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Poteva essere esclusivamente una donna in qualche modo “esentata/esonerata
dal seguire la regola comune”;
“che avesse avuto molti figli di padre incerto”, senza per questo poter essere
chiamata prostituta, che tale mestiere non esiste in paese;
che mostrasse una certa “libertà di costumi”, ma soprattutto che si dedicasse
“alle cose dell'amore e alle pratiche magiche per ottenerlo”, e quindi una
strega.
Giulia era una donna alta e formosa, con un vitino sottile come quello di
un'anfora. Durante la sua gioventù aveva una solenne bellezza ma con gli anni
il suo viso era coperto di rughe e giallo per la malaria.
La fronte era alta e dritta, mezza coperta da una ciocca di capelli neri e lisci, gli
occhi a mandorla, neri opachi, il naso era lungo e sottile e la bocca larga dalle
labbra sottili e pallide, con una piaga amara si apriva per un riso cattivo e
mostrava due file di denti bianchissimi potenti come quelli di un lupo.
Inoltre, Giulia aveva avuto tra parti normali e aborti, 17 gravidanze, da 15 padri
diversi.
Giulia conosceva tutti e sapeva tutto: le case di Gagliano non avevano segreti
per lei. Lei era una donna antichissima, come se avesse avuto centinaia d'anni,
ma la sua Sapienza non era quella proverbiale delle vecchie, legata a una
tradizione impersonale, ma era una specie di fredda consapevolezza passiva
dove la vita si specchiava senza pietà e senza giudizio morale: compassione e
biasimo non apparivano mai sul suo sorriso. Lei era, come le bestie, uno
spirito della terra, non aveva paura del tempo, né della fatica, né degli
uomini. Sapeva portare senza sforzo i lavori pesanti. Inoltre, nella preparazione
dei filtri Giulia era una maestra infatti molte ragazze si recavano da lei per
consigli inerenti alla preparazione di intrugli amorosi. Ella conosceva bene le
erbe e il potere degli oggetti magici, sapeva curare le malattie con gli
incantesimi e poteva far morire chi volesse con la sola virtù di terribili formule.
Levi descrive Giulia Venere “spirito della terra” in tutta la sua primitiva bellezza
e potenza sottolineando la a-temporalità di donna antichissima, che sembra
avere centinaia di anni.
Ritorna l'elemento meta-storico della sopravvivenza al mutamento che
consente di spiegare il divenire della storia, ma anche la capacità di intervenire
per modificare il futuro attraverso delle pratiche di magia popolare.
maciari streghe
I contadini si affidavano ai e alle in quanto appartiene loro, la
capacità di conoscere il passato e il futuro ma soprattutto di poter modificare il
corso degli avvenimenti.
Ritornando a “zio Giuseppe”, De Martino riporta una testimonianza che
contribuisce a delinearne anche la psicologia.
Una certa, Angela D'Amico racconta di essere una madre di una bimba di
quattro anni malata. La scienza ufficiale non solo non riesce a guarirla ma si
dimostri incapace di emettere una diagnosi precisa. Quindi la donna decide di
affidarsi alle cure della tradizione contadina.
Il maciaro è un personaggio potremmo dire permaloso, quando avverte che si
stanno mettendo in discussione le sue capacità; rifiuta di indovinare se rileva
che il soggetto che ha dinanzi non gli si affida completamente. Di particolare
rilevanza il richiamo alla nascita di zio Giuseppe prima di quella di Cristo,
poiché ricollega la funzione del maciaro e i riti che pratica alla sfera
metastorica che consente di riconoscere ciò che permane il cambiamento dei
fatti storici alla conoscenza del passato e del futuro.
Inoltre, si ritiene che esso oltre a disfare le fatture possa anche tessere malie,
soprattutto in materia amorosa, e a volte si trova in nell'imbarazzante
condizione di dover disfare una fattura da lui stessa fatta.
Infatti, possiamo far riferimento alla storia di un giovane, testimone di De
Martino, visitato durante il suo sonno di adolescente, dalle maciare che
“entravano dal buco della serratura e si sedevano sul letto: allora voleva
chiamare la madre ma la parola gli si fermava in bocca, per non farsi toccare
da loro si spostava nel letto e riuscì a gridare punto così le mando via”.
anche il giovane è vittima di una malattia che la medicina non sa spiegare e
che si reca dallo zio Giuseppe che gli dice che non si tratta di una fattura non
era una fattura, ma non era neppure una malattia, poiché le autorità in materia
(lo zio e la medicina) lo escludevano.
Solo un vecchio, incontrato durante uno dei suoi ricoveri napoletani, gli legge la
mano e gli conferma la presenza di un elemento magico. L'intervento
“provvidenziale” dei parenti, che si rivolgono a una marciara, riesce a sciogliere
la fattura, solo allora il giovane si rende conto della particolare condizione dello
zio Giuseppe:
Infatti ritorna dallo zio Giuseppe chiedendogli il perché gli ha detto che non era
una fattura, ma una malattia sapendo appunto che era una fattura. Secondo il
giovane l'ha fatto perché prima di lui ragazzo c'era andato una ragazza per
fargli fare la fattura però non hai idea di chi possa essere quella ragazza
Il maciaro si ritrova in una sorta di “conflitto di interesse”, non potendo
sciogliere quel che egli stesso ha “inciarmato”. Questa è la convinzione del
giovane che dinanzi all'incapacità del mago di fargli superare la sua sofferenza,
si mostra incapace di ammettere il fallimento e ricorre a una giustificazione
essere-agito-da
interna alla psicologia: la sua condizione di non si risolve
perché lo zio è legato a qualcosa che egli stesso ha fatto in precedenza e la
quale non può contravvenire.
Il campo di attività dello zio Giuseppe è delimitato dalle tradizioni richieste
dalla sua clientela: fascinazione e controfascinazione, fatture e
contratture.
Casi come quello di Maria Adamo detta la Silvestre, cui è stato rubato il latte
materno, o del ragazzo Donato Ferri che fuggiva ogni notte nella canna
fumaria.
Ma, dato l'aumento della mortalità infantile e le pessime condizioni igienico-
sanitarie del villaggio, l'opera di zio Giuseppe è richiesta anche per curare i
bambini adulti affetti da malattie organiche più o meno gravi, ma in questo
settore egli accetta di intervenire solo quando il caso rientra nelle “cose fatte”,
c'è solo quando vi è o può essere artificialmente alimentata, una componente
psichica del morbo organico e quando è possibile riportare il caso alla vicenda
“fare” “disfare”
del o del sul piano di occulte forze dominatrici e delle
“legamento” “slegamento”.
corrispondenti cerimonie di e di
Vi è anche un aspetto più oscuro della personalità di zio Giuseppe, il suo
erotismo.
singolare
Questi maghi contadini, anche se vecchi, esercitavano un fascino sulle donne:
es il mago di Valsinni, conviveva con una giovane donna di Villapiana di
Calabria, che gli era molto devota.
Zio Giuseppe non fa eccezione, e presso di lui convive una contadina poco più
che ventenne. Il medico curante dello zio Giuseppe ha riferito che circolano sul
suo conto racconti piccanti: infatti, si vociferava che lui proponeva alle
contadine di farsi fare le radiografie, ed esse consisterebbero nel riflettere in
uno specchio le loro parti più intime e molte donne ci andavano.
Ma l'erotismo di zio Giuseppe e il legame erotico che si stabilisce con le sue
clienti non contraddicono alla figura di questo mago contadino, quella gente si
affida nel bene come nel male.
A questo punto, si possono sottolineare due elementi:
-la natura psichica delle richieste alle quali zio Giuseppe offre la sua opera;
-l'erotismo della sua figura.
Nel primo caso, emerge che l'intervento del maciaro sia legato all'esistenza di
una componente psichica nella condizione di quello che si rivolge alle sue
“cure”, anche nel caso di malattie propriamente intense. Egli può intervenire
solo qualora il caso che gli è sottoposto rientra nelle “cose fatte” e può essere
risolto attraverso la pratica del “legare” e “slegare”, prevedendo intervento di
uno spirito occulto e maligno che domina la vita degli uomini.
Nel secondo caso, per lo zio come per la santarcangelese, la sfera intima è
vissuta liberamente e senza inibizioni tanto dai maschi quanto dalle femmine.
L'esuberanza sessuale appare come una condizione, quasi un prerequisito per
esercitare il proprio ruolo.
il riferimento a questo “fascino affascinante”, Jorge Amado presenta uno “zio I
Giuseppe” dell'altra parte dell'oceano: Jesuino Gallo Pazzo, personaggio de
guardiani della notte; oppure si può fare riferimento anche alla figura di
Jubiabà che:
quando passava per le strade parlava sempre tra sé, farfugliava parole
misteriose, in nago, e impartiva benedizioni. Un giorno un ragazzo aveva detto
ad Antonio Balduino che Jubiabà si mutava spesso il lupo mannaro, un'altro
invece che il vecchio teneva il diavolo prigioniero in una bottiglia.
Nella casa di Jubiabà a volte di notte si sentivano strani suoni, una strana
musica.
Balduino si agitava per quella musica che sembrava chiamarlo. In quelle notti
Balduino non riusciva a prendere sonno. Nella sua infanzia sana e libera,
Jubiabà rappresentava il mistero.
Sono due “padri di Santo”, due maciari del nord-est del Brasile, del Sergipe o di
Bahia, due intermediari tra gli uomini e le donne e gli orixà dei riti yoruba.
Anche nel mondo latino americano una delle caratteristiche “del padre de
la capacità di riconoscere il passato anche attraverso i segni che le
Santo” è
divinità inviano.
Storia senza senso ne filo logico
Massu termina il suo racconto, Doninha gli comunicò che era già più o meno al
corrente della faccenda. Nel momento dell'arrivo di Massu lei stava
cominciando a fare il gioco delle conchiglie per chiedere a Xangò risposta per
le domande della committente del rito, una sua figlia di Santo che da anni se
n'era andata da Bahia e ora abitava a San Paulo, e chi si trovava in un pasticcio
come Massu non poteva neppure immaginare.
Doninha aveva gettato le conchiglie chiamando Xangò, ma al posto di Xangò si
era presentato Ogun, dicendo cose senza senso, almeno così aveva pensato.
Quindi, lei gettò le conchiglie per chiamare Xangò, ma al suo posto arrivò
Ogun, creando confusione.
Doninha all'oscuro di tutto, ignorando i guai di Massu che rimandava Ogun e
reclamava la presenza di Xangò; arrivò a pensare che fosse tutto un tiro di Exu,
capace di imitare Ogun solo per dispetto.
Era