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Il contesto geopolitico

Nel Cinquecento, l'Italia era divisa in vari stati indipendenti, mentre Francia, Spagna e

Inghilterra consolidavano il loro potere. Dopo la morte di Lorenzo de' Medici, la Pace di

Lodi venne meno, e Carlo VIII di Francia invase l'Italia, suscitando le parole di

Machiavelli: “Al re di Francia fu lecito di pigliare l’Italia col gesso”. La Chiesa, per i primi

tre decenni del secolo, si concentrò sulla politica culturale e religiosa, con papi come

Alessandro VI, Giulio II, Leone X e Adriano VI, che influenzarono fortemente il

panorama italiano e europeo.

Nel 1494, la Francia iniziò le sue guerre in Italia per rivendicare diritti dinastici su

Napoli e Milano, che coinvolsero altri stati europei, tra cui il Sacro Romano Impero, la

Spagna e l'Inghilterra. La guerra culminò con il Sacco di Roma nel 1527, un evento che

rafforzò l’antiromanesimo in Italia.

Nel 1530, Firenze fu costretta a cedere, e Carlo V, imperatore del Sacro Romano

Impero, nominò Alessandro de’ Medici come signore a vita, segnando la fine della

Repubblica fiorentina e l'inizio di un lungo periodo di dominazione straniera che durò

fino al XIX secolo.

La crisi religiosa e morale

Nonostante il trionfo intellettuale e artistico dell'Italia, il paese si trovava in una crisi

morale e religiosa. Questo periodo segnò anche l'inizio della Riforma protestante, con

Martin Lutero (1483-1546) e le sue 95 tesi del 1517, che divisero l’Europa tra i paesi

fedeli a Roma e quelli che seguirono le dottrine protestanti.

Le idee di Lutero si diffusero in tutta Europa, anche se in Italia la Riforma ebbe effetti

limitati. Tuttavia, il sentimento antiromano si fece strada, e il Sacco di Roma del 1527

fu visto da molti come una punizione giusta per il clero corrotto. La Chiesa rispose con

il Concilio di Trento, mirato a riorganizzare la Chiesa di Roma e a combattere le eresie.

La nascita della Letteratura Italiana

Durante questo periodo, l’Italia vide una crescita significativa della letteratura volgare,

grazie alla diffusione della stampa e all’espansione del ceto intellettuale. La cultura

divenne policentrica, con un crescente numero di letterati provenienti da tutte le

regioni italiane. Il volgare cominciò a diffondersi, e il periodo fu caratterizzato da una

crescente riflessione sulla lingua.

Il dibattito sulla lingua italiana si intensificò tra il 1524 e il 1525, coinvolgendo figure

come Vincenzo Colle, Niccolò Machiavelli, Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione e

Gian Giorgio Trissino, che discussero sul ruolo della lingua volgare e la sua

unificazione. Questo periodo segnò anche la nascita di una vera e propria "Letteratura

Italiana", con la creazione di un linguaggio che unificò l'Italia, anche se la lingua

rimase fortemente legata alle specifiche tradizioni regionali.

L’influenza europea

Nel corso del Cinquecento, sebbene l'Italia fosse immersa in una crisi politica e

culturale, l'influenza culturale italiana si spostò verso altre nazioni. In particolare, il

Rinascimento italiano influenzò la letteratura in Inghilterra con William Shakespeare

(1564-1616) e in Spagna con Miguel de Cervantes (1547-1616), che scrissero opere

fondamentali per la nascita del romanzo moderno.

Nel contesto religioso e politico, la diffusione della Riforma protestante, con Martin

Lutero e Giovanni Calvino, contribuì a plasmare la storia europea, mentre la risposta

della Chiesa cattolica con il Concilio di Trento portò a una riorganizzazione interna.

La Posizione di Niccolò Machiavelli (1469-1527)

Machiavelli si distacca nettamente dalle teorie di Gian Giorgio Trissino. Nel Discorso o

dialogo intorno alla nostra lingua, Machiavelli argomenta che, pur essendo la

Commedia di Dante arricchita da termini provenienti da diverse regioni italiane, ciò

non indebolisce la sua fiorentinità. Secondo Machiavelli, l'assorbimento di parole da

altre lingue o dialetti è naturale, in quanto ogni lingua si adatta e rielabora i termini

esterni seguendo la propria struttura e le proprie caratteristiche fonetiche e

morfologiche. La sua visione è quindi avanguardista rispetto alla tradizione.

La Posizione di Pietro Bembo (1470-1547)

Molti intellettuali del tempo non comprendono completamente la tesi di Machiavelli,

ma trovano più accettabile quella di Pietro Bembo, che media tra le posizioni

precedenti. Bembo sostiene che la lingua dei grandi autori fosse fiorentina e non

"cortigiana", come alcuni avevano affermato. Per lui, il modello da seguire è la lingua

fiorentina. Inoltre, afferma che la lingua scritta deve discostarsi da quella parlata, e

che i dotti devono elaborare un linguaggio separato dalla lingua popolare.

Bembo è un promotore dell'unificazione linguistica e distingue chiaramente tra poesia

e prosa. Per la poesia, il modello ideale è Francesco Petrarca, la cui lingua è limpida e

nobile, mentre per la prosa il punto di riferimento è Giovanni Boccaccio, con il suo stile

classicheggiante e ciceroniano. Per Bembo, non è un problema rifarsi ai modelli del

passato, poiché questi sono solidi e basati su tradizioni forti.

La sua proposta di separare la lingua scritta da quella parlata, nonché la distinzione

tra poesia e prosa, viene ben accolta, tanto che autori come Ludovico Ariosto

riscrivono Orlando Furioso seguendo le sue indicazioni, e Baldassarre Castiglione fa

leggere il suo Cortegiano a Bembo prima della pubblicazione. Durante il convegno di

Bologna nel 1530, Bembo viene acclamato come il maestro della nuova dottrina

linguistica.

La Posizione di Baldassarre Castiglione (1478-1529)

Nel Libro del Cortegiano, Castiglione non affronta direttamente la questione della

lingua, ma esprime idee che si avvicinano a quelle del Calmeta. In particolare,

Castiglione rifiuta l'esclusivismo toscano e si oppone agli arcaismi. Egli concede l'uso

di termini stranieri, purché siano eleganti e appropriati. La sua posizione riconosce

l'importanza della tradizione fiorentina, ma enfatizza anche l'importanza della

consuetudine linguistica di altre città nobili italiane, come quelle di Roma e Venezia,

che hanno prodotto uomini saggi ed eloquenti.

Secondo Castiglione, la lingua che verrà adottata come standard dovrà essere radicata

nell'uso quotidiano, in modo da soddisfare le necessità della "civile conversazione",

che include non solo il parlare, ma anche il gioco, la discussione e la comunicazione

sociale.

La Posizione di Gian Giorgio Trissino (1478-1550)

Trissino sviluppa la tesi cortigiana proponendo una lingua scritta unitaria per l'Italia.

Pur riconoscendo il primato del fiorentino, egli sostiene che il vocabolario debba essere

arricchito con parole selezionate da altre parlate italiane. La sua proposta rappresenta

una sintesi tra la lingua toscana e le altre tradizioni regionali.

I Ceti Intellettuali

Nonostante l'espansione culturale del Rinascimento, i ceti intellettuali non subiscono

modifiche significative: i letterati rimangono principalmente aristocratici e non

provengono dalle classi popolari. Piuttosto, la componente elitaria del ceto letterario si

accentua, con letterati nobili soprattutto da Roma e Venezia.

Gli intellettuali cominciano ad avvicinarsi alle corti centrali, abbandonando le

istituzioni comunali e le corti di provincia, considerate meno sicure. La corte di Papa

Leone X a Roma diventa il centro principale della vita intellettuale italiana. Questo

processo crea una doppia interazione: da un lato, gli intellettuali cercano i benefici

ecclesiastici, dall'altro il papato concentra la sua attenzione sugli intellettuali, facendo

coincidere la missione della Chiesa con le esigenze della nuova cultura.

La Trattatistica

Nel Rinascimento, la trattatistica è un insieme di opere che trattano specifici temi,

spesso in forma di dialogo, per confrontare diverse opinioni. Questi trattati venivano

scritti sia in latino che in volgare. Il latino era utilizzato per opere filosofiche e

scientifiche, mentre in volgare si trattavano temi come l'amore, il comportamento del

gentiluomo, la scrittura e la lingua. La trattatistica latina continuò a essere importante

anche nel Cinquecento, dimostrando che le tradizioni latina e volgare coesistevano

parallelamente.

Esempio di trattatistica latina è il De Cardinalatu di Paolo Cortesi (1510), che descrive

le virtù e i doveri del cardinale.

I Modelli Rinascimentali

Due importanti modelli rinascimentali sono rappresentati da Il Principe di Niccolò

Machiavelli (1513) e Il Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione (1513,

pubblicato nel 1528). Mentre Il Principe tratta della figura del capo assoluto, Il

Cortegiano si concentra sull'ideale del perfetto cortigiano. Entrambi sono trattati di

comportamento che esplorano la società rinascimentale fondata sul concetto di

"forma", cioè ciò che appare e deve corrispondere alla sostanza delle cose. La corte è

il luogo in cui forma, apparenza, potere e cultura si incontrano.

Baldassarre Castiglione (1478-1529)

Castiglione, nato a Mantova, venne educato secondo le tradizioni umanistiche di

Milano. Viaggiò in diverse corti italiane, tra cui quelle di Francesco II Gonzaga a

Mantova, Guidobaldo da Montefeltro a Urbino e Ludovico il Moro a Milano. La sua

carriera ecclesiastica lo portò a essere Nunzio Pontificio durante il periodo del Sacco di

Roma.

La sua opera più famosa, Il Cortegiano, fu scritta in forma dialogica e pubblicata nel

1528. Ambientata alla corte di Urbino, descrive in quattro serate il perfetto cortigiano,

un nobile esperto nelle arti, nelle armi, nella musica e nelle lettere, ma anche capace

di conversare con grazia ed eleganza. L'opera non solo riflette le aspirazioni della

nobiltà, ma rappresenta un ideale di equilibrio e armonia che trascende la realtà

quotidiana.

Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione:

Il libro esplora le qualità ideali di un cortigiano, come la grazia (equilibrio e

proporzione) e la sprezzatura (l’abilità di nascondere lo sforzo dietro le azioni).

Le caratteristiche essenziali per un cortigiano includono l'esercizio delle armi, la

moralità, la discrezione, la conoscenza della pittura, della musica, della letteratura e

dell’umanesimo.

Una sezione è dedicata alla donna di palazzo, che deve possedere virtù come bontà,

prudenza e affabilità, e deve evitare comportamenti corrotti o sgradevoli.

Il cortigiano ideale è anche un consigliere del principe, che deve mantenere l'equilibrio

tra giustizia e bontà.

Gli Asolani di Pietro Bembo:

Un trattato sull'amore in forma di dialogo ambientato nella corte di Caterina Cornaro,

con tre protagonisti che espongono diverse teorie sull'amo

Dettagli
Publisher
A.A. 2025-2026
7 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Dile._ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Ludovici Luigi.