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M. Cesare Pavesi, gentiluomo e ne la poesia e ne le più gravi lettere di filosofia degno
di molta lode, osai di pormi a quest'impresa, ancor che sapessi che ciò non sarebbe
per piacere a mio padre, il quale e per la lunga età, e per li molti e varii negozii che
per le mani passati gli sono, conoscendo l'instabilità de la fortuna e la varietà de'
tempi presenti, averebbe desiderato ch'a più saldi studi mi fossi attenuto, co' quali
quello m'avesse io potuto acquistare ch'egli con la poesia, e molto più col correr de le
poste in servigio de' principi, avendo già acquistato, per la malignità della sua sorte
perdè, né ancora ha potuto ricuperare; sì che, avendo io un sì fermo appoggio com'è
la scienza delle leggi, non dovessi poi incorrere in quegli incomodi ne' quali egl'è
alcuna volta incorso. Ma sendo stata di maggior forza in me la mia naturale
inchinazione, il desiderio di farmi conoscere, il che forse più facilmente succede per lo
mezo de la poesia che per quello de le leggi, e l'esortazioni de' molti amici miei,
cominciai a dare effetto al mio pensiero, cercando di tener quello ascoso a mio padre.
Ma non era giunto ancora di grande spazio a quel termine che ne la mente proposto
m'avea, ch'egli ne fu chiarissimo; ed ancor che molto gli pesasse, pure si risolvè a la
fine di lasciarmi correre dove il giovenil ardor mi trasportava. Sì ch'avendo ne lo spazio
di dieci mesi condutto a fine questo poema, come il S. Tommaso Lomellino,
gentiluomo onoratissimo e di pulitissimi costumi, ed altri molti render ne possono
testimonio, e mostrandolo ai clarissimi signor Molino e Veniero, il valor de' quali
supera di gran lunga la grandissima fama, fui da loro esortato caldamente a darlo
fuori; e si può veder una lettera del predetto S. Veniero scritta in questa materia a mio
padre, il quale senza l'auttorità ed il parere di questi dottissimi e giudiziosissimi
gentiluomini non m'avrebbe giamai ciò permesso, ancor che dal Danese e dal Pavese,
il giudizio de' quali è però da lui molto stimato, ne gli fosse prima stato scritto, non
avendo egli veduto se non parte de l'opera mia.
Nel 1565 Tasso scrive al Tassone (nessuna parentela), un conte ferrarese, dicendogli
che in quella mattinata ha presentato al cardinale e suo signore tre possibili argomenti
su cui scrivere un poema.
TORQUATO TASSO AL CONTE FERRANTE ESTENSE TASSONE, lettere di data incerta (V,
P. 214, 1565)
Io ho scritto questa mattina a Vostra Signoria, ch’io desidero di far due poemi a mio
gusto: e se ben per elezione non cambierei il soggetto c’una volta presi; nondimeno,
per sodisfar il signor principe, gli do l’elezione (lo faccio scegliere: non è Tasso che
di tutti questi soggetti, i quali mi paiono sovra gli altri atti a
sceglie l’argomento)
ricever la forma eroica .
(a farci su un poema, sinonimo di omerico e di epico)
Espedizion di Goffredo, e de gli altri principi contra gl’infedeli, e ritorno. Dove avrò
occasione di lodar le famiglie d’Europa, che più vorrò. Espedizion di Bellesario contra’
Goti. Di Narsete contra’ Goti: e discorro d’un principe. Ed in questi averei grandissima
occasione di lodar le cose di Spagna e d’Italia e di Grecia, e l’origine di casa d’Austria.
Espedizion di Carlo il Magno contra’ Sassoni. Espedizion di Carlo contra’ Longobardi. In
questi troverei l’origine di tutte le famiglie grandi di Germania, di Francia, e d’Italia; e
‘l ritorno d’un principe. E se ben alcuni di questi soggetti sono stati presi, non importa:
perch’io cercherei di trattarli meglio, ed a giudicio d’Aristotele.
Questa lettera fa vedere chiaramente lo statuto di poeta stipendiato: il fatto che Tasso
scriva il suo poema su incarico. Anche Ariosto lavora a corte, ma come funzionario,
tant’è che ad un certo punto viene mandato a fare da governatore in Garfagnana.
Gli Este sono molto contenti del romanzo che Ariosto sta scrivendo, anche se
comunque egli veniva pagato per lavorare e fare altro.
La situazione con Tasso è cambiata.
Ciò non significa che Ariosto fosse libero di scrivere tutto ciò che voleva, anche lui
lavora in un sistema sociale che è la corte; ma è completamente diverso scrivere
quello che è un poema ufficiale e che rappresenta ufficialmente la politica culturale di
Ferrara. Quindi, un poema per il quale Tasso è molto più impegnato nei confronti di
Ferrara (è più responsabile di quello che c’è nel poema).
Tasso non sceglie l’argomento, ma fa scegliere al cardinale proponendo tre argomenti:
1. Espedizion di Goffredo: prima crociata.
2. Espedizion di Bellesario: guerra greco-gotica (535-553), quando i Bizantini e
Giustiniano si impegnano in un progetto di ricostituzione di un Impero Romano
unitario e sbarca in Italia; è una guerra lunghissima, devastante, combattuta
contro i Goti (che erano ariani).
3. Espedizion di Carlo Magno: guerra contro i Sassoni, che è una guerra in primo
luogo religiosa. Carlo Magno rappresenta l’iper-cristianità; i Longobardi sono i
principali avversari della Chiesa; i Sassoni sono principalmente pagani.
Tasso ha ben presente che il suo poema è anche funzionale ad una strategia
diplomatica di encomio verso delle potenze straniere (e lo fa presente al suo signore).
C’è sempre l’idea del ritorno negli argomenti che propone: Tasso sta già pensando
all’Iliade e all’Odissea (il modello è omerico).
Questi argomenti sono tutte guerre storiche e vere. L’Orlando Furioso non ha una
guerra vera, anche se è ambientato durante la guerra tra Carlo Magno e i Mori.
Tasso scriverà il suo poema partendo da fonti storiche, sempre perché alle spalle c’è
Aristotele (il quale dice che il poeta deve lavorare sul verosimile).
Il verosimile parte dal vero e lo si integra, quindi si parte dalla storia (ecco perché sono
tutti argomenti storici).
Infine, sono tutte guerre religiose.
Il ruolo di Aristotele modella la cultura occidentale; ma proprio in parallelo
all’aristotelismo occidentale c’è un altro grande evento che segna la metà del XVI
secolo e che porta in un certo senso verso la modernità: la controriforma/riforma
cattolica in risposta allo scisma protestante. Il che comporta anche un intervento
culturale ed educativo della Chiesa molto più direttivo.
Questi tre argomenti che presentano guerre con una fortissima polarizzazione e
proiezione noi e loro (da una parte “noi” cristiani, dall’altra “loro” pagani, ariani,
avversari della Chiesa), con una dimensione religiosa, si inseriscono molto bene nel
nuovo clima.
Nella chiusa della lettera Tasso afferma che alcuni di questi argomenti siano già stati
trattati, ma non importa, perché lui cercherà di trattarli meglio e a giudizio di
Aristotele (con un maggior fondamento su Aristotele).
C’era già stato un grande testo epico/omerico del ‘500 italiano (“L’Italia liberata dai
Goti” di Trissino), il quale trattava come argomento la guerra greco-gotica. Come disse
Tasso, l’Italia liberata dai Goti è un poema letto da pochi e apprezzo da nessuno. È
molto faticoso da leggere e non piacevole perché segue Omero in maniera ossificata,
al punto quasi da diventare ridicolo.
In Omero, la cosa classica è il Concilio degli Dei, dove gli Dei si ritrovano perché parte
di essi sostiene i Greci e l’altra i Troiani (cosa che nel sistema del Pantheon greco va
bene).
Il problema è che non si può portare questo concetto al monoteismo cristiano; così
Trissino si inventa il Concilio degli Angeli in cui parte degli Angeli è a favore dei Greci e
parte dei Goti (ma non funziona moltissimo).
Questo spiega perché Tasso dica: “lo faccio meglio” e anche “mi fondo su Aristotele”.
La Gerusalemme Liberata si ispira nel titolo a “L’Italia liberata dai Goti” (segno che
comunque quel poema è stato culturalmente importante).
L’Italia liberata dai Goti non è in ottave, ma in endecasillabi sciolti (non c’è nessuna
rima), perché Trissino guarda rigidamente ad Omero e nell’epica greca e latina non ci
sono le rime, semplicemente ci sono dei versi non rimati chiamati esametri che sono il
verso nobile e il verso epico della poesia latina e greca.
Trissino sosteneva che per essere omerici, i testi moderni non dovessero avere la rima
(questo perché la rima è troppo musicale, troppo facile).
Inoltre, se dobbiamo guardare ad Omero, non possiamo usare l’ottava perché è la
forma metrica usata dai poeti canterini, quelli che vanno in piazza, salgono sulla panca
e raccontano (è qualcosa di basso).
L’endecasillabo sciolto è considerato più nobile. All’inizio è stato usato proprio per le
traduzioni dai testi classici; per esempio la prima grande traduzione dell’Eneide di
Virgilio, fatta nel ‘500 da Annibale Caro, è in endecasillabi sciolti, così assomiglia più
anche visivamente alla pagina epica.
Però l’assenza di rime è faticosa, devi essere veramente bravo come poeta per poter
essere piacevole alla lettura.
Bernardo Tasso era un grande poeta, tanto che il suo “Amadigi” era destinato ad
essere l’opera di quella generazione, il nuovo Ariosto. Era anche lui un poeta di corte.
Alla corte per queste opere si effettuava una premier: si teneva una festa dove il poeta
leggeva il primo canto (lo farò anche Tasso). Anche Bernardo Tasso aveva l’idea di
scrivere come gli antichi greci e latini, così scrive l’Amadigi in endecasillabi sciolti.
Tasso dice: “mio padre cominciò a leggere in una stanza tutta piena, quando alzò gli
occhi la stanza era tutta vuota, se n’erano andati tutti”. Gli endecasillabi sono faticosi,
non sono seguibili, non si depositano nell’orecchio.
Questo episodio lo segnò molto. I Tasso avevano problemi economici, erano esiliati e
non potevano permettersi il fallimento. Infatti poi Bernardo Tasso dovrà riscrivere tutto
in ottave, per adattarsi al nuovo gusto.
Tasso questo lo sa, la sua opera deve piacere e non può scrivere qualcosa per dei
raffinati eruditi, ma deve scrivere qualcosa che piaccia (proprio perché viene pagato
per questo). Questo è il motivo per cui Tasso sceglie le ottave, qualcosa di
assolutamente anti-omerico.
È un aspetto molto importante e che ritroveremo spesso: quest’esigenza di Tasso di
conciliare Omero, la teoria, con il gusto, la pia