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XXXIV CANTO
Ottava 64: l’amore per Angelica l’ha quasi spinto a uccidere il cugino
Ottava 65: la punizione divina è la follia
Astolfo, per recuperare il senno di Orlando deve andare sulla luna; il racconto di questo viaggio
sulla luna è allegorico e simbolico. In questa dimensione lunare Ariosto mescola reale e non
reale, utilizza una prospettiva straniante. Oltre a quella dantesca, c’è anche l’influenza degli
Intercenales di Leon Battista Alberti, del quale riprende argomenti, immagini e il registro satirico
(serio rudere, cioè la serietà nascosta nel gioco). L’ironia e la parodia sono quindi uno
strumento per affrontare una materia elevata dal punto di vista etico e morale (vanità della vita
terrena, mito della gloria, funzione eternatrice della poesia, la follia,…). Affronta questi argomenti
quindi non con l’invettiva ma in maniera rinascimentale, cioè con l’ironia.
IRONIA DI ARIOSTO: è una dissimulazione, nascondendo il proprio pensiero. Ciò viene fatto
attraverso l’antifrasi, cioè l’utilizzo del concetto contrario di quello che si vuole esprimere. Quindi
la letteratura è vista come finzione e invenzione, rifacendosi al dialogo socratico, al
neoplatonismo e Erasmo (Elogio della follia).
La luna è descritta in maniera dissacrante, parodica e ironica.
Ottave 70-72: la luna è descritta come un “acciar”. Astolfo e San Giovanni vedono la luna come
una copia della terra. Essi sono meravigliati perché se dalla terra la luna sembra piccola, su di
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essa sembra grande, delle stesse dimensioni della terra o poco più piccola. Vedere la terra dalla
luna è più difficile che il contrario, perché la terra non ha luce propria, per osservarla Astolfo
deve aguzzare la vista.
Ottava 72: Vengono elencate le differenze tra terra e luna. Le certezze conoscitive della terra
sulla luna possono essere contraddette: come il punto di vista è relativo, cosi può esserlo anche
il principio in base al quale si giudica.
C’è poi un catalogo di ciò si trova sulla luna, che è ciò che si è perso sulla terra, ma questa
interpretazione viene facilmente smentita: infatti essi devono essere letti secondo una chiave di
rovesciamento, a qualcosa sulla terra corrisponde qualcosa sulla luna in base a un principio
allegorico, ma anche secondo una chiave di complementarietà: qualcosa che manca sulla terra
c’è sulla luna.
San Giovanni spiegherà il meccanismo di corrispondenza: c’è corrispondenza tra gli eventi sulla
terra e il loro simbolo sulla luna. La scena tra il XXXIV e XXXV canto è riflesso di qualcosa che
accade sulla terra.
Riprendendo Alberti, la luna è descritta come luogo dove ci sono tutte le vanità in prospettiva
laica ma anche cortigiana: ciò che si trova nel vallone ha una corrispondenza con la corte.
Tra questi oggetti c’è la fama, l’ozio, il desiderio vano, le preghiere, il tempo sprecato al gioco…
Essi sono presenti in grande quantità sulla terra. Si insiste sull’aggettivo “vano”: essi pur
essendo inseguiti dall’uomo, si rivelano poi vani, cioè inutili e illusori. Ci sono dei simboli e delle
allegorie poi spiegate da San Giovanni.
Si conclude il catalogo dicendo che esso sarebbe lunghissimo, e invece che il principio di
corrispondenza che regola tutte le cose, per la pazzia vale quello di complementarietà: essa sta
tutta sulla terra ed è insita nella natura umana.
Astolfo e San Giovanni arrivano al senno che si trova sotto forma di liquido, diviso in varie
ampolle, e che Orlando dovrà annusare. Il senno di Orlando è quello nell’ampolla più grande.
Astolfo si stupisce perché trova il senno di persone che non sembravano essere pazze, a
indicare il fatto che la pazzia è comune a tutti.
Ottava 85: spiega come si possa perdere la ragione, per amore, per onore, ricchezza, magia,…
Anche in questo catalogo si trova un riflesso della società cortigiana.
La parte finale del canto XXXIV si collega con il XXXV: viene descritto il valore della poesia.
Recuperato il senno di Orlando, Astolfo e San Giovanni vedono un palazzo e vi entrano. Qui
trovano le Parche, intente a filare il destino umano. Su questi fili si trovano piastre metalliche che
hanno scritti i nomi degli uomini. C’è un vecchio che raccoglie queste piastre e fugge: si scoprirà
poi il luogo in cui egli le porta.
CANTO XXXV
Ariosto usa il gioco della corrispondenza tra la perdita di senno di Orlando e del proprio,
inserendo un proemio autobiografico.
Utilizza immagini della poesia amorosa.
Ariosto chiede aiuto all’amata perché non vuole diventare come Orlando. Ariosto crede che il
suo ingegno non abbia fatto la stessa fine di quello di Orlando: esso si trova nella donna amata,
non sulla luna. Potrà recuperare l’ingegno baciandola, se lei glielo permetterà.
lunedì 7 novembre 2016
Inserisce un encomio di Ippolito, le cui qualità sono le più illustri possibili e il cui destino è il
migliore tra quelli filati dalle Parche. Non viene nominato, ma si capisce che è lui dalla data di
nascita: 20 anni prima del 1500.
Ottava 6: si parla della corte, che è la migliore
Ottava 9: parla degli studi e del mecenatismo
Torna poi a parlare del palazzo delle Parche: nelle ottave 10-16 viene raccontato cosa accade,
spiegato poi da San Giovanni secondo il principio delle corrispondenze.
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Ottava 18: parla del Tempo. Ciò che esso fa sulla terra viene fatto dal vecchio sulla luna. Il
vecchio porta via le targhette dei fili e li fa cadere nel fiume dell’Oblio. Alcuni uccelli cercano di
recuperarle.
Ottava 20-21: la corrispondenza tra terra e luna è espressa da ‘come’ e ‘così’. Come sulla luna
gli uccelli tirano fuori dal fiume i nomi più belli ma poi li fanno ricadere in esso, così nelle corti
alcuni cortigiani appaiono gentili ma invece sono adulatori che per qualche tempo elogiano i loro
signori ma poi ne fanno cadere il nome nell’oblio.
Ottava 22: gli unici degni sono i cigni, che sulla luna col loro canto salvano la memoria di alcuni,
e che sulla terra corrispondono ai poeti.
Nella seconda parte di questa ottava introduce il rapporto tra potere e intellettuali. Sarebbe
giusto comportarsi come Augusto, ma molti mecenati si comportano nella maniera sbagliata.
Ottava 23: come i cigni sono rari, così lo sono anche i poeti, perché dio non consente
un’eccessiva quantità di uomini illustri e poeti degni di tale nome, ma anche perché alcuni
principi ignoranti opprimono le virtù ed esaltano i vizi
Ottava 24: Questa colpa non è solo dei principi, ma è stato dio a farli così ignoranti e sprezzanti
della poesia. Anche i signori più vili, se vengono cantati bene e lodati dai poeti, possono essere
ricordati come degni.
San Giovanni fa una revisione delle storie letterarie e una riflessione più ampia sul potere della
poesia e della parola, sul rischio dell’utilizzo di esso per il potere personale. Anche le qualità di
Augusto descritte da Virgilio dipendono dall’amicizia che legava i due, mentre la fama negativa
di Nerone è conseguenza della sua incapacità a farsi amici i poeti.
Per conoscere la verità storica si deve leggere al contrario ciò che dicono i poeti: i Greci in
Omero persero e Troia vinse.
Non stravolge il topos della funzione eternatrice della poesia, ma cambia il punto di vista: la
poesia è strumento quasi commerciale, i poeti ottengono dei benefici in cambio di eternare la
fama del mecenate. Ariosto è ironico: le parole sono in bocca a San Giovanni che è egli stesso
un poeta, quindi può star modificando anch’egli la realtà.
Ogni verità dunque è relativa, perché storicamente condizionata.
Ariosto riprende il lessico cortigiano per descrivere il suo ruolo: con il serio ludere riporta
l’attenzione alla contemporaneità. Rivendica l’autonomia della poesia, ma anche rappresenta il
tentativo di ricerca di uno status intellettuale e sociale che corrisponda al proprio merito. Ariosto
sa che ciò è un paradosso e di essere dentro a un rapporto complesso, ma ne cerca una
soluzione utile a entrambe le parti. Se la poesia è strumento di manipolazione, può essere
anche lo strumento per denunciarla. martedì 8 novembre 2016
CANTO XLVI
Lieto fine della storia di Bradamante e Ruggiero. Dopo i festeggiamenti delle loro nozze giunge
Rodomonte, che sfida Ruggiero a duello accusandolo di tradimento perché si è convertito e non
è stato fedele né alla sua patria né alla sua religione. Il racconto del duello è emulazione di
quello tra Enea e Turno del XII canto dell’Eneide, ma con un abbassamento di tono, con meno
pathos rispetto al testo latino.
Il canto si apre con un proemio molto lungo (19 ottave), uno dei più lunghi, superato solo da
quello del XXXVII di 24 ottave. Esso raggiunge questa lunghezza nella terza edizione del
Furioso, quelli precedenti erano più corti.
Ariosto usa una metafora topica, quella della navigazione e dell’arrivo in porto paragonati alla
stesura dell’opera e alla sua faticosa conclusione.
Riprende le Georgiche di Virgilio e il II canto del Purgatorio e del Paradiso di Dante. Mette in
guardia il lettore dalla difficoltà della materia che sta per affrontare.
Ottava 1: il porto non è lontano e lui spera di completare ciò che sta facendo per colui che ha
protetto questa navigazione (Ippolito oppure l’amata Benucci).
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Ottava 2: mentre si avvicina al porto il poeta sente un frastuono fortissimo, suoni di campane e
trombe e urla di gioia del popolo. Avvicinandosi riconosce i personaggi, tutti allegri della sua
venuta e della sua conclusione di un così lungo viaggio. Riprende dunque il topos e non solo
accenna al viaggio e paragona la stesura dell’opera a esso, ma crea una struttura metaforica
che rende reale questo arrivo al porto. Lo fa mettendo personaggi concreti al porto: non c’è solo
Ippolito, ma elenca un pubblico ideale che lo attende. Essi sono personaggi da tutta Italia, che
rappresento la società a cui è dedicata l’opera (che non è il popolo).
Ottava 3: Ariosto inizia elencando le donne della Lombardia e della Toscana (Sforza, Correggio,
Malatesta, Gonzaga,… e ovviamente Este). All’interno di questo elenco inserisce alcune
importanti poetesse, come Veronica da Gambera e Vittoria Colonna. Fa poi un elenco di poeti
maschi e letterati.
17 dicembre 1517, Nicolò Machiavelli a Ludovico Ariosto: Machiavelli ha letto la prima edizione
del poema e lo apprezza, ma con un ling