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Infine, il concetto di diritto è strettamente legato a quello di giustizia: non a caso, il
potere giudiziario fa capo al "Ministero della Giustizia". Tuttavia, nessun ordinamento è
perfettamente giusto: per questo è essenziale una costante riflessione critica sui valori
su cui si fonda la società.
3. La struttura della norma: la fattispecie
La norma giuridica si presenta come un enunciato prescrittivo articolato in due
parti: una fattispecie (ipotesi di fatto),
una conseguenza giuridica che si verifica se l’ipotesi si realizza.
La norma funziona quindi come un periodo ipotetico: “se accade A, allora si produce
B”.
Si parla di:
fattispecie astratta quando ci si riferisce a una situazione ipotetica descritta
dalla norma;
fattispecie concreta quando si verifica una situazione reale a cui applicare la
norma.
Le fattispecie possono essere:
semplici, se composte da un solo fatto,
oppure complesse, se composte da più eventi o condizioni.
4. L’ordinamento giuridico dello Stato e la pluralità degli ordinamenti
L’ordinamento è il complesso di regole, modelli e schemi che organizzano una
collettività. La funzione dell’ordinamento giuridico è quindi quella di “ordinare” la
realtà sociale.
Gli esseri umani si associano in molteplici forme: partiti, sindacati, chiese, associazioni
culturali. Tuttavia, la collettività per eccellenza è la società politica, che si preoccupa
di garantire le condizioni per il pacifico svolgimento delle attività sociali.
Nel corso della storia, le società politiche hanno assunto forme diverse. Lo Stato
moderno si fonda su:
una popolazione (i cittadini),
un territorio,
e un potere sovrano organizzato tramite un ordinamento giuridico.
Un ordinamento è detto originario quando non dipende dalla validità di un altro
ordinamento.
5. Gli ordinamenti sovranazionali. L’Unione Europea
La partecipazione dell’Italia alla comunità internazionale implica una relazione tra il
diritto interno e quello internazionale. L’art. 10 della Costituzione stabilisce che
l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute.
Il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati sovrani. Le sue fonti sono:
consuetudinarie, fondate sulla prassi,
oppure pattizie, cioè derivanti da accordi tra Stati.
L’art. 11 della Costituzione italiana sancisce due principi fondamentali:
a) Lo Stato può limitare la propria sovranità per aderire a organizzazioni
sovranazionali, in vista della pace e della giustizia fra le Nazioni;
b) La Repubblica promuove lo sviluppo di tali organizzazioni.
Nel contesto europeo, l’Italia ha partecipato al processo di integrazione
comunitaria:
Trattato di Roma (1957) – istituisce la CEE;
Trattato di Maastricht (1992) – istituisce l’Unione Europea;
Trattati di Amsterdam (1997) e Nizza (2001) – introducono modifiche
importanti;
Trattato di Roma (2004) – propone una Costituzione europea;
Trattato di Lisbona (2007) – riforma il funzionamento dell’UE, modificando i
trattati precedenti.
Questo processo ha determinato una limitazione della sovranità nazionale, giustificata
dalla partecipazione a un ordinamento giuridico sovranazionale.
6. L’equità
La norma giuridica, di regola, descrive in modo astratto una situazione-tipo. Quando il
giudice deve decidere su un caso concreto, applica la norma preesistente che ritiene
pertinente rispetto alla fattispecie sottoposta al suo esame. Questo processo di
collegamento tra il caso concreto e la norma generale prende il nome di sussunzione.
Tuttavia, in alcune situazioni particolari, il giudice può decidere senza fare riferimento
a una norma precisa, ma basandosi su criteri di equità, ovvero su un equilibrio tra
interessi contrapposti e valori di giustizia condivisi dalla collettività. Questo accade
quando l'applicazione rigida della norma porta a risultati percepiti come ingiusti – ad
esempio nel caso di norme che impongono decadenze o che finiscono per escludere la
tutela di una parte.
L’equità è definita come la “giustizia del caso concreto”, ma il suo utilizzo è
ammesso solo in casi eccezionali. L’ordinamento, infatti, preferisce sacrificare la
giustizia nel singolo caso in favore della certezza del diritto, considerata
fondamentale per permettere ai cittadini di prevedere le conseguenze giuridiche delle
proprie azioni. Affidare troppo potere discrezionale al giudice, invece, rischierebbe di
compromettere tale certezza.
Secondo l’art. 113 del codice di procedura civile, il giudice deve decidere seguendo le
norme dell’ordinamento giuridico. Può discostarsene solo quando la legge stessa
gli attribuisce il potere di decidere secondo equità. Ciò avviene, ad esempio:
nelle controversie di modesto valore affidate al Giudice di Pace;
oppure quando sono le parti stesse a conferire congiuntamente al giudice il
potere di decidere secondo equità (art. 114 c.p.c.), ma solo se si tratta di diritti
disponibili.
Negli altri casi, il giudice è tenuto ad applicare la norma, anche se questa può
condurre a una decisione percepita come “ingiusta” (da cui il noto principio latino:
summum ius, summa iniuria).
Quando è ammesso il ricorso all’equità, il giudice non può affidarsi a valutazioni
personali o soggettive (la cosiddetta “equità cerebrina”), ma deve invece ispirarsi
ai valori accolti dall’ordinamento giuridico o cercare di ricostruire come si sarebbe
comportato il legislatore se avesse potuto prevedere quel caso.
Va inoltre distinta l’equità come criterio decisorio dall’equità integrativa: in
quest’ultimo caso è la legge stessa che prevede che il giudice intervenga “secondo
equità” per completare o determinare uno degli elementi della fattispecie, come
avviene, ad esempio, nella liquidazione equitativa di un danno che non può
essere determinato con precisione.
CAPITOLO 2: IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI
7. Diritto pubblico e diritto privato
Una distinzione tradizionalmente rilevante nel sistema giuridico è quella tra diritto
pubblico e diritto privato.
Il diritto pubblico si occupa dell’organizzazione dello Stato e degli altri enti
pubblici. Regola il loro funzionamento interno e i rapporti con i cittadini,
imponendo a questi ultimi comportamenti necessari per il rispetto della
convivenza civile e per il reperimento delle risorse destinate al perseguimento
degli interessi collettivi. Comprende branche come il diritto costituzionale,
amministrativo e penale.
Il diritto privato, invece, disciplina i rapporti tra soggetti privati – siano essi
individui o enti – senza che vi sia un’autorità pubblica in posizione di
supremazia. L’attuazione delle norme è spesso affidata all’iniziativa dei singoli, i
quali operano su un piano di parità giuridica, senza essere subordinati a un
potere pubblico.
Tuttavia, la separazione tra diritto pubblico e diritto privato non è rigida:
lo Stato può assumere compiti che un tempo spettavano ai privati;
enti pubblici possono svolgere attività di tipo privatistico, anche in concorrenza
con imprese private;
soggetti privati possono essere chiamati a gestire servizi pubblici;
uno stesso fatto può essere regolato contemporaneamente da norme
pubblicistiche e privatistiche.
8. Norme cogenti e norme derogabili
Nel diritto privato, le norme si distinguono in tre categorie principali:
Norme derogabili (o dispositive): sono quelle norme la cui applicazione può
essere evitata mediante un accordo tra le parti. Il legislatore le prevede per
offrire un modello tipico di regolamentazione, che vale in assenza di diversa
volontà delle parti.
Norme inderogabili (o cogenti): si applicano obbligatoriamente,
indipendentemente dalla volontà dei soggetti coinvolti. Spesso il loro carattere è
chiaramente espresso dal testo normativo, come ad esempio nell’art. 147 c.c.,
che stabilisce l’obbligo per entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare i
figli.
Norme supplettive: intervengono nei casi in cui le parti non abbiano
disciplinato un determinato aspetto del rapporto giuridico. La legge supplisce
così alla mancanza, fornendo una regolazione automatica. Un esempio è l’art.
1193 c.c., che disciplina l’imputazione del pagamento quando il debitore ha più
debiti verso lo stesso creditore.
Anche se, in linea generale, le norme di diritto pubblico sono quasi sempre
cogenti e quelle di diritto privato prevalentemente dispositive, esistono
eccezioni in entrambi i sensi:
norme pubblicistiche derogabili;
norme privatistiche cogenti (che tuttavia richiedono comunque l'iniziativa del
singolo per essere attivate).
Le norme dispositive, infine, servono anche a garantire certezza del diritto:
esprimono soluzioni tipiche, comunemente adottate, che il legislatore presume
rispecchino la volontà delle parti nel caso in cui non sia espressamente dichiarata.
CAPITOLO 2: IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI
7. Diritto pubblico e diritto privato
Una distinzione tradizionalmente rilevante nel sistema giuridico è quella tra diritto
pubblico e diritto privato.
Il diritto pubblico si occupa dell’organizzazione dello Stato e degli altri enti
pubblici. Regola il loro funzionamento interno e i rapporti con i cittadini,
imponendo a questi ultimi comportamenti necessari per il rispetto della
convivenza civile e per il reperimento delle risorse destinate al perseguimento
degli interessi collettivi. Comprende branche come il diritto costituzionale,
amministrativo e penale.
Il diritto privato, invece, disciplina i rapporti tra soggetti privati – siano essi
individui o enti – senza che vi sia un’autorità pubblica in posizione di
supremazia. L’attuazione delle norme è spesso affidata all’iniziativa dei singoli, i
quali operano su un piano di parità giuridica, senza essere subordinati a un
potere pubblico.
Tuttavia, la separazione tra diritto pubblico e diritto privato non è rigida:
lo Stato può assumere compiti che un tempo spettavano ai privati;
enti pubblici possono svolgere attività di tipo privatistico, anche in concorrenza
con imprese private;
soggetti privati possono essere chiamati a gestire servizi pubblici;
uno stesso fatto può essere regolato contemporaneamente da norme
pubblicistiche e privatistiche.