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Tespi; Orazio, nell’Ars Poetica 275-280, collega

l’invenzione del genere tragico a Tespi che fa salire sul

suo carro degli attori che cantavano con il viso sporco di

mosto. Anche dalle notizie provenienti da una cronaca

epigrafica di età ellenistica ( Marmor Parium, FGrHist 239

A 43) e dal lessico bizantino del X secolo d.C. (Suda) si

evince cheTespi fu il vincitore del primo concorso

tragico svoltosi ad Atene, durante le Grandi Dionisie tra

il 535 e il 533 a.C.. La tragedia greca raggiunse la sua

configurazione definitiva nel V secolo a.C., divenendo la

forma classica che fu in seguito assunta come modello di

riferimento in tutta la storia del teatro. La grandissima

fortuna di questo genere di dramma è da correlare

soprattutto a Eschilo, Sofocle ed Euripide, gli unici

autori di cui si sono conservate opere intere. Il soggetto

della tragedia era generalmente ricavato dalla tradizione

mitologica, un serbatoio leggendario che costituiva il

patrimonio culturale popolare condiviso dall’intera

comunità della pòlis. Il drammaturgo rivisitava il

soggetto mitico inserendolo nel contesto sociale del suo

tempo utilizzando personali scelte tematiche;

fondamentale era il messaggio che sottendeva la tragedia

ovvero il rapporto tra le divinità e gli uomini, la giustizia,

il potere, la libertà e la sofferenza. Il pubblico che

assisteva alle tragedie poteva immedesimarsi con la

sofferenza dell’eroe protagonista che generava nello

spettatore sentimenti di pàthos e innescava il meccanismo

di immedesimazione emotiva che Aristotele nella Poetica

definiva catarsi, la «purificazione» dell’animo dai

sentimenti di compassione e di paura. Grazie alle

tragedie pervenute è stato possibile analizzarne la

struttura; lo spettacolo si apre con un pròlogo, momento

in cui un personaggio entra nel entra nel proscenio, lo

spazio antistante la skenè e introduce l’intreccio della

storia. Al pròlogo segue la pàrodo, una danza d’ingresso del

coro accompagnata dal canto lirico che si svolge

nell’orchestra,. A questo punto si snodano gli episodi e gli

stàsimi (da tre a cinque); gli stàsimi sono danze

accompagnate da canti in metro lirico eseguiti dal coro.

Alla fine del dramma si ha l’ èsodo alla cui conclusione il

coro lascia l’orchestra e gli attori abbandonano la scena.

Accanto ai suddeti elementi basilari, nelle tragedie

superstiti si rintracciano altre strutture tipiche;

ricordiamo la rhesis, un lungo discorso-monologo in cui

un personaggio si presenta e dichiara le proprie

intenzioni agli altri personaggi in scena. Si trovano

spesso rheseis appaiate nel contesto dell’agón (una scena di

dibattito caratterizzata dalla centralità di due rheseis da

parte dei due personaggi in scena, in cui si confrontano

due idee diverse sulla situazione ma talvolta anche due

visioni del mondo molto diverse).Altri elementi sono: le

sticotimie (dialoghi serrati da «botta e risposta», in versi

alternati, a volte realizzati con due versi a testa,

disticomitia), l’antilabé (divisione di un verso tra due o

più interlocutori), la monodia (canto a solo eseguito da un

attore), l’amebeo (dialogo fra un attore e il coro), il kommos

(duetto lirico tra coro e attori). La commedia fu un

genere di rappresentazione teatrale che si prolungò fino

all’età ellenistica fungendo da esempio per la

drammaturgia romana. La commedia greca viene divisa

in tre fasi: la Commedia Antica (dalle origini ai decenni

iniziali del IV secolo, che comprende la produzione di

Aristofane), la Commedia di Mezzo(fino all’esordio di

Menandro nel 321 a.C.) e la Commedia Nuova(fino alla

metà del III sec. a.C). Lo scopo della comedia era quello

di far ridere gli spettatori e l’autore, per raggiungere il

suo scopo, si avvaleva di diversi mezzi drammaturgici e

di svariate intuizioni di fantasia: trame totalmente

inventate, parodie del mito, attualità sociale e politica di

Atene, satira e aggressività verbale, giochi di parole e

linguaggio osceno. Così come il pàthos tragico, anche il

riso scatenato dal comico presenta una valore catartico

perché rappresenta un mezzo di liberazione di tensioni

interne e una sorta di stabilizzatore dell’animo umano.

Dal punto di vista strutturalesi evidenzia la tendenza alla

bipartizione dello spettacolo; dopo il pròlogo e la pàrodo

segue l’ agón. A metà spettacolo si ha la la paràbasi o

«sfilata» del coro dinanzi al pubblico dopo la quale inizia

il susseguirsi discene comiche e canti corali. Il dramma si

chiudeva con l’uscita di scena del corteo. Il dramma

satiresco è una forma teatrale meno nota; il Ciclope di

Euripide è l'unico dramma satiresco pervenutoci per

intero. Si tratta di un genere di letteratura drammatica

tipico del teatro greco, caratterizzato, oltre che da alcune

qualita peculiari, dalla compresenza di elementi propri

degli altri due generi drammatici, la tragedia e la

commedia. Si contraddistingue per la presenza di un

coro formato da Satiri (esseri selvaggi, meta uomo e

meta capra, che sintetizzano in un incredibile condensato

tutti i vizi che un cittadino per bene deve evitare) guidati

da Sileno. La trama del dramma satiresco, come nella

tragedia, prende sempre spunto dal mito ma accanto ai

personaggi divini o eroici (gli stessi che caratterizzano la

tragedia) agiscono Sileno e i Satiri. Oltre alle trame

mitologiche, con la tragedia il dramma satiresco ha in

comune anche la struttura, che prevede un pròlogo, una

pàrodo e degli episodi intercalati da brevi canti corali. Con

la commedia condivide invece il lieto fine, la comicità

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Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/02 Lingua e letteratura greca

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