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RISTO
arme: richiamo a Virgilio → “arma virumque cano”
pietose: da intendere nel senso di “pie” perché strumento di un’azione devota e religiosa.
2^ OTTAVA
O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona, tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte d'altri diletti, che de'
tuoi, le carte.
Invocazione alla musa x aiutare il poeta. Chi è la musa? Sappiamo di per certo che non sono le muse di
ispirazione classica; viene definita diversa, rispetto alla tradizione pagana, è una forza celeste e quindi è
sostanzialmente cristiana, che non circonda la propria fronte di caduchi allori ma ha una corona d’oro di
stelle immortali e si trova nel cielo, in paradiso tra i beati. Esplicitamente però non ci dice chi sia.
Evidente contrapposizione tra i simboli delle due figure che sono una contrapposta all’altra ed in
particolare è evidente l’opposizione: “caduchi-allori” e “stelle-immortali” —> contrapposizione
significativa: l’alloro è da sempre il simbolo della tradizione poetica e quindi è simbolo dell’immortalità
della poesia e conferisce rinomanza. Qui pero dice che gli allori sono destinati a cadere —> si
contraddice una delle caratteristiche fondamentali della tradizione poetica.
La seconda ottava è caratterizzata dalla seconda persona singolare, proprio come il primo verso
dell’Iliade e riprende si in anafora nei versi successivi.
“Celesti ardori”: l’ardore è una parola che nella tradizione poetica è utilizzata per la passione poetica, ma
qui ribadisce la contrapposizione tra ispirazione pagana e cristiana.
Finale dell’ottava: intreccio storia-finzione (vero-verosimile) —> alla musa religiosa che è anche la musa
della rivelazione/della verità, il poeta chiede perdono.
3^ OTTAVA
Sai che là corre il mondo ove piú versi di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che 'l vero, condito in molli versi,
i piú schivi allettando ha persuaso.
Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l'inganno suo vita riceve
L'autore ricorre alla similitudine del bambino malato che deve bere un'amara medicina e che viene
ingannato facendolo bere da un "vaso" i cui bordi siano stati cosparsi con "soavi licor", poiché da questo
inganno egli riceve la guarigione e la vita: fuor di metafora i "succhi amari" sono gli insegnamenti morali
dell'opera, mentre le sostanze dolci sono appunto i "diletti" poetici inseriti nella materia propriamente
epica, ovvero gli intermezzi idillici che apparentemente potevano stonare in un poema dedicato a
un'impresa santa come la Crociata che aveva portato alla riconquista di Gerusalemme. Tasso trae la
similitudine da Lucrezio, che usa un'immagine molto simile per giustificare anch'egli la scelta di
affrontare la materia filosofica dell'epicureismo musaeo dulci... melle ("col dolce miele proprio delle
Muse"), onde evitare che il volgo, restio al linguaggio del sapere, se ne allontani come disgustato.
Le ott. 4-5 anticipano il motivo encomiastico al centro del poema, dedicato ad Alfonso II d'Este (all'epoca
protettore di Tasso e signore di Ferrara) che viene ringraziato dal poeta in quanto lo ha generosamente
accolto nella propria corte, lui che era "peregrino errante" in quanto privo di una patria, esule come il
padre Bernardo che aveva seguito nell'infanzia: l'autore usa la consueta metafora del viaggio in mare,
che per lui è stato difficile perché fiaccato dal fortunale (un vento tempestoso) e rischiava di venire
inghiottito dalle onde, finché Alfonso lo ha sottratto alla burrasca e lo ha condotto in porto, dal momento
che gli anni della composizione del poema a Ferrara furono in effetti i più sereni nella vita personale di
Tasso. Il poeta auspica addirittura che Alfonso possa assumere il comando di un'ipotetica futura Crociata
volta a riconquistare la Terrasanta, per cui il signore di Ferrara viene chiamato "emulo di Goffredo" e a lui
il poema è offerto come un "voto", come un dono consacrato per il suo contenuto religioso. Il tema
encomiastico verrà sviluppato soprattutto con il personaggio di Rinaldo, leggendario capostipite degli
Este e figura analoga al Ruggiero del Furioso, specie nel canto XVII in cui il mago di Ascalona farà la
rassegna degli illustri antenati del guerriero e profetizzerà la venuta di Alfonso, "primo in virtù ma in titolo
secondo". Nella Conquistata la celebrazione degli Este ovviamente verrà meno, in seguito alla prigionia
di Tasso nell'ospedale di Sant'Anna e alla rottura dei rapporti con Alfonso, e il secondo poema sarà
dedicato al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote del papa Clemente VIII e protettore del poeta negli
ultimi anni.
(4) Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scoglj,
E fra l’onde agitato, e quasi assorto;
Queste mie carte in lieta fronte accogli,
Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia, che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch’or n’accenna
(5) È ben ragion, (s’egli averrà ch’n pace
Il buon popol di Cristo unqua si veda,
E con navi e cavalli al fero Trace
Cerchi ritor la grande ingiusta preda,)
Ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace
L’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
Intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.
6^OTTAVA
Già ’l sesto anno volgea, ch’n Oriente
Passò il campo Cristiano a l’alta impresa;
E Nicea per assalto, e la potente
Antiochia con arte avea già presa.
L’avea poscia in battaglia incontra gente
Di Persia innumerabile difesa,
E Tortosa espugnata; indi a la rea
Stagion diè loco, e ’l novo anno attendea.
6 anni dopo la crociata; viene considerato il vero e proprio inizio della narrazione, infatti già dà avvio al
racconto retrospettivo dei primi anni della campagna militare delle forze crociate. Con un rintocco delle
fonti storiche, T. allunga da 3 a 6 anni gli anni impiegati dai crociati per giungere alle porte di
Gerusalemme; azione che giustificherà più tardi nell’opera Giudicio.
alta impresa: crociata onmeglio dire liberazione del Santo Sepolcro.
Ciò che riguarda inizio e fine della crociata non deve essere alterato.
TANCREDI E CLORINDA
Rappresentano due possibilità di interazione tra vero e verosimile: Tancredi è esistito veramente, è
quindi un personaggio storico, Clorinda no, è inventata ed è altamente letteraria e dialoga con diversi
personaggi della tradizione epica antica, come ad esempio la vergine armata Camilla: riprende le sue
caratteristiche, nel senso che rifiuta la passione amorosa e si dedica alle armi.
Tancredi è sviluppato come un personaggio che trae spunto (stando alle prove) ma è gestito secondo un
ottica di grande amplificazione, nel senso che T. riprende uno spunto che ritrova nella tradizione delle
cronache della crociata e lo amplifica, facendolo diventare un paladino completamente soggiogato dalla
passione d’amore che gli impedisce di portare avanti la sua missione, ovvero di dare il suo contributo
all’assedio a Gerusalemme.
L’amore di Tancredi è riposto in una donna musulmana, quindi è doppiamente peccaminoso perché
sottrae il paladino dal suo ruolo di crociato e perché è rivolto ad una pagana.
In questo rapporto appare un’altra donna, e si parla di lei nel terzo canto; lei è Erminia, principessa del
regno di Antiochia abbattuto da Tancredi, che si innamorò del paladino, il quale però, come sappiamo, è
innamorato di Clorinda.
Aladino le chiede di descrivere tutti i personaggi/paladini, e arrivando a descrivere Tancredi, si
commuoverà.
8^ OTTAVA: il soggetto è dio → presentazione di Tancredi fatta attraverso gli occhi di dio; si dipinge il
suo essere folle d’amore per Clorinda.
La seconda tappa della presentazione di tancredi avviene sempre all’interno del primo canto, durante la
rassegna dell’esercito crociato, che passa sotto gli occhi di Goffredo.
Mirò tutte le cose, ed in Soría
S’affissò poi ne’ Principi Cristiani;
E con quel guardo suo ch’addentro spia
Nel più secreto lor gli affetti umani,
Vede Goffredo che scacciar desia
Dalla santa Città gli empj Pagani:
E pien di fè, di zelo, ogni mortale
Gloria, impero, tesor mette in non cale.
45^ OTTAVA (e seguenti): Tasso guarda sempre la tradizione epica ma con occhi innovativi, ed
approfitta della sfilata delle forze cristiane per dare maggiori informazioni su Tancredi.
All’interno del canto 1, c’è questa microsequenza che interrompe l'andamento catalogo tipico della
rassegna, e si concentra sulla figura di un personaggio storico in particolare.
E’ molto complessa:la prima metà è molto descrittiva e Tancredi viene presentato come un valente
paladino con le virtù di un paladino cristiano. Tancredi viene presentato come quello che potrebbe
essere il paladino più importante e grande, subito sotto a Rinaldo, se non fosse innamorato; nella
seconda parte dell’ottava si torna sulla nota dolente della follia d’amore, che va oltre la razionalità ed
impedisce a Tancredi di focalizzarsi sull'obiettivo della crociata.
Nel distico finale, il narratore dà maggiori info sul loro amore, che è nato durante la spedizione militare
all’improvviso (colpo di fulmine, boom), ed è un amore che si nutre di sofferenze e proprio da loro
acquista un nuovo vigore → richiamo al v37 dei Trionfi di Petrarca.
Si noti come il racconto dell’innamoramento comporti una torsione stilistica verso istanze liriche, con
diversi prelievi da Petrarca e dalla tradizione del 400-500.
Vien poi Tancredi; e non è alcun fra tanti
(Tranne Rinaldo) o feritor maggiore,
O più bel di maniere e di sembianti,
O più eccelso ed intrepido di core.
S’alcun’ombra di colpa i suoi gran vanti
Rende men chiari, è sol follia d’amore:
Nato fra l’arme, amor di breve vista,
Che si nutre d’affanni, e forza acquista.
46^ OTTAVA: inizia il flashback, all'interno della narrazione si inserisce il flashback con il quale Tasso
racconta il primo incontro tra Tancredi e Clorinda, amore scatentat