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CANTO DECIMO
Ottava 1: “Così dicendo ancor vicino scorse
Un destrier ch’a lui volse errante il passo;
tosto al libero fren la mano ei porse
e su vi salse, ancorch’afflitto e lasso.
Già caduto è il cimier ch’orribil sorse,
lasciando l’elmo inonorato e basso;
rotta è la sopravesta, e di superba
pompa regal vestigio alcun non serba.”
Si riapre con la spossatezza di Solimano.
Ci sono i segni visivi della sconfitta (“caduto è il cimier”, “rotta è la sopravesta”, “di
superba pompa regal vestigio alcun non serba”) e della stanchezza.
È il momento dell’azimut di Solimano, il punto più basso, frutto di questo decadimento
sociale e umano.
Ottava 2: “Come dal chiuso ovil cacciato viene
Lupo talor che fugge e si nasconde,
che, se ben del gran ventre omai ripiene
ha l’ingorde voragini profonde,
avido pur di sangue anco fuor tiene
la lingua e ‘l sugge da le labra immonde,
tal ei se ‘n già dopo il sanguigno strazio,
de la sua cupa fame anco non sazio .”
Ci porta la similitudine del lupo avido di sangue, che è segno di sconfitta.
Ottava 3: “E come è sua ventura, a le sonanti
Quadrella, ond’a lui intorno un nembo vola,
a tante spade, a tante lancie, a tanti
instrumenti di morte alfin s’invola,
e sconosciuto pur camina inanti
per quella via ch’è più deserta e sola;
e rivolgendo in sé quel che far deggia,
in gran tempesta di pensieri ondeggia.”
Ottava 4: “Disponsi alfin di girne ove raguna
Oste sì poderosa il re d’Egitto,
e giunger seco l’arme, e la fortuna
ritentar anco di novel conflitto.
Ciò prefisso tra sé, dimora alcuna
Non pone in mezzo e prende il camin dritto,
ché sa le vie, né d’uopo ha di chi il guidi
di Gaza antica a gli arenosi lidi.”
Ottava 5: “Né perché senta inacerbir le doglie
De le sue piaghe, e grave il corpo ed egro,
vien però che si posi e l’arme spoglie,
ma travagliando il dì ne passa integro.
Poi quando l’ombra oscura al mondo toglie
I vari aspetti e i color tinge in negro,
smonta e fascia le piaghe, e come pote
meglio, d’un’alta palma i frutti scote;”
Cala la notte: di nuovo siamo nel segno della notte che è elemento in cui si muove
Solimano.
Ottava 6: “e cibato di lor, su ‘l terren nudo
Cerca adagiare il travagliato fianco,
e la testa appoggiando al duro scudo
quetar i moti del pensier suo stanco.
Ma d’ora in ora a lui si fa più crudo
Sentire il duol de le ferite, ed anco
Roso gli è il petto e lacerato il core
Da gli interni avoltoi, sdegno e dolore .”
Solimano cerca di dormire (verso 2).
C’è un’insistenza, anche aggettivale, sulla sconfitta e la stanchezza (verso 4).
Versi 7-8: si vede di nuovo un conflitto interiore, come avevamo visto per Erminia.
I due avvoltoi che gli rodono il petto sono sdegno (per la sconfitta) e dolore. In questo
sdegno e dolore c’è l’ambiguità, perché Solimano non è una figura inumana, ma è una
figura profondamente umana e lo riconosciamo nel dolore.
Inoltre, nella metafora degli avvoltoi che lacerano il petto, questi sono definiti “interni
avoltoi” (la Liberata si apre con il riferimento agli intimi sensi visti da dio all’interno dei
crociati); quindi c’è di nuovo l’idea dell’interiorità psicologica.
Quei due avvoltoi rimandano al mito di Tantalo, che ruba il fuoco agli dei per farne
dono agli uomini e per questo viene punito e incatenato sul Caucaso con questi
avvoltoi che gli rodono continuamente il cuore e le viscere. Tantalo è il personaggio
che sfida gli dei.
Solimano ha questo aspetto dei superbi, come Lucifero, che hanno lanciato la loro
sfida agli dei.
Mentre Solimano dorme, arriva una voce.
Ottava 7: “Alfin, quando già tutto intorno chete
Ne la più alta notte eran le cose,
vinto egli pur da la stanchezza, in Lete
sopì le cure sue gravi e noiose,
e in una breve e languida quiete
l’afflitte membra e gli occhi egri compose;
e mentre ancor dormia, voce severa
gli intonò su l’orecchie in tal maniera:”
Versi 3-4: viene detto che Solimano sta dormendo.
La “noia”, nel linguaggio poetico del cinquecento, non è la nostra noia, ma è intesa
come gli affanni, i tormenti.
Lui lo cerca nel Lete, che è il fiume dell’oblio, dell’annientamento di sé, della
dimenticanza di sé.
Efficace è la scelta del fiume, in questa ricerca.
A questo punto, prorompe una voce.
All’inizio, l’ambiguità voluta ed esplicitata, è se sia un sogno o una voce reale.
È una voce reale in realtà, ma il fatto che sia affine al sogno e che possa essere
confuso con il sogno, pone Solimano come punto estremo di un canale comunicativo
confuso e disordinato.
Quest’uomo che parla a Solimano è Il Mago Ismeno.
Ottava 8: “Soliman, Solimano, i tuoi sì lenti
Riposi a miglior tempo omai riserva,
ché sotto il giogo di straniere genti
la patria ove regnasti ancor è serva.
In questa terra dormi, e non rammenti
Ch’insepolte de’ tuoi l’ossa conserva?
Ove sì gran vestigio è del tuo scorno,
tu neghittoso aspetti il novo giorno?”
Ottava 9: “Desto il Soldan alza lo sguardo, e vede
Uom che d’età gravissima a i sembianti
Co ‘l ritorto baston del vecchio piede
Ferma e dirizza le vestigia erranti.
E chi sei tu, sdegnoso a lui richiede
Che fantasma importuno a i viandanti
Rompi i brevi lor sonni? E che s’aspetta
A te la mia vergogna o la vendetta?”
Al verso 5, si nota l’ambiguità del sogno; chiede all’uomo che l’ha chiamato chi sia.
Nella teoria del sogno medievale, e poi del Rinascimento, il fantasma non è un morto,
ma è il termine tecnico con cui si chiama un “incubo”.
Il riferimento è al purgatorio, quando le anime alzano un canto, il De lucis ante
terminum, un inno attribuito ad Ambrogio in cui viene chiesto l’aiuto divino contro i
fantasmi della notte, che sono proprio gli incubi, perché l’’incubo è lo strumento con
cui le forze demoniache tentano l’uomo.
Per noi l’incubo è il maschile di succube; originariamente sono un demone maschile
(incubo) e un demone femminile (succube) che spingono al sogno erotico, a
commettere peccato. Dopodiché si sono liberati da questa connotazione tecnica e
sono diventati il sogno inquieto, tormentato.
Originariamente, incubo e succube sono proprio il sogno tentatore demoniaco.
Incubo quindi è sinonimo di fantasma, nel linguaggio dell’onirico critica.
Il termine tecnico utilizzato da Solimano, l’incubo che rompe il sonno, crea
quest’ambiguità di fondo.
Il mago è lì semplicemente per introdurre Solimano a Gerusalemme. Finora Solimano
ha fatto guerriglia fuori da Gerusalemme, adesso entra nella città, nel sistema dei
difensori di Gerusalemme.
Siamo al Canto Decimo: adesso il sistema dei personaggi si è definito, a metà
dell’opera.
Solimano viene fatto entrare a Gerusalemme.
Tra l’ottava 20 e l’ottava 23 abbiamo una predizione.
Ottava 20: “Ma ch’io scopra il futuro e ch’io dispieghi
De l’occulto destin gli eterni annali,
troppo è audace desio, troppo alti preghi:
non è tanto concesso a noi mortali.
Ciascun qua giù le forze e ‘l senno impieghi
Per avanzar fra le sciagure e i mali,
ché sovente adivien che ‘l saggio e ‘l forte
fabro a se stesso è di beata sorte.”
Il Mago dice di non avere una piena conoscenza perché è oltre i limiti dell’umano.
Si noti la differenza tra il conoscere, il vedere, ad esempio di Pietro l’Eremita, e la vista
confusa del mago.
Ottava 21: “Tu questa destra invitta, a cui fia poco
Scoter le forze del francese impero,
non che munir, non che guardar il loco
che strettamente oppugna il popol fero,
contra l’arme apparecchia e contra ‘l foco:
osa, soffri, confida; io bene spero.
Ma pur dirò, perché piacer ti debbia,
ciò che oscuro vegg’io quasi per nebbia .”
Ottava 22 “Veggio o parmi vedere, anzi che lustri
Molti rivolga il gran pianeta eterno,
uom che l’Asia ornerà co’ fatti illustri,
e del fecondo Egitto avrà il governo.
Taccio i pregi de l’ozio e l’arti industri,
mille virtù che non ben tutte io scerno;
basti sol questo a te, che da lui scosse
non pur saranno le cristiane posse,”
Comincia la profezia vera e propria.
Si notino tutti i verbi e i termini che indicano visione e incertezza: “veggio o parmi
vedere”.
Ottava 23: “ma insin dal fondo suo l’imperio ingiusto
Svelto sarà ne l’ultime contese,
e le afflitte reliquie entro uno angusto
giro sospinte e sol dal mar difese.
Questi fia del tuo sangue. E qui il vetusto
Mago si tacque, e quegli a dir riprese:
O lui felice, eletto a tanta lode!.
E parte ne l’invidia e parte gode.”
Qui Ismeno dice che ci sarà un uomo che discenderà dal sangue di Solimano e che
sconfiggerà i crociati. Il riferimento è al grande Saladino che riconquista Gerusalemme
dopo la grande battaglia di Attin del 1187; è un personaggio leggendario nella cultura
Occidentale. La profezia del grande discendente è un elemento comune nell’epica;
anche a Rinaldo viene profetizzata la stirpe degli Este, è un topos con scopo di poesia
encomiastica; nel Furioso, Ruggero e Bradamante daranno origine agli Este, altro
esempio.
Queste profezie vengono fatte al personaggio positivo, il fondatore della dinastia. Non
abbiamo mai profezie per il personaggio negativo.
Tutto ciò comporta che viene confermato il rapporto di opposizione tra Solimano e
Rinaldo, i due Achille.
Vediamo la polarizzazione; non possiamo ragionare con la Liberata con strutture
dicotomiche di buoni e cattivi, non c’è una ripartizione, perché a questo personaggio
vengono assegnati episodi che appartengono invece al personaggio positivo, al
protagonista per eccellenza.
Seconda cosa: a Solimano viene detto che i crociati conquisteranno Gerusalemme. Se
in futuro il suo discendente libererà Gerusalemme, si presuppone che questa verrà
occupata dai Crociati.
Quindi Solimano sa che sta combattendo per essere sconfitto; esattamente come
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