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Appunti sul VIII Canto Purgatorio di Dante Pag. 1
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Le due terzine d’apertura, tra le più celebri della Commedia, oltreché a fornire una precisa indicazione

temporale ai fini del tempo della storia, servono soprattutto a creare una struggente atmosfera, propria

di tutto il canto. I primi sei versi indicano molto semplicemente il tramonto, ma il significato da

rintracciare oltre quello letterario, è molto più complesso. L’ora della compieta (ultimo momento di

preghiera della giornata, dopo l’ora dei Vespri) indica appunto il tramonto, il giungere della notte. Il

morire del giorno è evocato attraverso un’immagine di partenza, quella dei mercanti o marinai, che

al momento di iniziare il viaggio per mare, sono colti da un’improvvisa nostalgia per gli affetti e i

beni che hanno lasciato; e attraverso l’immagine del pellegrino il quale, all’inizio del viaggio, ode la

campana che preannuncia la sera. La metafora del giorno che trapassa nella notte introduce il tema

che si oppone al vocabolo “amore” della seconda terzina. Amore e morte dunque. Il tema

della morte,

unificante di questi veri è quello del viaggio, tema fondamentale della Commedia, metafora

tradizionale della vita cristiana; tra coloro che sono in viaggio c’è lo stesso Dante, pellegrino

nei tre regni dell’oltretomba, ma c’è l’umanità intera nel cammino verso la purificazione

itinerante

adombrata da Dante; c’è Dante come uomo politico, sulla via di un ingiusto esilio, che non a caso gli

verrà profetizzato in chiusura del canto, e ci sono le stesse anime purganti in attesa di ascendere

all’Empireo.

Il rituale della preghiera:

Questo momento crepuscolare è propizio ai rituali liturgici, occupazione precipua delle anime del

Purgatorio. Una di esse, dopo aver fatto cenno a Dante perché capisse che vuole essere ascoltata,

infatti si leva in piedi e ha congiunte le mani in atto di preghiera, avendo rivolto contemporaneamente

lo sguardo verso Oriente, secondo l’antico costume dei cristiani. Da quel punto cardinale infatti sorge

sempre il sole, identificato con Dio. Una delle manifestazioni del culto divino è soprattutto quella

canora e un canto dolcissimo si innalza nella sera; dapprima si tratta di una sola voce, mentre poi altre

voci giungono a formare un coro, tutte le anime guardano in cielo, come se stessero aspettando

Si canta l’inno un’invocazione a fuggire le tentazioni

qualcosa di straordinario. Te lucis ante,

notturne, attraverso l’aiuto e il favore di Dio, poiché la notte e il buoi sono il regno del maligno.

L’effetto complessivo del rituale è il rapimento estatico di Dante, che confessa di essere uscito di

mente, di aver cioè abdicato alle facoltà razionali per un contatto mistico con il divino.

L’appello al lettore e la prima parte della sacra rappresentazione:

che, con un appello al lettore, richiama l’attenzione sulla

A questo punto interviene Dante-autore

facilità nell’interpretare il significato allegorico della scena. Ha finalmente inizio la prima parte della

sacra rappresentazione. Il senso dell’attesa è dato dalla descrizione dell’atteggiamento degli spiriti

presenti, della nobile schiera che hanno lo sguardo rivolto verso l’alto in attesa di qualcosa, con i volti

pallidi e umili. Quei principi (sono i principi negligenti a pentirsi) caratterizzati in vita da alterigia e

superbia, hanno ormai perduto tale atteggiamento proprio del mondo terreno, dove rappresentavano

il potere politico al massimo livello. Ora sono divenuti convenientemente timorosi e umili, giacché

la superbia terrena non avrebbe ragion d’essere di fronte alla grandezza di Dio. Allora appaiono due

angeli dalle ali e dalle vesti verdi come foglie nate da poco, dalla chioma bionda e dal volto splendente

di luce che abbaglia per la virtù che emana; impugnano ciascuno una spada fiammeggiante privata

della punta. I due angeli si posano ai lati opposti della valle dove si trovano le anime. Così le anime

si trovano in mezzo ai due angeli, affidate alla loro vigilanza e alla loro tutela. Sordello chiarisce a

Dante che i due angeli vengono dall’Empireo e sono posti a guardia della valle, per difenderla dal

serpente che arriverà da un momento all’altro. Dante si stringe al solito, alle spalle della sua guida,

impaurito perché non sapeva a quale parte sarebbe giunto il serpente. Ma qui la narrazione si

narrazione, e si inserisce l’incontro con un personaggio,

interrompe, termina la prima parte della

improntato al senso dell’amicizia e della cortesia. Resta però da dire qualcosa sul significato

allegorico dei tanti particolari descritti. In primo luogo il significato dei colori, da porre in relazione

con le virtù teologali: il verde delle vesti degli angeli è simbolo della speranza cristiana, che deve

essere appunto sempre verde e quindi fresca nell’animo; il bianco splendente il volto è simbolo della

fede, il rosso delle spade della carità; le spade sono spuntate perché volte a difendere e non ad

offendere; l’una è la giustizia, l’altra la misericordia divina, virtù che in Dio non sono mai disgiunte.

Gli angeli non possono essere guardati in volo da dante, non ancora in grado di sopportare una realtà

sovrannaturale.

L’incontro con Nino Visconti:

Sordello conduce i due poeti in mezzo agli spiriti che si trovano nella valle, per parlare con loro, e il

trovatore aggiunge che esse saranno contente di parlare con loro. Solo dopo tre = pochi passi, il

numero tre è il simbolo del divino, della natura trinitaria di Dio, Dante scorge un’anima che lo

guardava come se lo riconoscesse. L’incontro è preceduto dal consueto linguaggio degli sguardi, volti

all’investigazione e al riconoscimento reciproco; seppure nell’incerta luce crepuscolare, i due adesso

scoprono ciò che la distanza tra di loro prima nascondeva. I due si avvicinano e subito Dante apostrofa

con gioia l’amico che è felice di incontrare tra le anime elette.

Si tratta di Nino Visconti, che fu giudice in Sardegna, che fu più volte a Firenze, dove incontrò diverse

volte Dante. seguono i saluti di rito, in un’atmosfera cortese e cavalleresca, lo scambio delle notizie,

lo stupore di Nino, all’apprendere che Dante è ancora vivo, stupore che si estende anche a Sordello,

e a cui è chiamato a partecipare anche un altro spirito, Corrado, che di lì a poco si intratterrà col poeta

fiorentino. Nino parla del mondo terreno come se si trattasse di una realtà ormai remota, sottolineando

cui si trova attraverso l’evocazione della sconfinata massa d’acqua che si

la distanza da quello in

frappone fra i due mondi. Poi nel suo animo subentrano i ricordi dei suoi cari; il suo pensiero va alla

figlia Giovanna, affinché sia prodiga di efficaci preghiere per lui; anche la moglie viene ricordata, ma

Nino prende le distanze dalla moglie, a cui si riferisce chiamandola “sua

in maniera più distaccata.

madre” (della figlia) che si era risposata. Ella ha abbandonato le bianche bende/veli che si portavano

portavano in segno di lutto. Segue poi il tema dell’incostanza delle

intorno al capo che le vedove

donne, tratto dall’esempio della moglie di Nino, uno dei luoghi comuni della letteratura del Medioevo.

Nino è ancora segnato dall’amore per la moglie, ma senza risentimento. Da questo suo amore nasce

ora il sentimento di pietà con cui considera i suoi errori e la sua sventura.

La pausa contemplativa:

Allo sfogo dell’amico, Dante non risponde, ma si immerge in un momento di contemplazione del

cielo, tanto che Virgilio lo apostrofa chiedendogli cosa stia guardando. Lo sguardo di Dante è

concentrato su tre stelle, in cui i commentatori antichi hanno voluto vedere un simbolo delle virtù

teologali, mentre le quattro stelle vedute al mattino e ormai basse, sono le quattro virtù cardinali. I

commentatori però si sono interrogati sul significato di questa alternanza nel cielo dei due gruppi di

Alcuni cirtici accolgono l’interpretazione di Alessandro Vellutello, commentatore

stelle.

cinquecentesco, che nell’alternanza tra le quattro e le tre stelle voleva vedere un prevalere dell’ideale

di vita contemplativa su quello della vita attiva. Il Sapegno ritiene che, nel momento in cui l’anima

cerca di liberarsi da ogni vincolo terreno, sia necessario l’aiuto delle virtù soprannaturali (teologia,

fede, speranza e carità). Ma ecco che inizia la seconda parte del dramma sacro:

La seconda parte del dramma sacro:

Sordello richiama l’attenzione sulla comparsa del serpente, chiamato “avversaro” attraverso un

epiteto biblico con cui viene comunemente designato il demonio. Costui appare sotto le forme subdole

e immonde di una biscia, forse la stessa che istigò Eva ad assaggiare il frutto proibito, che avrebbe

poi segnato l’umanità col marchio del peccato originale, fino al riscatto operato da Cristo. Il serpente

significativamente proviene da quella parte in cui la valle non è chiusa da pareti, ciò ad indicare che

la tentazione si insinua là dove ci sono minori difese a respingerla. La biscia, stretta e lunga come una

striscia malefica, avanza tra “l’erba e’ fior” cioè allegoricamente tra le lusinghe del mondo o le

apparenze di onestà dietro le quali si nascondono le tentazioni, o ancora i privilegi e gli onori di cui

godono i principi sulla terra. Il suo modo di avanzare è subdolo, strisciante. Ed ecco il tempestivo

soccorso divino, tramite la calata fulminea dei due angeli, resi con la metafora degli astori o uccelli

rapaci, che si ritenevano nel Medioevo non a caso predatori di serpenti. Al solo percepire il fruscio

delle ali, il maligno si dilegua e gli angeli possono tornare ai loro posti di guardia. Allegoricamente

ciò simboleggia la tentazione che viene vinta dalla grazia divina. Per alcuni commentatori la

rievocazione avrebbe valore per tutti gli uomini, come perenne ammonizione a non cadere nelle

insidie diaboliche. Ma secondo altri ci si rivolgerebbe proprio ai principi per punire in qualche modo

la loro negligenza dimostrata sulla terra, distratti com’erano dalle cure mondane. Si tende perciò ad

interpretare questo canto in senso politico-religioso: i principi, che hanno trascurato i loro doveri di

mantenere la pace, di essere imparziali nell’esercizio del potere, sono costretti ad assistere all’attuarsi

del volere di Dio, il quale ha delegato i due poteri, temporale e spirituale, simboleggiati dalle sue

a due distinte autorità, imperatore e papa. L’allegoria sarebbe dunque una presa di posizione

spade,

da parte di Dante contro la teocrazia o rivendicazione della superiorità del potere religioso su quello

politico da parte della Chiesa.

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
4 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher minniti.vale di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Onorato Aldo.