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Appunti sul III Canto Purgatorio di Dante Pag. 1
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Canto III del Purgatorio

Il luogo è l’Antipurgatorio, prima schiera. Vi soggiornano gli scomunicati.

I motivi

La scena iniziale riprende il motivo della fuga con cui si era chiuso il canto precedente; mentre per le

anime il moto è dispersivo e disaggregante, sintomo ancora di incertezza, per Dante rappresenta

un’occasione per unirsi più strettamente al proprio maestro quale punto di riferimento costante. Nelle

due azioni opposte: la fuga delle anime e l’avvicinarsi di Dante a Virgilio, il Binni ha ha giustamente

individuati i temi fondamentali del canto: l’esclusione il dividersi e l’unirsi. Dante

e la comunione,

perciò contrappone la fuga delle anime verso il monte al proprio atteggiamento: egli non si scosta,

ma si fa più vicino al suo maestro per accoglierne i consigli e gli atteggiamenti, senza il quale non

potrebbe andare avanti. Dante poi presenta lo stato d’animo di Virgilio, in preda al rimorso per la

piccola mancanza commessa: Virgilio è rammaricato della sua stessa coscienza, cioè non per il

rimprovero di Catone, che si rivolgeva propriamente alle anime del Purgatorio e non ai due poeti; non

poteva rivolgersi a Virgilio, collocato nel Limbo e quindi non destinato alla purificazione di quel

luogo. Ma indirettamente Virgilio se ne sente toccato, per essere venuto meno alla sua missione di

maestro e di guida. Dante esprime allora la sua ammirazione per la magnanimità del poeta.

Le riflessioni dottrinali del canto e la superiorità della fede:

Al movimento e alla fretta subentrano la quiete e la calma riconquistate, alle quali si associano

spontaneamente dignità e compostezza, che i gesti scomposti della corsa avevano fatto perdere. La

Dante allora si allarga verso l’alto per abbracciare un nuovo scenario grandioso:

prospettiva visiva di

monte del purgatorio è visto dal basso verso l’alto e sembra uscire con forza e slancio dalle acque

il

che l’isolano nella sua massa imponente. Il sole rosso i cui raggi sono interrotti quando colpiscono

Dante, creando perciò la sua ombra, contribuiscono a suscitare nel pellegrino il timore di essere

abbandonato dalla sua guisa, perché vede sul terreno solo la sua ombra. L’ombra davanti a sé gli dà

quasi la certezza si essere rimasto solo. Ma la premurosa guida lo soccorre subito con una

dissertazione teologica sull’inconsistenza corporea delle anime nell’aldilà, e poi su un tema

impegnativo e fondamentale, il rapporto tra ragione e fede. Virgilio ripropone il tema della fiducia

che deve avere in lui il suo discepolo, e poi riaffiora il tema della separazione, quella del corpo dalla

propria anima. Il ricordo malinconica va dalla propria tomba alle vicissitudini della propria salma,

prima sepolta a Brindisi e poi trasportata a Napoli dove ora cala la sera. Questo ricordo però svolge

anche un’importante funzione strutturale nel canto: è infatti l’anticipazione di un motivo, quello della

ripreso e svolto più compiutamente nel canto dall’episodio

separazione del corpo dalla propria anima

di Manfredi più in là, che sarà perciò occasione per importanti riflessioni dottrinali. La spiegazione

dottrinale sulla contraddizione tra l’incorporeità delle anime, fatte di sostanza immateriale come

tormenti “caldi e gelidi” rinvia a un altro arduo problema,

quella dei cieli, e la loro capacità di soffrire

quello del rapporto tra fede e ragione. La ragione deve arrestarsi entro un certo limite entro il quale

non può andare, e in cui subentra la fede, necessaria per accettare quelle incongruenze che alla ragione

appaiono tali. Al di là di questa sensata accettazione c’è la follia. L’ulteriore spiegazione non può che

far riferimento al mistero dell’incarnazione di Cristo. Virgilio aggiunge poi un esempio significativo:

quello dei grandi spiriti del Limbo, come Aristotele e Platone, uomini di altissimo ingegno, che

sicuramente avrebbero potuto soddisfare la loro legittima curiosità naturale di conoscenza al di là di

ogni limite se ciò fosse stato consentito alla natura umana. Ma purtroppo, quell’incessante desiderio

di sapere, si è trasformato in desiderio inappagato di Dio. Il desiderio di sapere adesso costituisce la

loro pena eterna nel Limbo. Nel suo discorso Virgilio è passato a toccare, quasi senza volerlo, il

soggetto della propria condizione, restandone evidentemente turbato. Perciò così, dal pretesto del

turbamento irragionevole di Dante, si è passati alla contemplazione del mistero di Dio e della

pochezza dell’intelletto umano. La disquisizione dottrinale di Virgilio riveste importanza anche

perché ci rivela anche le ormai consolidate convinzioni di Dante riguardo alla superiorità della fede

dell’Aristotelismo

rispetto alla ragione umana, dante ha ormai superato definitivamente le lusinghe

radicale e del razionalismo giovanile, che si era espresso anche nel Convivio. Il ruolo della ragione

non viene meno, ma solo ridimensionato, in relazione alla funzione che deve svolgere nell’itinerario

di salvezza che conduce a Dio.

La salita:

Prosegue il cammino dei due poeti, alla ricerca di una via opportuna per salire, ma ai due pellegrini

si oppone la roccia erta e inaccessibile, paragonata realisticamente all’impervio paesaggio roccioso

della riviera ligure, considerato più agevole rispetto a quello che si presenta ora a Dante.

Una guida inesperta:

Virgilio, come è stato notato dalla critica, si dimostra una guida sempre meno esperta nel Purgatorio

e non esente dall’incorrere in errori di percorso; e sempre bisognoso di qualcuno che gli fornisca

informazioni sicure. A testa bassa cerca di riflettere profondamente per trovare una via agevole che

permetta loro di ascendere al monte. L’atteggiamento del discepolo è opposto. Dante guarda verso

l’alto e scorge poi una schiera di anime che potranno risolvere il loro problema. Quindi,

che trae d’impaccio il suo maestro. In termini allegorici, la ragione

paradossalmente, è il discepolo

rivela ormai la propria incapacità a svolgere da sola la funzione di condurre l’uomo a Dio.

La schiera di anime:

La moltitudine di anime che viene incontro a Dante e Virgilio molto lentamente, è la prima delle

schiere di anime che Dante incontra fuori del Purgatorio vero e proprio, dal quale sono in un certo

tempo escluse perché tardarono fino all’ultimo a pentirsi dei loro peccati e riconciliarsi con Dio. Gli

spiriti di questa schiera, morti scomunicati, perdonati dalla misericordia divina, ma fuori della grazia

della Chiesa, devono errare ai piedi del monte trenta volte il tempo che è durata la scomunica, a meno

che la pena non sia abbreviata dalle preghiere dei vivi.

Virgilio allora, vedendo che le anime procedono lentamente, richiama Dante perché siano loro ad

andare incontro alle anime, e lo esorta a rincuorarsi. La lentezza, la compostezza e l’unità della schiera

contraddistingue quegli spiriti. Ma gli spiriti, colti dal dubbio, si fermano e si stringono di

istintivamente più verso la parete rocciosa, a guardare. Ciò è dovuto proprio al procedere dei due

poeti verso di loro. Virgilio allora si rivolge alloro per chiedere consiglio attraverso al consueta

captatio benevolentiae: insiste sulla grazia concessa da Dio a queste anime, sulla pace che essi

attendono di ricevere in Paradiso. Nelle sue parole c’è anche un accenno alla dimensione temporale,

propria di questo regno, dove le pene si misurano in base alla durata e alla necessità morale di non

sprecare tempo. La reazione delle anime alle parole di Virgilio è resa attraverso la celebre similitudine

delle pecorelle, per cogliere lo stato di mitezza, concordia e umiltà, docilità delle anime, non più

toccate dagli odi e dalle passioni, dai turbamenti terreni. La schiera delle anime si arresta, a ridosso

delle prime che si sono fermate, così come s’arresta e si accalca un gregge, senza sapere il perché.

Ma nel comportamento delle anime non v’è nulla di sciocco, ma solo il riflesso di una docile e candida

obbedienza. Indica cioè la disposizione d’animo intenerita e affettuosa di queste anime. Al vedere il

riflesso dell’ombra di Dante, le anime si rivelano timorose. Questo secondo piccolo moto di stupore

da parte delle anime si traduce in un istinto arretramento, ma subito si dissolve alle parole rassicuranti

di Virgilio, al quale rispondono con un’accurata indicazione sul percorso, accompagnata anche da

un’efficace e premurosa mimica, dicendo loro di tornare indietro e proseguire davanti a loro.

Manfredi:

A questo punto si esce dalla coralità indistinta e uno degli spiriti parla a Dante e lo invita a

riconoscerlo. Ma Dante non lo riconosce. Segue allora il sintetico ma efficace resoconto della vicenda

del personaggio, che si rivela essere Manfredi: si descrive il suo aspetto nobile, regale, il fascino, il

portamento nobile, ma anche la tragica fine, di cui rimangono i segni sul corpo martoriato: una ferita

gli divide il sopraciglio, mentre la seconda ferita, la piaga sul petto, richiama la figura di Cristo che

mostra le sue piaghe quando appare agli apostoli e ha la funzione di sottolineare il martirio al quale

Manfredi è stato sottoposto quale vittima dell’odio politico e delle ritorsioni da parte di ecclesiastici

ormai immersi nelle fuorvianti questioni temporali. A differenza dei personaggi infernali, ancora

infiammati dalle inestinguibili passioni terrene, Manfredi, il re svevo, parla sorridendo, con

atteggiamento che è in sé segno di distacco dalle cose mondane e di immedesimazione in una

dimensione tutta spirituale e salvifica. La sua autopresentazione genealogica è piuttosto singolare: è

infatti di tipo matrilineare. Manfredi infatti cita solo il ramo femminile del proprio albero genealogico

(l’imperatrice Costanza, sua nonna, madre del padre, Federico II), tacendo invece l’illustre genitore

Federico II. La scelta dantesca è probabilmente da mettere in relazione con la dannazione di

quest’ultimo sovrano che avrebbe mal rappresentato, in quanto condannato alle pene infernali (canto

imperiale. Manfredi appare soprattutto preoccupato di rassicurare la figlia affinché le si

X), l’idea

racconti la verità sulla sua fine e sul suo efficace pentimento in extremis. Manfredi evoca così le

ultime drammatiche vicende di cui fu protagonista, quando nella battaglia di Benevento, ferito per

due volte mortalmente, si affidò piangendo a Dio. Nonostante la gravità dei suoi peccati, fu accolto

nelle braccia di Dio. Ciò ad indicare l’infinta misericordia divina. Riemerge così il tema della

comunione, del ricongiungimento di Manfredi che viene abbracciato dalla misericordia di Dio.

La rievocaz

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
4 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher minniti.vale di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Onorato Aldo.