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IL SECRETUM
L’idea di raccogliere i testi significa ritrovare il proprio ‘io’ e ricomporlo dalla dispersione delle
esperienze della vita.
“Il Secretum”, l’intimo conflitto dei miei pensieri, angoscie, preoccupazioni. Può essere definita
l’opera piu medievale e moderna di Petrarca.
È un dialogo latino in cui dialogano due personaggi : Francesco, che corrisponde all’altezza ego
dell’autore stesso e Agostino. Sono due facce della stessa personalità di Petrarca, Francesco: il
poeta, lo scrittore, il letterato che fatica a trovare pace, costantemente irrequieto e avvinto dai beni
terreni a cui non riesce liberarsi e dall’altro lato Agostino: la voce della sua coscienza, richiamo ad
una perfetta adesione al cristianesimo.
Francesco non arriva a prevalere nettamente alla conclusione del dialogo.
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Cronologia:
Quest’opera ha un’ambientazione in un periodo specifico della vita di Petrarca (1343), ma è stata
scritta molto probabilmente successivamente, o comunque rivista dall’autore stesso.
Secondo uno studioso il dialogo è stato scritto nel 1347, poi successivamente rivisto due volte nel
1349 e nel 1353.
Nel 1343 il dialogo rifletterebbe una volontà di cambiamento e trasformazione che caratterizza la
soglia del compimento dei quarant’anni. Francesco rappresenta il Petrarca effettivo del 1343,
mentre Agostino rappresenterebbe la voce di Petrarca della piena maturità (verso il 1350).
Struttura:
Nel proemio Petrarca presenta il dialogo come la trascrizione di una “visione”. La visione è
costituita dall’apparizione di una donna che costituisce la voce della verità. La verita per tutto il
resto del dialogo è presente ma silenziosa, non intervenendo mai. Questa presenza muta della
verità corrisponde sia una certificazione a parte dell’autore della profondità di cui si sta parlando,
sia un’attestazione della natura aperta di questo dialogo, come se non ci fosse una realtà
preordinata.
Il primo giorno Agostino insiste su due punti essenziali:
→
1. Se Francesco non riesce a cambiare vita, a conformare la sua esistenza ai suoi ideali, questo
dipende dalla sua volontà, in cui risiede la radice di ogni peccato;
2. Il fulcro per riprendere possesso di sé è la meditazione sulla morte, sulla finitezza e sulla
precarietà della vita umana.
Agostino richiama Francesco ad un pensiero che ritiene fondamentale che è la morte e la finitezza
dell’essere umano.
Il pensiero della miseria umana è il punto di partenza di tutto il discorso di Agostino (pensiero
cristiano di cui è portatore Agostino). Gran parte del primo libro è dedicato da parte di Agostino , a
far in modo che penetri ll’interno delle ossa e del midollo osseo, il pensiero della finitezza
dell’essere umano. A ciò si scontra la volontà di non riuscirci da parte di Francesco.
Il Secondo giorno Agostino esamina Francesco, passando in rassegna tutti i suoi peccati
→
secondo lo schema dei peccati capitali.
Il peccato che piu affligge Francesco è l’accidia, una malattia dell’anima che lo costringe
all’inazione, all’incapacita di compiere delle scelte e di essere inattivo nella propria vita. Uno stato
morboso di intima insoddisfazione, affanno, angoscia. (Ciò che oggi potremmo chiamare
depressione). (In un’altra opera Petrarca definisce questo stato d’animo come:“Tristtitia nullis
certis ex causis orta” tristezza che non nasce da alcuna motivazione certa, che nasce solo all’interno
della propria anima.
Il Terzo giorno si concentra sulle due catene che più trattengono Francesco: il desiderio della
→
gloria terrena (incoronazione poetica) e l’amore per gloria. Queste due catene d’orate, attraverso la
loro lucentezza impediscono a Francesco di liberarmene.
Viene sottoposto ad un esame radicale, tutta l’idea dell’amore come qualcosa di mobilitante, che
eleva spiritualmente l’uomo. Viene sottoposta ad un esame una contestazione molto forte. Il fulcro
pensiero che sostanzialmente chi ama (anche se ama di un amore elevato) finisce per amare Dio a
causa della creatura (e dunque a causa della donna amata). Bellezza in cui si vede nella donna
amata la bellezza di Dio. Cristianamente uno dovrebbe amare il creato per amore del creatore. In
sostanza si pone in dubbio tutte le teorie sull’amore come fonte di elevazione.
Il terzo libro
Dedica molto spazio a questo tempo. Francesco ribatte ai molti tentativi di Agostino dicendo di non
aver amato un corpo, bensì un’anima. Francesco si fa relatore di tutte quelle visioni che definiscono
l’amore come una forza che mobilita l’essere umano a rendersi degno agli occhi della creatura
amata, anche compiendo azioni eroiche.
Francesco prova a giustificare l’amore per Laura in quanto mezzo di elevazione spirituale, ma
Agostino sconfessa questa idea, che comporta un’indebita inversione, secondo una prospettiva
rigorosamente cristiana, tra il Creatore e la creatura: non si deve amare il Creatore per la creatura,
ma l’intero creato a causa del Creatore.
L’idea di Agostino è quella che Francesco sia stato spinto dall’amore in un baratro, spostando
l’amore del celeste dal creato alla creatura.
È molto difficile in questo caso raggiungere all’idea conclusiva dello stesso Petrarca, è evidente che
Petrarca sia soggetto ad un dibattito interiore, ma che Francesco sia arrivato alla conclusione che
l’amore ribalta l’ordine di cio che dovrebbe essere l’amore cristiano.
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Agostino compie una vera e propria fenomenologia nel carattere dell’amante, mettendo in luce in
maniera pietosa quale sia la condizione di chi ama. È l’oggetto dell’amore che finisce caratterizzare
per la condizione dell’amante.
A causa del desiderio della gloria terrena, forte connubio tra letteratura e vita. L’amore per la gloria
terrena , secondo Agostino, ha portato Francesco a comporre opere grandiose nei propri progetti
che pero non sono caratterizzate alla mobilitazione di se, ma a qualcosa di esteriore.
Si tratta dell’Africa e il De viris, che l’hanno allontanato dalla riflessione su di sé. Secondo Agostino
Francesco deve abbandonare questi progetti, per ritornare in se stesso.
Il finale dell’opera è aperto: Petrarca afferma di voler affondare dei cambiamenti, ma non si vede
pronto ad abbandonare le sue occupazioni (le due catene).
Francesco afferma di voler aderire quanto piu possibile agli inviti e alle esortazioni di Agostino,
raccogliendo gli sparsi frammenti della sua anima (i critici hanno visto in questa affermazione la
volontà di raccogliere i testi ricomponendo il proprio io). Ma ora mentre parliamo mi. Attendono
molte importanti faccende, benché terrene. Dunque il dialogo non raggiunge il desiderio di
Agostino.
Infatti, il Canzoniere inizialmente si chiamava: Rerum volgarium frammenta→ frammenti di cose
volgari. Opera che esprime la volontà interiore di raccogliere dei frammenti, che risponde al
disegno che assume la poetica petrarchesca.
Proposito di Francesco di assemblare i frammenti della popria anima.
La conclusione:
«Adero michi ipse quantum potero, et sparsa anime fragmenta recolligam, moraborque mecum
sedulo. Sane nunc, dum loquimur, multa me magnaque, quamvis adhuc mortalia, negotia
expectant»
Sarò presente a me stesso quanto più potrò, e raccoglierò gli sparsi frammenti della mia anima, e
dimorerò in me con attenzione. Ma ora, mentre parliamo, mi aspettano molte e importanti
faccende, benché ancora mortali.
«‘Raccogliere i frammenti dell’anima’ significa ricomporre un ‘io’ diviso. [...] la ricomposizione
delle tessere a cui era affidata, in modo caotico e disperso, la registrazione della sua passata
esperienza equivale a ‘restituire l’autore a se stesso’» (Marco Santagata).
IL CANZONIERE
Il Titolo
Il titolo “Canzoniere” è diventato di uso comune per definire l’opera nel corso del 1900. In realta
Petrarca aveva dato un nome differente: “Francisci Petrarche laureati poete Rerum vulgarium
fragmenta” (Frammenti di cose volgari di Francesco Petrarca, poeta laureato).
Un altro titolo venne dato da Boccaccio negli anni 60 del 1300: “Viri illustris poete celeberrimi
francisci petrarce de florentia rome nuper laureati fragmentorum liber incipit feliciter (‘incomincia
sotto i migliori auspici il libro dei frammenti dell’illustre uomo e celeberrimo poeta Francesco
Petrarca da Firenze, nei nostri tempi laureato a Roma’).
Dal Quattrocento diviene abituale la designazione di Canzoniere.
«Nuge»
Petrarca tende a deprimere il valore della letteratura in volgare rispetto a quella in latino. Tuttavia i
suoi giudizi devono essere contestualizzati e considerati anche alla luce della realtà di fatto.
Petrarca definisce ad es. le proprie liriche nuge, ‘sciocchezze, bazzecole’, ma questa espressione,
impiegata ad esempio da Catullo nel testo proemiale del suo liber, non deve essere sopravvalutata:
Petrarca la usa anche per altri testi, come le epistole in prosa e in versi, che vengono presentati
sempre come testi della giovinezza.
Tutti questi testi condividono caratteristiche essenziali:
1. Sono di limitata estensione;
2. Sono di natura occasionale;
3. Sono di carattere autobiografico. 13
Primo Testo pagina 5
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono A
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core B
in sul mio primo giovenile errore B
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, A
del vario stile in ch’io piango et ragiono A
fra le vane speranze e ’l van dolore, B
ove sia chi per prova intenda amore, B
spero trovar pietà, nonché perdono. A
Ma ben veggio or sì come al popol tutto C
favola fui gran tempo, onde sovente D
di me medesmo meco mi vergogno; E
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, C
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente D
che quanto piace al mondo è breve sogno. E
Et (v.12) resa grafica di un segno che si trova nel codice del Canzoniere. Questi primi testi non sono
copiati da Petrarca ma da un copista chiamato Giovanni Malpaghini. Quest’opera di copia è stata
poi copiata da Petrarca stesso, ordinatamente secondo una predisposizione precisa a partire dal
primo testo. All’epoca non si utilizzava l’apostrofo, ne l’accento. Et viene pronunciato solo quando
si trova davanti ad una vocale. C’è infatti una differenza tra la resa grafica e la pronuncia, poiche la
lingua italiana non era stabilizzata