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L’IMMOBILITÀ DEL DIRITTO “DIVINO”, L’ELASTICITÀ DEL DIRITTO “UMANO”
importante libello dell’ultimo decennio dell’11° sec,
È da ricordare un il TRATTATO
METODOLOGICO SCRITTO DA IVO, un canonista francese vescovo di Chartres, quale
premessa a un suo grosso lavoro compilatorio, una antologia di testi precedenti di indubbio
rilievo per l’operatore canonista.
tra vecchio e nuovo e ben riflette quegli ultimi decenni dell’11° sec che
Ivo è uomo di spartiacque
gli storici della Chiesa chiamano età gregoriana: immerso fino al collo nella grande disputa sulle
investiture, mette la sua fatica al servizio della riforma in atto.
Egli fa suo il rigorismo di Gregorio VII, nel tentativo di:
Mettere argine ai troppi e incontrollati frazionismi consuetudinari
ordine nell’arsenale dottrinale
Far accumulato nel millennio
Armonizzare la antinomie che la vita ecclesiale plurisecolare aveva ammucchiato
Sono questi i segni del nuovo di cui Ivo è partecipe e con cui è solidale: è da qui che nasce il
all’insegnamento concorde della Chiesa, il marcato sfavore con cui si guarda ai
richiamo insistente
particolarismi consuetudinari, l’elencazione dei libri autentici e di quelli apocrifi.
primario di quest’opera, l’esser cioè una
È da qui che nasce un aspetto consonantia canonum.
In questo trattatello egli ripensa anche a come si è venuto caratterizzando il diritto della Chiesa,
alla sua intrinseca tipicità, è quindi anche la preziosa sintesi retrospettiva di un lungo processo di
formazione, in cui sono citati pontefici come Innocenzo I, Leone Magno, Gregorio Magno, ecc.
Nel raccogliere lettere pontificie, canoni di concili, pagine dei Santi Padri e frammenti del diritto
romano o di capitolari franchi, Ivo di Chartres si preoccupa di possibili errori e fraintendimenti
del lettore, e intende fornirgli una guida alla corretta interpretazione di tutto questo materiale.
La prima preoccupazione è che il lettore rimanga sconcertato dalla varietà di soluzioni previste
per la stessa fattispecie giuridica che talora mostra anche aperte contraddizioni.
Da qui la necessità di precisare alcune fondamentali regole interpretative mediante le quali il
lettore riuscirà a recuperare la sostanziale unità del diritto canonico.
Tutto si deve alla “strumentalità” del diritto per la Chiesa: essa è produttrice di un diritto suo
proprio ma non lo colloca quale suo fino, bensì lo qualifica sempre e solo come strumento per
conseguire l’unico vero fine della Chiesa, la conquista dell’eternità.
Il diritto canonico appare a Ivo quello che realmente è, uno strumento creato per l’uomo pellegrino
che procede sotto il fardello delle sue fragilità, e se deve essere strumentale a questa creatura
fragilissima, non può essere concepito come una regola uguale per tutti: la legge canonica deve
tener conto delle fragilità umane che ha di fronte e, per ordinarle adeguatamente, deve
conformarsi ad esse, “elasticizzarsi” per aderire ai diversi corpi sottostanti.
Nascono da qui le discordante, interpretabili come ripudio di ogni rigorismo formalistico, ed è su
questo punto che si recupera l’unità sostanziale: le discordanze non sono lacerazioni, ma il
naturale atteggiarsi di un diritto che è umanissimo che mal si presta ad essere ridotto in norme,
tant’è che la Chiesa è stato l’ultimo dei grani ordinamenti a darsi un Codice dopo forti perplessità.
Il nesso tra diritto canonico e salvezza eterna, così come provoca plasticità, esige alcune incrollabili
l’ordinamento giuridico canonico appare articolato
immobilità, sicché in 2 livelli distinti:
Il primo superiore, contraddistinto da una immutabilità assoluta, è un patrimonio intoccabile
Il secondo inferiore, plasticissimo e mobilissimo
È lo stesso fine della salvezza a pretendere una siffatta articolazione.
Il vescovo di Chartres sostiene che tra i comandi che impongono o vietano un comportamento,
taluni sono mobili, altri immobili: è immobile se sancito dalla legge eterna e la sua osservanza
conferisce la salvezza, mobile se è stato solo successivamente identificato come strumento utile al
fine di garantire un più sicuro accesso a queste.
dicotomia che Ivo raccoglie dalle fonti precedenti e che sorregge ancor oggi l’ordine
È la
canonico positivo, fra due diritti entrambi tesi alla salvezza eterna dei fedeli:
IUS DIVINUM, composto da poche regole essenziali, costituzionali, rivelate da Dio perché
necessarie per l’accesso al Regno
IUS HUMANUM, composto da un enorme complesso di regole accumulatesi nella vita storica
ecclesiastica, escogitate dalla Chiesa perché utili e facilitanti, in quanto agevolano ai fedeli la
strada della salvezza. 22
La gran parte del diritto canonico è diritto “umano”, ed è materiale giuridico di straordinaria
elasticità: se è sorretto da un criterio di sola utilità, questa utilità va commisurata alle situazioni
concrete proprie di ogni soggetto e circostanza, ed è per questo che i superiori ecclesiastici talora
applicano con severità e rigore i sacri canoni, mentre talora tollerano che siano commesse violazioni.
Sono queste parole dello stesso Ivo.
Le discordanze si profilano nel momento di applicazione della norma e significano
semplicemente che essa è suscettibile di differente applicazione (pieno rigore, moderazione, non-
applicazione), da considerarsi sempre opportuna e doverosa: la norma deve poter variare a
seconda delle variazioni su cui si ordina se non vuol mancare al suo carattere strumentale.
Si delinea così nitidamente uno dei cardini del diritto canonico anche odierno, e cioè la teoria della
dispensa, del dovere del superiore ecclesiastico di non applicare la norma se, a sua discrezione,
quella applicazione può esser fonte di nocumento più che di giovamento spirituale.
Questo aspetto dimostra ancora la singolarità di un diritto che ha radici e caratteri suoi propri,
irripetibili e connessi alla sua qualità di strumento per l’ordinamento di una società religiosa.
questa teoria della dispensa era congeniale all’indole della politica papale dell’età
Per concludere,
gregoriana e dello stesso Gregorio VII, per il quale la dispensa è strumento ammirevole di direzione
e di guida, garanzia di accentramento, direttamente legata a quel potere che Cristo ha trasferito a
Pietro e ai suoi successori di legare e sciogliere per l’accesso al Regno. 23
EDIFICAZIONE dell’esperienza giuridica
LA MATURITÀ D’UNA ESPERIENZA GIURIDICA
6. E LE SUE TIPICITÀ ESPRESSIVE
TRA 11° E 12° SECOLO: CONTINUITÀ E MATURITÀ DI TEMPI
Volpe ha parlato dell’11° secolo come un tempo “ricco di origini”:
Lo storico italiano Gioacchino
rischio di avvalorare l’idea dell’avvio sostanziale di un tempo “nuovo”,
questa frase reca però in sé il
mentre QUESTO SECOLO È PIUTTOSTO UN MOMENTO DI MATURITÀ: i tempi sono maturi per
raccogliere i frutti di tante seminagioni altomedievali lente ma costanti.
di buona parte dell’Europa occidentale appare
Alla fine del 11° secolo il passaggio agrario
significativamente mutato, ormai dominato da campi coltivati, con il conseguente risultato di una
attenuazione dell’incubo della fame:
maggior quantità di prodotti agrari disponibili e di una notevole
si produce di più, si mangia di più, si nasce di più.
La crescita demografica è cospicua e la stessa psicologia collettiva si modifica: se prima gli uomini
sede ideale per l’incontro
si rifugiavano nella protezione murata del cancello, ora la comincia ad
esse la città, sempre situata su grandi arterie di comunicazione che le portano sangue e vita.
In questo modo si allarga sempre più il tessuto di relazioni, e la città è soprattutto un segno di
fiducia collettiva perché è comunità aperta, come lo è la migliore qualità intrinseca e la maggior
circolazione della moneta. l’esubero di
Prende sempre più consistenza un soggetto sostanzialmente nuovo, il mercato:
località rende necessario lo scambio e l’ingranaggio insostituibile di ogni scambio,
prodotti di certe
il mercante professionista. Non si ha più quindi la permuta tra prodotti nel rudimentale mercato del
ma l’intraprendenza di un soggetto che fa dell’intermediazione negli
villaggio protomedievale,
scambi il proprio mestiere.
Ma il mutamento investe pienamente anche la dimensione spirituale della società, esprimendosi in
una riflessione diffusa e affinata che percorre tutte le scienze umane, a partire dalla teologia che
comincia ad interrogarsi sui grandi problemi dell’uomo nei suoi rapporti con Dio, il cosmo e la società.
Nel clima sollecitante della riforma gregoriana si assiste ad un movimento che non ha precedenti:
si discute e si dibatte (il monologo diventa dialogo), le idee circolano assai più di prima e il
contemplatore solitario cede ad una realtà naturalmente dialogica, la scuola, come centro che
amplifica, approfondisce, problematizza un certo programma culturale (es. la grande scuola di
Chartres e il convento parigino di San Vittore).
La cultura si fa ricchezza assai più diffusa e la scuola lascia le mura segreganti del monastero
per scendere nelle città, spesso accanto alle cattedrali nei crocevia più affollato.
Ad un mondo tendenzialmente statico sembra sostituirsi un mondo assai più dinamico,
contrassegnato da una circolazione intensa che investe tutti i livelli della vita. 24
I SEGNI DELLA CONTINUITÀ
IL PRINCEPS-IUDEX e la produzione del diritto: il potere politico come iurisdictio
L’antica tradizione che identificava nel principe il giudice supremo dei propri sudditi e nella giustizia
Sant’Isidoro,
la sua primaria funzione e virtù era integralmente raccolta, ai primi del 7° secolo, da
per il quale “i re sono così chiamati perché reggono il governo della comunità. Le principali virtù
regie sono due: la giustizia e la pietà”.
Questa concezione la si ritrova intatta, a metà del 1100, nel primo grande trattato di filosofia
politica del momento sapienziale scritto dal prelato inglese Giovanni di Salisbur dove il principe è
ritratto quale “imago e nella riflessione di
aequitatis” san Tommaso, che insiste sul principe come
“custode di ciò che è giusto”.
La funzione essenziale di questo princeps-iudex non è creazione del