di questa parte del Purgatorio permettono di giocare sul
piccolo mistero dell’identità di chi parla, che non viene subito svelata. Dante risponderà a questa
domanda se quest’anima che si è rivolta a lui li accompagnerà e gli indicherà la via per salire al
cerchio superiore. L’anima acconsente di guidarli fin dove gli sarà concesso. Il fumo impedisce loro
di vedersi, e tra i due si instaura solo un legame fonico; la descrizione fisica, la positura, gli
atteggiamenti del personaggio non saranno mai descritti. Nel caso in questione c’è una presentazione
anomala del personaggio, rispetto a quelle degli altri personaggi. Dante si rivolge al suo interlocutore
con la consueta captatio benevolentiae, e poi il poeta fiorentino rivela la sua identità di persona
vivente e destinata ad un viaggio eccezionale, dagli infimi luoghi infernali fino al Paradiso. Dante
vuole sottolineare l’eccezionalità del viaggio da lui intrapreso. Nel II canto dell’Inferno Dante aveva
già ricordato due esempi illustri: Enea, che doveva predisporre le basi dell’impero romano perché il
mondo, pacificato e ordinato sotto la legge di Roma potesse accogliere Cristi; e San Paolo, che
avrebbe dovuto diffondere la parola di Cristo stesso nel mondo pagano. Dante si pone così
implicitamente come terzo esempio illustre. Dante ha il compito di riscattare così se stesso e l’umanità
intera dal peccato. Poi Dante chiede all’anima di rivelargli la sua identità e di indicargli al via d’uscita
per la balza successiva.
L’autopresentazione di Marco Lombardo:
L’interrogato risponde allora svelando la propria identità e gli aspetti salienti della sua personalità. È
Marco Lombardo. Marco fu un uomo di corte appartenente alla generazione precedente a quella di
Dante. che fosse lombardo di nascita e non di cognome risulta evidente dalla precisazione dantesca:
fui, e fu’ chiamato Marco. Ma “lombardo” sarà da intendere come nativo dell’Italia
Lombardo
settentrionale. Le notizie fornite dalle cronache del periodo concordano nel definirlo un uomo di
grande saggezza ed esperienza. La sintetica terzina, vv. 45-47, è una sintetica biografia condensata e
in evidenza l’esperienza del mondo
un profilo morale, nello stesso tempo, del personaggio; si mette
di Marco, quale uomo di corte, e le doti estetiche si sono ormai dimenticate. Dante nel presentarlo,
sottolinea in lui le qualità di uomo di corte: esperienza del mondo e della politica, culto delle virtù,
in rapporto con l’alto ufficio che qui gli assegna di espositore della sua dottrina
che sono essenziali
etico-politica e di acerbo fustigatore dei vizi della presente generazione. Dietro Marco Lombardo si
intravede la figura di Dante stesso, e l’alto concetto con cui egli intese la missione di uomo di corte,
consigliere non servile e giudice non arrendevole dei potenti. Marco indica a Dante la via per
raggiungere il cerchio successivo, e gli chiede di pregare per lui quando sarà arrivato lassù, in cielo.
Il dubbio di Dante:
Dante avuta l’opportunità di poter parlare con un tale interlocutore, Dante non si lascia sfuggire
l’occasione per porgli un quesito di rilevanza dottrinale, filosofica, teologica e esistenziale, che
investe l’essenza stessa dell’uomo e il suo rapporto con Dio. Dante presenta questa domanda come
un quesito assillante: sul fatto che il mondo sia privo di virtù morali e ripieno di malvagità non ci
sono dubbi, ma la causa, osserva Dante, è da collocarsi in cielo o in terra? In altri termini ciò che è
a influssi astrali, che condizionano quindi la libertà dell’uomo, o alla responsabilità degli
dovuto
uomini?
Il metodo scolastico usato da Marco nella sua risposta:
La domanda di Dante e la risposta di Marco Lombardo assumono le forme del metodo della filosofia
scolastica, di cui fu illustre rappresentante San Tommaso. Il metodo consisteva nel porre una quaestio,
o un problema, che il maestro doveva affrontare o dibattere, attraverso la disputatio, o discussione
con i suoi allievi, fino ad arrivare alla determinatio, o soluzione. La quaestio posta da Dante è
fondamentale, perché investe la crisi della società a lui contemporanea, crisi dovuta alla mancanza
delle virtù cortesi e civili, quali l’onestà, la liberalità, la nobiltà d’animo che avevano caratterizzato il
passato e che, se ripristinate, consentirebbero una pacifica convivenza fra i comuni italiani.
L’articolata e razionale risposta di Marco Lombardo (la disputatio) è preceduta da una
manifestazione, un sospiro, di pietà per l’ignoranza che acceca le menti degli uomini.
La responsabilità degli uomini: la prima accusa che Marco muove alla prospettiva degli uomini è
l’attribuzione all’influsso delle stelle di ogni evento umano. Si tratta di una visione deterministica e
meccanicistica delle cose che rischierebbe di annullare il libero arbitrio e che toglierebbe significato
ai premi o ai castighi per la propria condotta e scelte morali. Si ammette una certa influenza del cielo,
ma poi deve subentrare la ragione, al fine di distinguere il bene dal male, e la libera volontà che può
vincere gli influssi delle stelle grazie ai buoni propositi e alla volontà divina. Questa rivincita
dell’uomo sulle stelle è spiegata con la superiorità della natura umana rispetto a quella degli astri.
Perciò se il mondo abbandona la retta via è colpa degli uomini. La tesi è mutuata da san Tommaso
che aveva cercato di conciliare cristianesimo e aristotelismo.
Il problema della creazione dell’anima: il ragionamento filosofico di Marco si addentra in altre
della creazione dell’anima. Quest’ultima è creata da Dio che se
questioni spinose, quale quella
compiace prima ancora di averla creata, ed è simile ad una fanciulla ignara di tutto ma con una
naturale tendenza verso ciò che le procura piacere. Si lascia così attrarre da beni materiali ingannevoli,
se non c’è una guida (l’imperatore) o un freno (il papa) che la corregga o la riporti nella giusta
direzioni. L’anima è come un foglio bianco in cui l’esperienza traccerebbe poi i suoi segni. Ciò
significa che Dante, che parte sempre dalla filosofia di san Tommaso, rifiuta il concetto
dell’innatismo platonico e delle idee già presenti nell’anima al momento della sua creazione. Poi il
discorso passa all’ambito politico. Le leggi che dovrebbero costituire il freno all’agire nella direzione
sbagliata ci sono, ma chi si adopera per farle rispettare? Ed ecco che Marco giunge al cuore del
problema, al rapporto tra papa e imperatore, delicato e fondamentale per la vita civile e pacifica
convivenza come per la felicità del genere umano. Il pastore (il papa) possiede la scienza teologica,
ma non sa distinguere il bene dal