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All’interno dell’immenso perimetro, scandito in corrispondenza di ciascuna colonna da paraste coronate da

capitelli d’anta, sorgeva il nucleo della cella, una struttura pseudodiptera perché lo spazio lasciato negli ptera

laterali è pari al doppio dello spazio canonico tale da poter inserire un giro di colonne interno. Lo spazio

interno era costituito da pilastri liberi raccordati da setti murari a racchiudere lo spazio rettangolare con una

sorta di pronao ed opistodomo.

La soluzione planimetrica è isolata nel

panorama greco antico. L’edificio era

probabilmente parzialmente ipetro. Per

accentuarne la grandiosità il tempio è

sollevato su una crepidine di 6 gradini.

Tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna, Crotone (ca 470 a.C.)

Intorno al 470 a.C. viene ricostruito in forme più grandiosi e monumentali il tempio di Hera Lacinia a Capo

Colonna, presso Crotone. Il tempio è noto per la sopravvivenza di un'unica colonna pertinente alla peristasi.

Il tempio è rintracciabile in parte dalle fondazioni. Dalle fonti sappiamo che il tempio era circondato da un

bosco sacro. Fu studiato nel passaggio tra XIX e XX secolo a.C. da una missione americana che portò alla luce

parte delle strutture dell’edificio. Gli scavi americani avevano portato ad alcune conclusioni che ricostruivano

il tempio come un 6x15 con raddoppio del colonnato frontale sul modello di edifici arcaici dell’occidente

greco come il tempio di Apollo a Siracusa o il tempio C di Selinunte. La recente ripresa degli scavi ha

consentito di portare alla luce parte consistente delle fondazioni, in particolare sulla fronte occidentale e

meridionale, e il ritrovamento di frammenti architettonici dell’elevato. Durante lo scavo sono state rinvenute

una sequenza di buche, alcune delle quali tagliate dal cavo di fondazione del tempio proto classico. Le buche

erano probabilmente la documentazione del bosco sacro di un edificio più piccolo che occupava il sito, questo

è il motivo per cui alcune buche sono tagliate dalla nuova fondazione che ha ampliato la platea del tempio.

Il rinvenimento del cavo di fondazioni ha consentito di dare una misura complessiva dell’edificio riconducibile

a 22,18m lo stilobate del lato breve per 55,61 lo stilobate del lato lungo. L’edificio di Hera Lacinia è simile

nelle dimensioni a quello di Siracusa e in parte a quello di Himera. Il tempio era un 6x14 colonne, senza

raddoppio del colonnato frontale, con allineamento delle colonne del pronao e dell’opistodomo con la terza

e terzultima colonna come nel tempio di Himera e aveva l’allineamento del filo esterno dei muri della cella

con l’asse della seconda e quinta colonna come nel tempio di Siracusa. Queste similitudini creano una serie

di problemi. Mentre il tempio di Siracusa e quello di Himera erano strettamente correlati, in base alla nota

collaborazione tra le maestranze siracusane e agrigentine, e simbolo della comune vittoria contro i

Cartaginesi; il tempio di Crotone, sorge presso una potente città dell’area Magno Greca, in rapporti molto

conflittuali contro Siracusa. È quindi difficile pensare che il tempio di Capo Colonna possa essere riconducibile

alla compresenza di maestranze siracusane presso il cantiere del tempio.

Nell’edificio è accertata la presenza di maestranze cicladiche che realizzano il tetto in marmo di Paros, gli

acroteri, la sima e la modanatura di coronamento lavorata separatamente dal gocciolatoio. Il prospetto del

tempio è molto innovativo. Confrontando il prospetto del tempio di Hera Lacinia con quello di Atena a

Siracusa e quello di Zeus ad Olimpia è possibile notare una maggiore affinità tra il tempio di Hera Lacinia e

quello di Zeus ad Olimpia come la proporzione tra interassi e altezza delle colonne.

Dal rinvenimento di un

frammento di sottocornice è stata

dedotta la possibilità che il

gocciolatoio fosse stato realizzato

separatamente. La prima ipotesi è

che si trattasse di un restauro

perché ricorda l’intervento nel

tempio di Apollo a Delos dove il

crollo parziale della cornice aveva

danneggiato il gocciolatoio e si era

intervenuti con un lavoro di

intarsio. In questo caso l’innesto è

molto profondo, quindi si è

cercato un confronto di edifici con lavorazione bicomposta della cornice.

Il tempio di Apollo a Delfi, infatti, presenta una

serie di frammenti della sottocornice in marmo

che prevedevano la presenza di un

gocciolatoio sovrapposto e incastrato secondo

uno schema molto simile a quello di Hera

Lacinia. Sovrapponendo le cornici di Hera e di

Apollo i due elementi coincidono in modo

quasi perfetto, quindi la stessa officina

cicladica che aveva lavorato a Delfi è stata

chiamata a lavorare a Crotone.

Tra i frammenti rinvenuti vi è anche la modanatura di coronamento

del gocciolatoio. Il profilo della modanatura di coronamento del

gocciolatoio di Siracusa e di Crotone è in marmo e riconducibile a

maestranze cicladiche provenienti dalla Madrepatria.

Sovrapponendo il profilo del tempio di Hera Lacinia a quello di

Athena a Siracusa si evince che sono perfettamente coincidenti

quindi vuol dire che le maestranze che hanno realizzato l’uno e

l’atro sono le stesse. La stessa officina che ha lavorato a Siracusa si

è spostata a Crotone per realizzare il tempio di Hera Lacinia, la

trasmissione del modello è avvenuta attraverso l’officina cicladica.

Tempio di Hera II a Poseidonia

Intorno al 470 a.C. viene realizzato a Poseidonia un grande tempio, la cui dedica non è nota. Sorge all’interno

del santuario di Hera, parallelo alla cosiddetta basilica, ma si presenta con un impianto che ripropone le forme

innovative che provengono dalla penetrazione dei modelli della Madrepatria. Si tratta di un tempio periptero

di 6x14 colonne, con doppia contrazione angolare sui lati lunghi. Abbandona le peculiarità del dorico acheo

di Magra Grecia, cioè l’assenza di regulae, guttae, mutuli e la loro sostituzione con modanature correnti, per

sposare il modello della Madrepatria. Il tetto è in marmo di Paros e quindi attesta la presenza di officine

cicladiche. Il cantiere di costruzione sembra essere stato gestito da maestranze locali perché mostra delle

difficoltà applicative dei dettagli del modello della Madrepatria. La planimetria richiama i modelli della

Madrepatria: il nucleo interno vede l’allineamento tra il filo esterno del muro e l’asse della seconda e quinta

colonna, mentre la fronte del pronao e dell’opistodomo vengono a cadere tra la seconda e la terza colonna

e tra la terzultima e la penultima colonna; è presente un opistodomo, diversamente dalla tradizione

occidentale è assente un adyton, e l’interno della cella è tripartito con la presenza di due colonnati dorici su

ordini sovrapposti. Sopravvivono dettagli della tradizione occidentale: la presenza delle scale e la tendenza a

salire man mano che si accede al tempio con due gradini per entrare nel pronao e una serie di gradini per

raggiungere la cella.

Rispetto al tempio di Zeus a Olimpia, seppur coevo, il tempio di Hera II appare più tozzo con colonne più

massicce e rastremate, capitelli con un profilo più espanso e una trabeazione più pesante. Gli aspetti che

distinguono le soluzioni occidentali dai modelli della Madrepatria sono: un certo attardamento dei profili,

unito all’adozione di modanature sovradimensionate. Tratti arcaizzanti sono: i triglifi con i glifi a terminazione

semicircolare, le guttae sono cilindriche. La cornice pur replicando gli elementi costitutivi delle cornici della

Madrepatria, in un contesto acheo, mostra una sottocornice poco inclinata e molto profonda. Sono presenti

errori negli allineamenti tra regulae e guttae che erano ben noti nel mondo della Madrepatria: il triglifo

perfettamente allineato con il mutulo, presenta una regulae, con solo cinque guttae, disallineata. L’architrave

è coronato da un cavetto, modanatura obsoleta per la Madrepatria e molto presente nell’architettura

occidentale. Il capitello d’anta è adeguato a quello della

Madrepatria con abaco parallelepipedo,

kyma dorico e collarino. Il pronao, sollevato

da due gradini rispetto allo stilobate,

presenta un architrave che è alla stessa quota

dell’architrave della peristasi, questo

comporta una riduzione dell’altezza delle

colonne e la conseguente diminuzione del

loro diametro. Questa compressione degli

elementi si trasferisce anche alla trabeazione

troppo bassa per svilupparsi in maniera

compiuta. Ne consegue che l’architrave è

canonico con taenia, regulae e guttae, ma il

fregio diviene schiacciato quindi le metope

diventano rettangolari e triglifi meno ampi

delle sottasti regulae.

Tempio E o di Hera a Selinunte (460 a.C.)

Il tempio E o di Hera, realizzato intorno al 460 a.C. a Selinunte ha un impianto planimetrico allungato con

6x15 colonne derivato dall’esigenza di mantenere un adyton. Il nucleo interno è allineato con il filo della

seconda e quinta colonna dei lati brevi e la fronte del pronao compresa tra la seconda e la terza colonna e la

fronte dell’opistodomo compresa tra la terzultima e la penultima colonna come sarebbe in un contesto della

Madrepatria. Il pronao e l’opistodomo sono distili in antis. Sul fondo della cella, priva di colonnato interno, vi

è un adyton accessibile attraverso una gradinata. La soluzione architettonica mantiene i corpi scali in pietra

collocati subito ai lati dell’ingresso della cella. Il tempio verrà distrutto dai Cartaginesi intorno al 409 a.C. Il

tempio fu oggetto di un’anastilosi negli anni ’60, condotta male, utilizzando cemento armato.

L’adeguamento al modello della Madrepatria è evidente nella snellezza delle colonne e nell’alleggerimento

della trabeazione. Sopravvivono metope scolpite solo sulla fronte del pronao. Il fregio secondo l’uso canonico

è presente solo sulla fronte del pronao e dell’opistodomo, non risvolta, se non con il triglifo angolare lungo i

lati lunghi. Nel caso del tempio E il risvolto avviene in modo anomalo con un tetraglifo, formato da tre glifi e

due emiglifi.

Tempio F o della Concordia, Agrigento (430 a.C.)

Il tempio “F”, detto della Concordia, ad Agrigento, è un periptero esastilo con 13 colonne sui lati lunghi,

datato circa al 430 a.C. con caratteristiche in parte assunte dall’architettura siracusana, come la doppia

contrazione angolare, l’assenza di colonnati interni alla cella, l’elevato sovradimensionamento delle

modanature e in parte importate dalla Madrepatria in particolare nelle proporzioni, nella snellezza delle

colonne, nei profili dei capitelli e nella lavorazione degli elementi dell’ordine. Il tempio è sollevato su una

crepidine di quattro gradini, invece che tre. Sopravvive la

Dettagli
Publisher
A.A. 2021-2022
10 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vc4 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Bari o del prof Rocco Giorgio.