CAPITOLO III
L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI
19. Entrata in vigore della legge.
Per l’entrata in vigore della legge, oltre all’approvazione da parte
delle due Camere, occorre:
promulgazione
a) la della legge da parte del Presidente della
Repubblica (art. 73 Cost.);
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
b) la della Repubblica
(art. 73 Cost.); vacatio legis
c) il decorso di un periodo di tempo, detto , che va
dalla pubblicazione all’entrata in vigore della legge, e che di
regola è di 15 giorni (art. 73 Cost.), salvo che la legge stessa
stabilisca un termine diverso.
Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa
obbligatoria per tutti, anche per chi non ne è a conoscenza
ignorantia iuris non excusat
( ); la Corte costituzionale ha tuttavia
stabilito che l’ignoranza della legge è scusabile quando l’errore di
un soggetto in ordine all’esistenza o al significato di una legge
inevitabile
penale sia stato .
20. Abrogazione della legge. abrogata
Una disposizione di legge viene quando un nuovo atto
dispone che ne cessi l’efficacia (anche se una norma, pur dopo
abrogata può continuare ad essere applicata ai fatti verificatisi
anteriormente). Per abrogare una disposizione occorre sempre
l’intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico: e
così una legge non può essere abrogata che da una legge
posteriore . Espressa
L’abrogazione può essere espressa o tacita. quando la
legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge
anteriore. Tacita se manca, nella legge successiva, una tale
dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori:
incompatibili
a) sono con una o più disposizioni antecedenti;
b) o costituiscono una regolamentazione dell’intera materia già
regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve
ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle disposizioni
più recenti anche in assenza di una vera e propria
incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina.
deroga
La si ha quando una nuova norma sostituisce, ma solo per
specifici casi, la disciplina prevista dalla norma precedente, che
continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi. Un’altra
figura di abrogazione espressa può essere realizzata mediante un
referendum popolare, quando ne facciano richiesta almeno
500.000 elettori o 5 Consigli regionali, e la proposta di abrogazione
si considera approvata se alla votazione partecipi la maggioranza
degli aventi diritto purché la proposta di abrogazione consegua la
maggioranza dei voti espressi (Art.75 Cost.). Anche la dichiarazione
di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia. Ma mentre
l’abrogazione ha effetto solo per l’avvenire (la legge, benché
abrogata, può e deve essere ancora applicata ai fatti verificatisi
quando era in vigore), la dichiarazione di incostituzionalità, invece,
annulla ex tunc
la disposizione illegittima , come se non fosse mai
stata emanata, cosicché non può più essere applicata neppure nei
giudizi ancora in corso e neppure ai fatti già verificatisi in
precedenza. L’abrogazione di una norma che, a sua volta, aveva
abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima, salvo
che sia espressamente disposto: in tal caso la norma si chiama
ripristinatoria.
21. Irretroattività della legge.
Una norma si dice retroattiva quando attribuisce conseguenze
giuridiche a fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in
vigore. L’art. 11 delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone
che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo.
Tuttavia, nel nostro ordinamento solo la norma penale non può
essere retroattiva. Ogni altra norma può essere anche retroattiva,
ma, in linea di principio non lo è, a meno che il legislatore non la
qualifichi tale con formulazione non equivoca. Se la norma ha
efficacia retroattiva essa si applica anche alla risoluzione di
controversie che siano ancora pendenti al momento della sua
entrata in vigore.
22. Successione di leggi.
L’applicazione del principio dell’irretroattività non è sempre
agevole, quando si tratta di fattispecie verificatesi anteriormente
all’entrata in vigore della nuova legge, ma i cui effetti perdurano nel
tempo.
In alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la
legge vecchia e la nuova con specifiche norme che si chiamano
disposizioni transitorie ; ma può avvenire che il legislatore non
abbia previsto alcuni casi, ed allora sorgono delicate questioni che
diritto transitorio
vengono designate come questioni di .
A questo proposito sono state sostenute due teorie:
a) la legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che cioè sono
teoria del diritto
già entrati nel patrimonio di un soggetto (
quesito);
b) la legge nuova non estende la sua efficacia ai fatti
definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge
precedente a meno che siano pendenti gli effetti dei fatti stessi
(teoria del fatto compiuto).
Quest’ultima teoria è maggiormente seguita.
ultrattività
Si parla, invece, di quando una disposizione di legge,
tempus regit actum
derogando al principio , stabilisce che atti o
rapporti, compiuti o svolgentisi nel vigore di una nuova normativa,
continuano ad essere regolati dalla legge anteriore.
CAPITOLO IV
L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
23. L’applicazione della legge.
Per applicazione della legge si intende la concreta realizzazione di
quanto è ordinato dalle regole che compongono l’ordinamento
giuridico. Pertanto, se si tratta di norme di organizzazione o di
struttura, la loro applicazione consiste nella effettiva creazione degli
organi previsti e nel loro funzionamento. Se si tratta di norme di
condotta, la loro applicazione consiste nel non fare ciò che è
proibito e nel fare ciò che è doveroso. In particolare, il diritto privato
regola l’agire degli individui nei rapporti tra loro.
Tenere un comportamento coerente con le regole poste
dall’ordinamento è il primo modo di dare ad esso attuazione.
Qualora la tutela del diritto individuale, di fronte alla sua
lesione da parte di un altro soggetto, renda indispensabile il
ricorso all’Autorità giurisdizionale, è il giudice ad applicare la
legge, pronunciando i provvedimenti previsti dal diritto
processuale al fine di dare tutela al diritto sostanziale della
parte istante.
24. L’interpretazione della legge. Il precedente
giurisprudenziale.
Interpretare un testo normativo non vuol dire solo conoscere quanto
il testo in sé già esprimerebbe, bensì decidere che cosa si ritiene
che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente,
come vadano risolti i conflitti che insorgono nelle sua applicazione.
L’attività di interpretazione non può mai esaurirsi nel solo esame
dei dati testuali.
In primo luogo, infatti, non tutti i vocaboli contenuti nelle leggi
possono essere definiti nelle leggi stesse: pertanto il significato che
viene loro attribuito in ciascun contesto va ricavato da elementi
extra-testuali.
In secondo luogo, le leggi, nel disciplinare rapporti sociali, si
riferiscono, in generale a classi di rapporti: spetterà all’interprete, di
fronte a rapporti concreti, decidere se considerarli inclusi nella
disciplina della singola norma, oppure no, ed a tal fine l’interprete
dovrà impiegare particolari tecniche di “estensione” o di
“integrazione” delle disposizioni della legge, attingendo a criteri di
decisione extra-legislativi.
In terzo luogo le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto tra
loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le
fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità.
In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può
applicare un’unica norma, ma occorre utilizzare un’ampia
combinazione di disposizioni, ritagliate e ricomposte per adattarle al
sistematiche
caso: operazione complessa che si avvale di nozioni
a carattere dottrinario ed extra-testuali.
L’attribuzione da parte dell’interprete a un documento legislativo
viene detta interpretazione “dichiarativa”. Quando invece il
processo interpretativo attribuisce ad una disposizione un
significato diverso da quello che apparirebbe, a prima vista, esserle
“proprio”, si parla di interpretazione “correttiva”. Dal punto di vista
dei soggetti che svolgono l’attività interpretativa si distingue tra
interpretazione giudiziale, dottrinale e autentica.
L’attività interpretativa assume valore vincolante solo quando è
compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio della funzione
giudiziale
giurisdizionale (c.d. interpretazione ).
dottrinale
L’interpretazione è costituita dagli apporti di studio dei
cultori delle materie giuridiche, i quali si preoccupano di raccogliere
il materiale utile alla interpretazione delle varie disposizioni, di
illustrarne i possibili significati, di sottolineare le conseguenze delle
varie soluzioni interpretative. Non costituisce, infine, vera attività
autentica
interpretativa la c.d. interpretazione , ossia quella che
proviene dallo stesso legislatore, che emana apposite norme per
chiarire il significato di norme preesistenti. Questa ha efficacia
retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il valore da
attribuire alla legge precedente, troncando i dubbi che erano sorti
sulla sua interpretazione.
25. Le regole e gli strumenti dell’interpretazione.
L’obiettivo dell’interprete (giudice) è di individuare non tanto
“l’intenzione” di un inesistente (concreto) legislatore, ma lo scopo
ratio
( ) che la disposizione persegue: criterio di interpretazione
teleologico . Senonché l’individuazione della ratio, che rappresenta
già un risultato rischia di costituire un elemento arbitrariamente
attribuito alla disposizione dall’interprete. Appaiono perciò più
persuasivi altri criteri:
criterio logico l’argumentum a contrario
a) , attraverso (volto ad
escludere dalla norma quanto non vi appare espressamente
l’argumentum a simili
compreso), (volto a d estendere la
norma per comprendervi anche fenomeni simili a quelli
risultanti dal contenuto letterale della disposizione),
l’argumentum a fortori (volto ad estendere la norma in modo
da includervi fenomen
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