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CAPITOLO III: TRANSIZIONE
Ciò che rappresenta la problematica comune degli autori analizzati è la contrapposizione soggetto
oggetto: in Ibsen presente rivelatore e passato rivelato; in Strindberg il soggetto isolato diventa
oggetto a se stesso; Maeterlinck e Hauptmann condannano gli esseri umani ad un’oggettività
passiva. In ognuna di esse il soggetto, l’io epico, è formalmente necessario per la loro
rappresentazione eppure negato per l’ostinazione di rimanere ancorati alla forma drammatica.
In queste relazioni oggetto-soggetto infatti, i tre concetti fondamentali della forma drammatica
crollano: il presente, che nel dramma è assoluto perché non ha una cornice temporale; il rapporto
intersoggettivo, anch’esso assoluto perché non conosce né interiorità soggettiva né oggettività
estrinseca, limitandosi al dialogo; l’accadere, assoluto perché sia dall’interiorità che dell’oggettività,
ma è esclusivamente dinamica dell’opera. Questi tre fattori, nel dramma assoluti, vengono
relativizzati in questi autori di transizione: in Ibsne il presente è relativizzato dal passato; in
Strindberg il rapporto intersoggettivo è relativizzato alla prospettiva soggettiva; in Haptmann
l’accadere è relativizzato alle condizioni oggettive che ha il compito di rappresentare.
La problematica risiede nel fatto che soggetto-oggetto, che la forma drammatica prevede fusi
insieme, nel contenuto subiscono una separazione, e gli autori analizzati risolvono questo contrasto
travestendo tematicamente le situazioni epiche alla base dei loro drammi, affinchè esse appaiano
come scene drammatiche.
Il periodo di transizione è dunque la fase in cui si preparano gli strumenti per il superamento di
questo contrasto tra forma e contenuto, che avverrà nei decenni successivi. Corrispettivi di questa
fase in altri campi artistici sono Stendhal (con il suo monologue interieur prepara il terreno di James
Joyce), Cezanne (prepara Picasso e Braque) ecc. Citando questi esempi appare chiaro che anche
nella fase di transizione si possono avere opere di altissimo profilo, e tuttavia non si può negare la
loro unicità e l’impossibilità che esse potessero porsi come modello degli autori successivi, se non
come modello di qualcosa che si lascia dietro di sé.
Prima di entrare in merito alle nuove forme teatrali che superano il contrasto forma e contenuto
reinventando la forma, dobbiamo parlare dei tentativi che hanno cercato di superare il contrasto
salvando la forma drammatica tradizionale.
Un caso a parte è quello del dramma lirico di Hofmannsthal, forma che sfugge alla contrapposizione
forma-contenuto legata alla concezione di soggetto-oggetto perché la lirica affonda le sue radici non
nella fusione attuale (dramma) né nella separazione statica (epica) di soggetto e oggetto, ma nella
loro identità sostanziale ed originaria. La categoria del dramma lirico è lo stato d’animo, che non
appartiene all’interiorità isolata ma al mondo delle cose, poiché entra in esse e al contempo porta
esse in noi. Ciò significa che il dramma lirico non conosce differenza tra monologo e dialogo, tra
passato e presente, e il linguaggio non coincide necessariamente con l’azione, può esserne
indipendente e coprire quindi le fratture della vicenda, nelle quali altrove si rivela invece la crisi del
dramma.
CAPITOLO IV: TENTATIVI DI SOLUZIONE
I: IL DRAMMA NATURALISTA
Il dramma naturalista sceglieva i protagonisti dagli strati inferiori della società perché lì trovava
esseri umani dotati di una forte volontà e di grandi passioni: cercò in pratica di salvare il dramma
borghese in aperta crisi scendendo i gradini della scala sociale.
Eppure questa scelta crea un distacco sociale che risulta fatale come distacco drammatico: il vero
autore drammatico non si trova mai in posizione di distacco rispetto alle dramatis personae; o è
tutt’uno con esse o rimane del tutto fuori dell’opera. Questa identità spettatore-autore-dramatis
personae è possibile perché i soggetti del dramma sono sempre proiezioni del soggetto storico,
riflettono lo stato della coscienza. Nel dramma naturalistico invece, autore borghese e pubblico
borghese osservano la classe contadina e il proletariato, e questo sul piano drammatico ha
ripercussioni negative.
dimostra l’analisi dei Tessitori, il linguaggio naturalistico presuppone l’io epico, in quando
Come
l’ambiente che deve essere riprodotto esprime l’intenzione e anche il punto di vista dell’autore da
un lato, relativizzando così lo spazio del dramma rispetto al narratore epico; e dall’altro attiva un
meccanismo di straniamento sui personaggi che in tale ambiente vengono collocati.
nell’azione si attiva un meccanismo di straniamento dello stesso tipo: l’azione del dramma
Anche
naturalistico appartiene al genere “fait divers”, ossia dell’accadere estraniato al suo terreno. E’
un’azione che non si lascia mai integrare perfettamente ai caratteri e al loro ambiente.
Questa dissociazione tra ambiente, carattere ed azione, la loro reciproca estraniazione, esclude una
fusione omogenea dei vari elementi in un movimento globale assoluto, come quello richiesto dal
dramma. Lo sbriciolamento che caratterizza tutti i drammi naturalistici di Hauptmann (esempio Il
gallo rosso, 1901) ha le sue radici in questa problematica, che potrebbe risolversi attraverso
l’introduzione di un io epico che dia coesione a questi elementi.
Perciò la drammaturgia del naturalismo, per quello stesso distacco dalla borghesia che le consente
di salvare il dramma, è sempre in balia del pericolo di rovesciarsi in epica.
II: IL DRAMMA CONVERSAZIONE
Un tentativo di salvare il dramma è quello operato attraverso il dialogo, che si cerca di salvare dalla
soggettività che ne minaccia la disgregazione in monologhi.
Il dialogo nel dramma-conversazione (o piece bien faite, o well made play) diventa conversazione,
ossia staccandosi dal soggetto e dalla soggettività, diventa un vuoto che viene riempito di temi
d’attualità.
Il dramma-conversazione rappresenta la norma della drammaturgia degli inizi del 1900; tuttavia il
suo aspetto drammatico era più apparente che reale, poiché il dialogo drammatico è grave di
conseguenze in ogni sua battuta, mentre la conversazione non trapassa in azione, e, non avendo
origine soggettiva, non può nemmeno caratterizzare gli individui. Dunque ancora una volta l’azione
va presa in prestito dall’esterno, e questo va a distruggere l’assolutezza della forma drammatica.
Il dramma-conversazione è un dramma dal carattere puramente esteriore, e pertanto viene
annoverato tra i drammi che tentano di salvare il dramma senza osare affrontare di petto la crisi.
Citiamo tuttavia alcuni esempi particolari: Il difficile, 1918, di Hofmannsthal, che presenta una
conversazione che si sottrae al vuoto perché approfondita e trasformata dal protagonista, il conte
Buhl, e diventa tematica, ponendo problemi da cui emerge la problematicità stessa del dialogo;
Aspettando Godot, 1952, di Beckett, in cui la limitazione del dramma alla conversazione, qui
diventa tematica: il vuoto conversare è in grado di rivelare la misera condizione degli uomini. In
Aspettando Godot la forma drammatica non cela più una contraddizione critica, e la conversazione
non è più un mezzo per superarla, ma tutto è a pezzi, il dialogo, l’insieme formale, l’esistenza
umana.
III: L’ATTO UNICO
Attraverso l’atto unico si tenta di permettere alla forma drammatica di raggiungere la tensione al di
fuori del rapporto intersoggettivo. In particolare ciò è evidente nell’opera di Strindberg, che tra Il
padre (1887) e Verso Damasco (1897-1904) scrive undici atti unici.
L’atto unico non è un dramma di proporzioni ridotte, ma una parte di dramma che si è eretta a tutto:
il suo modello è la scena drammatica. Nell’atto unico la tensione non scaturisce più dall’accadere
intersoggettivo ma dev’essere già insita nella situazione di partenza, e non come tensione virtuale
ma come situazione-limite, ossia la situazione che precede immediatamente la catastrofe inevitabile.
Dunque al contempo non si ha più alcuna lotta dell’uomo contro il destino, non è più possibile
alcuna azione, solo un tempo d’attesa che si deve occupare; è anche conosciuto come il dramma
dell’uomo non-libero.
Degli atti unici di Maeterlinck abbiamo parlato: l’impotenza degli uomini esclude l’azione ma non
la tensione della situazione in cui sono calati in quanto vittime. L’intervallo di tempo che li separa
dalla morte o dalla catastrofe è solo quello in cui la si apprende, e il sipario cala nel momento in cui
avviene tale apprendimento, in cui è scoperta la premessa che determinava la tensione.
Nell’atto unico di Strindberg Prima della morte (1892), la catastrofe imminente che affligge il
signor Durand è il prossimo fallimento della pensione che dirige: ancora qui la tensione drammatica
è determinata dalla situazione, e non da conflitti intersoggettivi.
Tuttavia altri atti unici di Strindberg, come Paria, Giocare col fuoco ecc, mancano addirittura del
momento di tensione della catastrofe incombente, a palesare come qui la forma dell’atto unico sia
stata adottata in un momento di crisi; la comprensione del fatto che la drammaturgia soggettiva,
rifiutando l’accadere intersoggettivo, deve rifiutare anche lo stile della tensione, porterà Strindberg
al dramma a tappe.
IV: ANGUSTIA ED ESISTENZIALISMO
Poiché la crisi del dramma va attribuita anche alle forze che fanno uscire gli uomini dal rapporto
intersoggettivo e li spingono all’isolamento, si vanno a cercare situazioni di angustia, ossia
circostanze in cui questi esseri umani isolati siano costretti a tornare alla dia logicità del rapporto
intersoggettivo da fattori esterni.
tendenza nasce nella tragedia borghese: nella prefazione a Maria Maddalena, 1844, Hebbel
La
enunciava il concetto di angustia come possibilità di sfondare la chiusura degli individui.
Il problema che viene a porsi all’autore drammatico in questo contesto è tuttavia messo in luce da
Rudolf Kassner, che a proposito dei personaggi di Hebbel afferma che essi danno l’idea di uomini
costretti a parlare dopo anni di silenzio, e perciò inevitabilmente il poeta stesso prende spesso la
parola al loro posto; tale principio anticipa l’inevitabile epicizzazione che affligge il dramma anche
in questa forma.
-Esso appare ancora più evidente nelle opere in cui l’angustia tematica è un elemento secondario, un