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L’amore come armonia universale
Il canto armonioso dei beati, che nel cielo di Marte raffigurano una croce, cessa con perfetto
sincronismo determinato dalla volontà divina. Le anime, la cui volontà concordemente s’adegua a
quella di Dio, quasi corde di una lira che la mano esperta dell’artista fa vibrare e modula a suo
piacimento, si fermarono e sospesero il loro canto, affinché Dante potesse esprimere il suo desiderio.
Dante si sofferma su alcune considerazioni sull’amore di carità di quei beati, che sono disposti a
manifestazione dell’amore e dell’armonia universale
interrompere il loro soave canto, sensibile alla
del paradiso, per invogliare il pellegrino a pellegrino a pregarle. Il silenzio e il vuoto della narrazione
vengono così riempiti da osservazioni morali e teologiche che investono il tema fondamentale tra il
rapporto tra ciò che è relativo e ciò che è assoluto, tra l’uomo e la guida; è una naturale premessa al
colloquio che seguirà tra Dante e l’avo Cacciaguida, colloquio che si svilupperà anche nei due canti
successivi e che costituisce uno dei momenti culminanti della Commedia, tali da illuminare il
significato più profondo del viaggio intrapreso dal pellegrino. In questa premessa domina la figura
dell’antitesi: la volontà rivolta al bene, che coincide con Dio stesso, si contrappone a quella diretta al
l’amore che si rivolge direttamente a Dio contrasta con la cupidigia dei beni mondani, l’amore
male;
che non dura in eterno si oppone all’amore di cui ci “si spoglia”. Compare esplicitamente in
quest’ultima affermazione la coppia oppositiva “relativo “transuente-eterno”, che è anche
- eterno”,
uno dei temi del canto e dell’interno del poema.
Le similitudini astrali:
Una delle anime splendenti, che compongono la croce, scivola improvvisamente e velocemente lungo
e poter rivolgere la parola a Dante. per rendere l’idea
due dei bracci per venire ai piedi della stessa
del fenomeno viene richiamato quello delle stelle cadenti, che solcano il cielo sereno e nitido e che
costringono l’occhio dell’osservatore, prima tranquillo e immobile, alla mobilità per seguirne il
Quell’anima pare subito un fuoco, poi una stella, poi un astro, è una gemma, o pietra preziosa,
tragitto.
un fuoco dietro una lastra d’alabastro. Sono tutti termini che sprigionano luce. Sono paragoni nobili
per descrivere quest’anima beata.
Enea e con Anchise e il significato dell’incontro con Cacciaguida:
Il paragone con
Ed ecco un’altra similitudine, questa volta letteraria: così l’ombra di Anchise si mosse incontro ad
Enea che andò a fargli visita nei campi Elisi, secondo quanto afferma Virgilio, il nostro più grande
poeta. Dunque viene istituita un’equivalenza tra Anchise e Cacciaguida, Enea e Dante. non solo, ma
nelle parole che il trisavolo di Dante pronuncia subito dopo c’è un riferimento a san paolo, che nella
seconda epistola ai Corinzi afferma di essere stato rapito fino al terzo cielo al fine di difendere la fede
tra le genti: dunque san Paolo = Dante. il grande evento, di cui si erano poste le premesse, con la
suspense narrativa e il silenzio astrale, è l’incontro con l’avo Cacciaguida, che svelerà al pronipote,
nel corso di tre canti, XV, XVI e XVII del Paradiso, le radici del male terreno, della decadenza morale
e politica delle principali istituzioni, Chiesa e Impero, il destino dell’esilio a cui andrà incontro Dante
spirituale per l’umanità intera di cui quest’ultimo è stato investito. L’incontro
e la missione di riscatto 2
ha un’importanza capitale nell’intera nell’intera struttura del poema, che sembra quasi costruito
intorno a questo episodio. Non a caso i canti XV, XVI e XVII sono centrali nel Paradiso, centralità
numerica e sostanziale. Nei canti di Cacciaguida si dà risposta, non solo alle oscure profezie che
Dante aveva avuto da varie anime, ma anche a tutti gli interrogativi che lui stesso si era
angosciosamente proposto all’inizio del suo straordinario viaggio. Proprio nel II canto dell’Inferno,
Dante aveva richiamato i due illustri esempi di san Paolo e di Enea, per confessare la sua
inadeguatezza di fronte al compito affidatogli. Enea sarebbe stato il padre dei romani, Paolo avrebbe
la fede negli animi scorati e sfiduciati. L’uno avrebbe posto le premesse dell’Impero, l’altro
rinsaldato
avrebbe rinsaldato i fondamenti della Chiesa. Virgilio aveva allora dissolto quei dubbi col racconto
del provvidenziale intervento delle tre donne benedette in favore del poeta fiorentino. Quei dubbi ora
si rivelano inconsistenti. Dante è stato investito ab aeterno di una missione altrettanto grande, di
redenzione e di riscatto dell’umanità intera; l’autorità terrena di Virgilio e quella celeste di
Cacciaguida lo confermano e danno profondo significato alla sua vita, alle sue esperienze dolorose,
in primo luogo a quella dell’esilio, necessarie perché egli potesse acquistare la capacità profetica,
attraverso un’esperienza eccezionale e affinché fosse possibile la realizzazione di un mondo migliore.
L’evento capitale dell’incontro è sottolineato dagli stati d’animo di Dante - personaggio: la sua
duplice stupefazione, cioè sia al sentirsi rivolgere la parola dall’anima beata, sia a dirigere lo sguardo
verso la sua donna, i cui occhi brillano di un riso tale da mandarlo in estasi. Lo spirito poi affronta
argomenti che superano l’umana capacità di comprensione e che rimangono ignoti al lettore; a questo
riguardo qualcuno ha ipotizzato che l’anima abbia parlato del mistero della predestinazione. In ogni
caso l’oscurità non è voluta e, dopo che il suo pensiero ha superato il limite dell’umana intelligenza
e il suo ardore di carità si è sfogato, finalmente diviene comprensibile al “nostro intelletto”. Ritorna
metafora dell’arco, ricorrente e indicativa della tensione spirituale che caratterizza il Paradiso.
qua la
Il tono alto e oratorio del discorso di Cacciaguida:
Il discorso dell’avo procede in termini di comprensibilità umana ma in un tono alto, oratorio, adeguato
all’importanza del momento. Esso è incentrato sul tema della prescienza divina che si riflette nei beati
e sull’immutabilità dei decreti del cielo, ma, pur sapendo ciò che gli chiederà il suo discendente,
L’avo
Cacciaguida lo invita a manifestare il suo desiderio. rende grazie a Beatrice, che ha fornito al
suo protetto l’aiuto necessario, per il viaggio, attraverso l’alto volo che investì
la metafora del volo:
le piume, perché si contrappone ad un altro volo, quello folle di Ulisse. Qui la differenza tra l’eroe
greco, chiuso nella superbia intellettuale e destinato alla perdizione, e il pellegrino illuminato dalla
Grazia divina che sta per raggiungere la salvezza, si fa ancora più evidente. Cacciaguida ribadisce la
sua capacità di prevedere nella mente di Dio i pensieri di Dante, giacché i beati vivono in eterna veglia
per assecondare il desiderio della vista di Dio stesso, nel quale il pensiero dei mortali si manifesta
come in uno specchio, prima ancora di pensare; ma, nonostante ciò, desidera, per soddisfare meglio
il suo amore di carità, udire il suo discendente manifestare il suo desiderio, anche se la risposta è già
stabilita nella prescienza e predestinazione divina.
La breve disquisizione logica di Dante e la domanda all’avo:
Dante sente l’importanza e la solennità del momento e prima di formulare la domanda, si rivolge a
Beatrice per avere l’assenso definitivo che rende quindi il suo desiderio ancor più impellente. Di
riprende quella dell’alto volo. L’eloquio del pronipote è all’altezza di
nuovo la metafora delle ali 3
quello del trisavolo beato, in stile alto e oratorio e soprattutto sostanziato di dotta teologia in sintonia
con i temi dottrinali toccati prima dal suo interlocutore. Viene resa esplicita la definizione teologica
sia nell’ardore di carità che nella luce di sapienza; perciò nei beati,
di Dio come uguaglianza assoluta,
illuminati da Dio stesso, il sentimento e l’intelligenza hanno uguale peso, ma ciò non avviene nei
mortali nei quali la volontà e la parola non sono uguali, per cui non c’è corrispondenza tra l’intenzione
e lo strumento per esprimerla: ecco perché lui è costretto a ringraziare per la paterna accoglienza solo
col cuore. Attingendo ai lapidari, diffusi nella cultura scientifica medievale, l’antenato viene definito
“vivo che adorna il prezioso gioiello della croce nel cielo di Marte, secondo
metaforicamente topazio”
un riferimento frequente nel Paradiso per i beati e viene poi supplicato di rivelare il suo nome.
La descrizione di Firenze:
Le prime parole di risposta di Cacciaguida ricalcano un passo evangelico che stabilisce una
significativa equivalenza tra Cacciaguida e Dio da una parte, e Dante e Cristo dall’altra, a testimoniare
la progressiva investitura divina che Dante stesso sta ormai ricevendo per la sua missione salvifica.
Hic est filius meus dilectus, in quo mihi complacui: queste sono le parole che Dio Padre pronuncia
dall’alto dei cieli dopo che Gesù è stato battezzato, alle quali si ricollegano quelle di Cacciaguida: “O
il quale definisce stesso “radice” e il suo discendente “fronda”,
fronda mia in che io compiacemmi”, sé
con metafora di ambito vegetale e con diretto riferimento all’albero genealogico di famiglia che poi
ricostruisce nei versi successivi. Ma il centro del discorso diventa subito Firenze, eletta a paradigma
del mondo, sia in senso negativo che positivo e Cacciaguida diventa l’alter ego di dante in questa
visione di una Firenze antica e mitica quale non è forse mai esistita, se non nell’idealizzazione di
Dante-autore. Quella evocata appartiene al passato, ma la definizione per contrium ne materializza
un’altra, quella presente, opposta alla prima, ovviamente in negativo. Il ritratto della città è improntato
alla misura, alla sobrietà, alla pace, alla morigeratezza dei costumi, una misura data dalla cerchia
antica di mura che bastava a contenerla quando i suoi abitanti erano ancora quelli originari di nobile
stirpe romana e non c’era stata contaminazione con l’immigrazione proveniente dal contado, con le
“bestie fiesolane”; una città nella quale il suono delle campane scandiva i ritmi del lavoro agricolo e
artigianale e la diffusione dei commerci non aveva ancora ingenerato la febbre del lucro. Ma
sopr