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Ferdinando Provesi, direttore della Società Filarmonica. Qui sviluppò le sue prime composizioni e si distinse
come ragazzo prodigio, attirando l’attenzione di Antonio Barezzi, ricco commerciante, mecenate e
appassionato di musica.
Grazie al sostegno di Barezzi, nel 1832 Verdi si trasferì a Milano per sostenere l’ammissione al
Conservatorio. Fu però rifiutato, ufficialmente per “scarsa tecnica pianistica” e “età troppo avanzata” (aveva
18 anni). Fu un duro colpo, ma non si perse d’animo: grazie all’intervento di Barezzi e del maestro Vincenzo
Lavigna (già maestro al Teatro alla Scala), Verdi poté continuare a studiare privatamente.
2. I Primi Successi e le Prime Tragedie (1833–1842)
Nel 1833 Verdi tornò a Busseto come direttore della locale scuola di musica. Nello stesso periodo si fidanzò
con Margherita Barezzi, figlia del suo mecenate, che sposò nel 1836. I due ebbero due figli, Virginia e Icilio,
entrambi morti in tenera età. Le tragedie familiari si sommarono: nel 1840 morì anche Margherita,
lasciando Verdi devastato a soli 27 anni.
Nel frattempo, la sua prima opera “Oberto, conte di San Bonifacio” (1839) andò in scena alla Scala,
ottenendo un discreto successo. Ma il successivo lavoro, la commedia “Un giorno di regno”, fu un completo
fallimento, segnando il momento più buio della sua carriera.
Verdi cadde in depressione, meditando di abbandonare la musica. Fu solo grazie alla tenacia dell’impresario
Bartolomeo Merelli che venne convinto a leggere un nuovo libretto: si trattava di “Nabucco”.
3. Il Trionfo di Nabucco e il Risveglio Patriottico (1842–1849)
Nel 1842, con “Nabucco”, Verdi divenne improvvisamente il compositore più acclamato d’Italia. Il famoso
coro “Va, pensiero, sull’ali dorate” fu immediatamente percepito come un simbolo del Risorgimento,
identificando gli ebrei in esilio con gli italiani sotto la dominazione straniera. Il pubblico lo accolse con
entusiasmo, e Verdi divenne inconsapevolmente un eroe nazionale.
Seguì un periodo febbrile: Verdi stesso parlò di “anni di galera”, tra il 1843 e il 1851, in cui compose senza
sosta, realizzando capolavori come “I Lombardi alla prima crociata”, “Ernani”, “Attila”, “Macbeth”, e “Luisa
Miller”. In questi anni affinò il suo stile, allontanandosi dalle convenzioni belcantistiche e approfondendo
l’analisi drammatica dei personaggi.
Nel frattempo, conobbe e si legò sentimentalmente a Giuseppina Strepponi, soprano che aveva
interpretato Abigaille in Nabucco. La loro unione fu inizialmente osteggiata dalla società e da Busseto, ma
resistette nel tempo.
4. Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata: La Trilogia Popolare (1851–1853)
Con il nuovo decennio, Verdi raggiunse la piena maturità artistica. Tra il 1851 e il 1853 scrisse tre delle sue
opere più celebri e rivoluzionarie:
“Rigoletto” (1851), tratto da Le Roi s’amuse di Victor Hugo, con il drammatico conflitto tra un
buffone deforme e la sua amata figlia.
“Il trovatore” (1853), con i suoi toni cupi, la vendetta e la superstizione.
“La traviata” (1853), tratto da La dame aux camélias di Dumas figlio, scandalosa per aver portato in
scena una prostituta redenta e morta di tisi.
La Trilogia popolare segna il culmine dell’integrazione tra musica e dramma, ed ebbe un’enorme influenza
su tutta la musica europea.
5. L’Impegno Civile e Politico (1854–1861)
Mentre consolidava la sua fama internazionale, Verdi divenne sempre più coinvolto nel clima politico del
Risorgimento. La sua casa a Sant’Agata divenne luogo d’incontro per patrioti e intellettuali. L’acronimo
“VIVA VERDI” compariva sui muri come messaggio cifrato per “Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia”.
Nel 1861 fu eletto deputato del primo Parlamento italiano. Non fu politicamente attivo, ma la sua figura
restava potentemente simbolica. Quando Cavour lo convinse ad accettare la candidatura, Verdi lo fece con
riluttanza, ma con senso del dovere patriottico.
Intanto continuava a comporre: nacquero “Les vêpres siciliennes” (1855), “Simon Boccanegra” (1857), e
“Un ballo in maschera” (1859). Tutti lavori che riflettevano conflitti politici e morali, spesso sottoposti a
censura.
6. Don Carlos e La Forza del Destino (1867–1869)
Negli anni Sessanta Verdi affrontò produzioni complesse per grandi teatri europei. “Don Carlos”, scritto per
l’Opéra di Parigi, fu un’opera monumentale, con temi di libertà, amore e religione. Verdi sperimentò nuove
forme e allargò la sua tavolozza orchestrale, inserendo cori e balletti di ampio respiro.
Subito dopo arrivò “La forza del destino” (1869), rappresentata a San Pietroburgo, opera di grande pathos,
che include uno dei suoi più noti preludi orchestrali.
Questi anni furono anche segnati da un approfondimento musicale e personale. Verdi iniziò a studiare le
partiture di Wagner con curiosità ma anche con spirito critico. Sebbene rispettasse l’ambizione del
compositore tedesco, Verdi rigettava il wagnerismo dogmatico e rivendicava la peculiarità del melodramma
italiano.
7. Aida, Requiem e il Periodo del Silenzio (1871–1887)
Con “Aida” (1871), commissionata per l’inaugurazione del Canale di Suez e rappresentata al Cairo, Verdi
raggiunse uno dei suoi vertici assoluti. La musica, esotica ma profondamente umana, mostra un equilibrio
tra spettacolo e intimità, tra pubblico e privato.
Nel 1873, la morte di Alessandro Manzoni, suo grande amico e modello morale, colpì profondamente Verdi.
Decise allora di comporre il “Requiem” (1874) in sua memoria: una delle vette della musica sacra di tutti i
tempi, spesso descritta come un’opera lirica in forma religiosa.
Dopo il Requiem, Verdi si ritirò in una sorta di silenzio artistico. Sembrava che il suo tempo fosse passato. I
critici parlavano di Wagner come dell’autentico innovatore, mentre Verdi veniva visto come un monumento
vivente del passato.
Ma il genio covava ancora.
8. Otello e Falstaff: Il Ritorno del Genio (1887–1893)
Nel 1881 Giulio Ricordi, suo editore e amico, e il giovane poeta Arrigo Boito convinsero Verdi a tornare al
teatro con un nuovo progetto: un’opera tratta dall’“Otello” di Shakespeare. Il risultato, nel 1887, fu uno dei
più alti esempi di dramma musicale dell’Ottocento.
“Otello” segna un’evoluzione radicale nello stile di Verdi: è un’opera senza numeri chiusi, densa,
drammatica, moderna. La vecchiaia del compositore si trasformava in nuova giovinezza.
Ma non era finita. Nel 1893, a ottant’anni, Verdi presentò “Falstaff”, la sua unica commedia scritta in età
matura. Tratta da Shakespeare, l’opera è un capolavoro di leggerezza e intelligenza musicale, con una
scrittura orchestrale ricchissima e uno spirito quasi mozartiano. Dopo aver trascorso la vita a raccontare
tragedie, Verdi si congedava con una risata.
9. Gli Ultimi Anni (1893–1901)
Negli ultimi anni, Verdi si dedicò a opere filantropiche: finanziò la costruzione di un ospedale a Villanova
sull’Arda e fondò la Casa di Riposo per Musicisti a Milano, il “più bello dei miei lavori” come lui stesso la
definì.
Nel gennaio del 1901, dopo un ictus, Verdi si spense all’età di 87 anni, in un albergo milanese. I funerali
ufficiali furono sobri, ma poche settimane dopo, le sue spoglie furono traslate nella Casa di Riposo con una
cerimonia solenne. Un coro di 900 voci intonò il “Va, pensiero”, tra le lacrime di migliaia di cittadini.
Fu la più grande manifestazione pubblica mai vista in Italia fino ad allora. L’intero Paese si strinse attorno al
suo musicista più grande.
10. Lo Stile e l’Impatto di Verdi
Verdi fu uno degli architetti dell’opera italiana moderna. Con lui, il melodramma lasciò i salotti aristocratici
per entrare nel cuore del popolo. La sua musica era popolare, ma mai banale; patriottica, ma universale;
drammatica, ma profondamente umana.
La sua arte si basa su alcuni pilastri:
Chiarezza drammatica: ogni nota serve al personaggio e alla storia.
Semplicità apparente: le sue melodie sembrano immediate, ma sono frutto di raffinate costruzioni
armoniche e contrappuntistiche.
Sensibilità teatrale: Verdi capiva la scena meglio di molti registi. Le sue partiture sono teatro puro.
Evoluzione costante: da Nabucco a Falstaff, ogni opera mostra crescita, ricerca, cambiamento.
Verdi influenzò generazioni di compositori e registi. Il suo impatto si estende dal mondo lirico fino alla
cultura popolare, alla politica, alla scuola. Nessun altro compositore italiano ha incarnato l’anima nazionale
come lui.
11. L’Eredità Culturale e Spirituale
Oggi Verdi è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi compositori di tutti i tempi. Le sue opere
sono costantemente rappresentate nei teatri del mondo intero. La sua casa a Sant’Agata è diventata meta di
pellegrinaggio; la Casa di Riposo per Musicisti accoglie ancora oggi artisti anziani.
Il suo volto compare sulle banconote storiche italiane, sui francobolli, nelle piazze e nei teatri. Il suo nome è
parte della coscienza collettiva del Paese.
Ma più ancora dei monumenti, resta viva la sua musica, con la sua forza evocativa, la sua passione, il suo
senso del destino e della libertà. In Verdi, l’Italia ha trovato la voce della propria anima.