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IL DECAMERON
L’approccio scientifico al libro impone che il punto di partenza debba essere sempre la
genesi del libro, i tempi e i modi della scrittura del Decameron. Può anche essere una
domanda dell’esame, come quando e perché il libro è stato scritto.
Genesi e composizione. Non sappiamo con precisione quando sia stato composto.
Possiamo solo collocarne la stesura entro un periodo che va grossomodo tra la fine del
1348 (perché il libro si apre con la descrizione della peste che colpì Firenze fra l’estate
e l’autunno), fino alla seconda metà degli anni ’50. Perché una lettera di Francesco
Mondelmonti a Giovanni Acciaiuoli, datata 13 luglio 1360, dimostra che l’opera
circolava già da qualche tempo almeno a Napoli. È la prima attestazione certa
dell’opera. Probabilmente non era neppure una versione completa del Decameron.
Boccaccio coltiva fin dalla giovinezza la prosa narrativa in volgare. Inserisce novelle e
brevi racconti anche nel Filocolo e nella Comedia delle ninfe fiorentine -> immediati
antecedenti del libro. Molto probabile che alcune novelle e alcuni racconti poi dopo il
1348 confluiti nel progetto del libro, siano stati scritti da Boccaccio prima ancora
dell’idea del Decameron, probabilmente già a Napoli prima ancora della stesura del
Filocolo e della Comedia. Impossibile precisare quante e quali siano queste novelle.
Non ci sono giunti dei codici che trasmettono redazioni precedenti dell’opera, non
abbiamo fasi intermedie che attestano questo lavoro, né copie manoscritte di
Boccaccio di singole novelle, in una stesura anteriore che non sia quella finale. Non
possiamo ricostruire con precisione queste fasi intermedie.
Nell’introduzione alla quarta giornata (uno dei luoghi fondamentali del libro) Boccaccio
proemio al
si difende dalle critiche che gli sono stati mosse da alcuni lettori. È il
mezzo, cioè inserito nel cuore del libro. C’erano precedenti di un proemio inserito in
corso d’opera, primo fra tutti il capitolo 16 della Vita nova di Dante. Il proemio a mezzo
era una consuetudine. Proemio in cui si replicava di solito ad obiezioni reali o
Instituzio
immaginarie suscitate dall’opera. Forma consueta presente in Dante, nella
Oratoria De Civitate Dei
di Quintiliano e nella di Agostino, tutte opere note a
Boccaccio. Si accennava alle reazioni suscitate dalla lettura del libro. È plausibile
anche l’ipotesi che davvero Boccaccio avesse fatto circolare precedentemente forme
parziali della propria opera, era una consuetudine per saggiare le reazioni, soprattutto
anche degli amici. Probabile che ci sia stato dissenso, critiche all’opera. Sono circolate
le prime tre giornate, visto che inserisce il proemio nella quarta. Rispetto alle prime tre
giornate alcuni critici hanno colto una sorta di virata contenutistica, un cambiamento
dei contenuti. Nelle giornate a venire si affrontano una serie di tematiche nuove, che
sono l’amore, il motto, la beffa e la virtù.
C’è anche un'altra affermazione importante nella conclusione dell’opera. L’autore
afferma, dichiara di aver quasi concluso l’opera, e una sua vicina ha dimostrato di
apprezzare profondamente la lingua dell’opera, giudicandola la migliore e più dolce del
mondo. Riflette sulla genesi compositiva, dice che gli mancano poche novelle da
scrivere. Esiste dunque al di là di questi argini cronologici la probabile proto-diffusione
del libro che ha sicuramente riguardato o solo singole giornate o alcune novelle. Alcuni
critici osano dicendo che questa proto-diffusione ha riguardato intere diffusioni
primitive dell’opera.
Compaiono nel libro una serie di aporie e contraddizioni interne che possono essere
sfuggiti ad un’ultima redazione del libro. Dobbiamo guardare al libro come ad uno
aperto, in divenire, in cui ancora oggi non v’è certezza del testo che leggiamo. Le
ballate chiudono la giornata, e sono intonate sia dalle donne che dagli uomini della
brigata, eppure nel proemio Boccaccio afferma che saranno solo le donne a cantare ->
prima aporia. L’autore continuamente lavorava alla sua opera. Sempre nel proemio
scrive che il libro narra piacevoli e aspri casi d’amore, e altri fortunati avvenimenti
avvenuti in tempi antichi e moderni. Anche novelle comiche, di motto, di beffa, le
novelle ambientate nell’antichità sono poche. Boccaccio programmatico nel proemio
che nel corso d’opera non fa che smentirsi. Straordinaria ricchezza dell’opera, fascino
dell’incompiuto, di un autore alla continua ricerca di sé e di una perfezione
irraggiungibile. Si potrebbe pensare che in origine nella brigata ci fossero solo donne,
e quindi anche le ballate dovessero essere cantate solo da donne, come nella Comedia
delle ninfe fiorentine.
Forse non prevedeva le giornate 6 e 8, che sono riservate ai motti e alle beffe.
Architettura dell’opera in crescita. Volontà di arricchire l’opera. Alcune ripetizioni sono
particolarmente stridenti e colpiscono, soprattutto nelle prime tre giornate. Siccome
probabilmente circolavano già da tempo l’autore non se l’è sentita di rimettere mano a
queste giornate. Anche l’introduzione alla quarta giornata per una serie di dettagli
interni sembra composta quando il progetto del libro non era ancora arrivato nella sua
forma definitiva. Anche il proemio in mezzo nasce in corso d’opera. Ad esempio in
questo proemio afferma che le sue novelle sono senza titolo, mentre invece esso era
già presente, fin dal principio c’era titolo e sottotitolo, altrettanto importante.
Sono scritte in “stile umilissimo e dimesso”. Una dichiarazione che potrebbe essere
topos
eletta come affettazione di modestia, letterario, ma esclude una serie di novelle
fondamentali anche nella quarta giornata stessa, grandi novelle tragiche. Boccaccio
tende sempre a migliorare sé stesso, e arricchire il libro, esistono tracce di preistoria
della genesi del libro e di diacromia, un continuo lavoro. Non è neppure detto che le
ultime novelle siano le più recenti, esistono novelle inserite alla fine che
probabilmente risalgono al periodo napoletano. Alcune delle novelle presenti nella
prima giornata sono tra le più antiche, per una serie di motivazioni, soprattutto per il
rapporto di familiarità e brevità che molti di questi testi esibiscono con il novellino.
Filiazione diretta con il novellino. Terza e nona novella della prima giornata.
Altre aporie che fanno pensare a un Boccaccio quasi perso nel labirinto del proprio
libro sono quelle presenti tra le novelle e le rubriche, i preamboli o le conclusioni,
contraddizioni in questi testi. Queste soglie del testo potrebbero essere state aggiunti
dopo in testi già composti in precedenza. Novelle già scritte che in seguito converte
alla struttura del nuovo libro. Non è il primo caso, è un modo tipico di procedere, primo
tra tutti la Vita nova di Dante. Correda le sue rime giovanili di prose, e quindi ci sono
aporie tra prose e versi. Fenomeno che si verifica soprattutto nella prima parte del
libro, prime tre giornate che circolarono presto. Allo stesso modo ci sono alcune
novelle, soprattutto quelle di più basse dimensioni che presentano incongruenze
spiegabili solo con un processo di revisione non perfezionato, portato a termine dallo
scrittore. Vere e proprie sviste, copista imperfetto anche delle proprie opere. Ad
esempio, nella ottava novella della seconda giornata, dove delle frasi, dei dialoghi
vengono messe in bocca a due personaggi diversi. Intestazione comune della
tradizione. Altre aporie presenti anche nella novella settima della ottava giornata.
Possibili segnali di un cammino accidentato del libro e delle singole novelle. Tutto ciò
induce a riflettere sulla tradizione e sulla prima circolazione dell’opera.
Esistono di Boccaccio un grande numero di autografi, tra cui abbiamo anche il
manoscritto Hamilton 90, custodito a Berlino, databile intorno al 1370. Inizialmente
era stato concepito come una bella copia dal suo autore, poi però si trasforma in una
copia di lavoro, su cui inizia a lavorare come dimostrano le tantissime correzioni di
mano boccacciana. Si tratta di un libro di grande formato, allestito secondo il modello
del libro scientifico e universitario medievale. Non è un dato da poco, è testimonianza
della profonda importanza che egli attribuiva al suo libro. Al termine di ciascuno dei 13
capitoli spiccano nel margine inferiore alcuni piccoli ma bellissimi disegni di mano di
Boccaccio tutti raffiguranti a mezzo busto personaggi delle novelle e della brigata.
Presenza di un autografo di mano dell’autore che risale agli ultimi anni della sua vita. Il
testo del Decameron trasmesso dall’Hamilton 90 rappresenta un problema filologico.
Boccaccio lo trascrive, ormai vecchio e malato, era sempre stato un copista impreciso
e disattento, abbonda di errori anche qui, errori banali, trascuratezze e imprecisioni.
Soprattutto non è stato ancora chiarito il rapporto di questo testo con altri testimoni
del libro. Il più grande filologo italiano dello studio di Boccaccio, Branca, solo negli anni
‘60 del ‘900 ha dimostrato l’autenticità dell’Hamilton 90. È importante perché
rappresenta l’ultima stesura del Decameron di mano dell’autore, ma pone tanti
problemi. Intanto è un codice a cui mancano delle parti, non è completo del
Decameron. Problema di mutilazione dell’opera. Manca in particolare tutta l’ottava
giornata, e mancano in parte le giornate 7, 9 e 10. Testo mutilo e non di poco.
Conserva anche una serie di annotazioni e commenti, chiose. Il codice non è solo un
cimelio prezioso come era stato ritenuto fino agli anni ‘60, ma era autografo. La data
però è tarda, Boccaccio muore nel 75. Dimostra che l’autore cura amorosamente e
ossessivamente questo libro, fino al finire dei suoi anni. Torna su un testo molto
lontano, prima di morire ha questa ossessione di riprendere e ritrascrivere questo
libro. Dato importante perché dopo gli anni ‘50 la carriera di Boccaccio prende un'altra
strada rispetto al Decameron. Sperimenta molte forme, con esiti diseguali. Insegna
della irrefrenabile vocazione di narratore. Affidare la propria idea sul mondo alla
scrittura, in prosa o in ottava rima. Vocazione di narratore significa anche smania di
narrare, fin dalle origini. Il 1350 segna un discrimina anche per l’incontro con Petrarca.
Non solo Boccaccio si “converte” ma ripensa criticamente alla propria vita letteraria.
Petrarca insinua in Giovanni dei profondi dubbi che lo feriscono sulla morale del
proprio capolavoro, sminuendone l’importanza. Petrarca è il mentore della stagione
senile di Boccaccio, è anche responsabile di una certa fort