Permute di attività immateriali
Il costo di acquisizione di attività immateriali ricevute in permuta è determinato al
fair value, a meno che la permuta non abbia sostanza commerciale, ossia se né il
fair value dell’attività ricevuta né quello dell’attività ceduta possono essere valutati
in modo attendibile.
Attività immateriali generate internamente
L’avviamento generato internamente non può essere rilevato come attività, poiché
non è identificabile né controllabile dall’impresa, e il suo valore non può essere
determinato in modo attendibile.
I costi relativi alla fase di ricerca non possono essere capitalizzati.
I costi della fase di sviluppo, come la progettazione e la realizzazione di prototipi,
possono invece essere capitalizzati solo se ricorrono le seguenti condizioni:
Fattibilità tecnica della realizzazione dell’attività immateriale;
• Capacità di generare benefici economici futuri;
• Disponibilità di risorse adeguate per completare lo sviluppo;
• Capacità di determinare in modo attendibile il costo attribuibile all’attività.
•
Lo IAS 38 vieta esplicitamente la capitalizzazione dei costi relativi a marchi,
testate giornalistiche, diritti editoriali, anagrafiche clienti e simili se generati
internamente, in quanto non è possibile distinguere i costi di tali elementi da
quelli sostenuti per sviluppare l’attività aziendale complessiva.
È importante sottolineare che i costi inizialmente rilevati a Conto Economico non
possono essere successivamente capitalizzati.
Rilevazione successiva delle attività immateriali
Lo IAS 38 prevede due modalità per la rilevazione successiva delle attività
immateriali:
Il modello del costo (cost model), dopo la rilevazione iniziale, le attività
• immateriali restano iscritte in bilancio al costo originario, al netto degli
ammortamenti accumulati e delle eventuali perdite durevoli di valore.
In altri termini, il valore contabile dell’attività viene progressivamente
ridotto sia attraverso il processo di ammortamento — che riflette la
ripartizione sistematica del costo lungo la vita utile stimata — sia mediante
l’eventuale rilevazione di svalutazioni, qualora emergano indicatori di
perdita di valore.
Questo modello, caratterizzato da un’impostazione prudenziale, mira a
garantire una rappresentazione contabile affidabile e coerente con
l’effettiva capacità dell’attività di generare benefici economici futuri;
Il modello della rideterminazione del valore (revaluation model), dopo la
• rilevazione iniziale, le attività immateriali vengono iscritte in bilancio a un
valore aggiornato, pari al fair value determinato alla data della
rivalutazione.
Tale valore viene successivamente rettificato per tenere conto degli
ammortamenti accumulati e delle eventuali perdite durevoli di valore
rilevate negli esercizi successivi.
Un elemento cruciale riguarda però la condizione necessaria per poter
applicare il revaluation model, ovvero l’esistenza di un mercato attivo.
Lo IAS 38 precisa che questo modello può essere utilizzato esclusivamente
quando il fair value dell’attività è determinabile in modo attendibile
attraverso quotazioni ufficiali riferite a beni omogenei e scambiati con
regolarità.
Proprio questa condizione rende il modello estremamente raro per le
attività immateriali.
Infatti, molte di esse — come brevetti, concessioni o licenze specifiche —
sono uniche e non presentano caratteristiche tali da permettere la
formazione di un mercato attivo.
Inoltre, gli standard internazionali richiamano come casi eccezionali
soltanto alcune tipologie di licenze caratterizzate da elevata omogeneità,
come le licenze taxi o le licenze di pesca, per le quali può effettivamente
esistere un mercato attivo ai sensi dei principi contabili internazionali.
Al di fuori di questi casi circoscritti, risulta estremamente difficile soddisfare
la condizione richiesta dallo IAS 38.
Per questo motivo, se già nel contesto delle attività materiali il revaluation
model è utilizzato con moderazione, nel caso delle attività immateriali il suo
impiego risulta ancora più limitato.
Quando applicabile, la rideterminazione del valore deve essere effettuata
con regolarità: annualmente, se il fair value dell’attività subisce variazioni
frequenti e significative, oppure con una periodicità minore qualora tali
variazioni risultino più contenute.
Nel quadro del revaluation model, gli ammortamenti cumulati possono
essere trattati secondo due modalità:
1. Ricalcolo proporzionale, adeguandoli alla variazione del valore del
cespite affinché il valore contabile sia coerente con quello
rideterminato;
2. Eliminazione degli ammortamenti, compensandoli direttamente con
il costo e iscrivendo l’attività al nuovo valore rivalutato.
L’incremento di valore derivante dalla rivalutazione deve essere rilevato tra
le altre componenti di Conto Economico Complessivo (OCI) e accumulato
nel Patrimonio Netto nella riserva di rivalutazione.
Tale componente non sarà successivamente riclassificato a Conto
Economico.
L’aumento di valore può essere imputato direttamente a Conto Economico
soltanto quando rappresenta il recupero di una svalutazione
precedentemente rilevata sul medesimo bene.
Viceversa, se il valore contabile diminuisce, la riduzione deve essere
imputata a Conto Economico come svalutazione, salvo che esista una
riserva di rivalutazione relativa allo stesso cespite, dalla quale attingere fino
al suo esaurimento.
Attività immateriali con vita utile definita
Le attività immateriali con vita utile definita presentano una logica di trattamento
contabile del tutto analoga a quella prevista per le immobilizzazioni materiali.
Quando un’attività immateriale dispone di un orizzonte temporale identificabile o
stimabile, essa deve essere sottoposta a un processo sistematico di
ammortamento volto a ripartirne il costo lungo la durata della vita utile.
L’ammortamento, infatti, rappresenta un meccanismo di allocazione del valore
dell’investimento nel tempo, il quale richiede la predisposizione di un apposito
piano basato su tre elementi fondamentali: il valore da ammortizzare, la vita utile
e il criterio di ripartizione.
La vita utile può essere espressa sia come periodo di tempo durante il quale
l’attività è destinata a essere utilizzata, sia come quantità di produzione o servizi
che si prevede di ottenere dal suo impiego.
Come accade per le immobilizzazioni materiali, essa riflette dunque la capacità
dell’attività di contribuire al processo produttivo e ai benefici economici futuri.
Il valore da ammortizzare è determinato sottraendo dal costo iniziale dell’attività
il suo valore residuo.
Quest’ultimo rappresenta l’importo che l’impresa prevede di ottenere dalla
vendita dell’attività al termine della vita utile, al netto dei costi di dismissione.
Il criterio di ripartizione, infine, stabilisce come il valore da ammortizzare venga
distribuito lungo la vita utile dell’attività.
Può essere lineare, ripartendo lo stesso importo ogni anno, o decrescente,
concentrando maggiori quote di ammortamento nei primi anni, in funzione del
maggiore utilizzo o del più rapido deterioramento dell’attività.
Oltretutto, anche per le attività immateriali opera la distinzione tra recupero
indiretto del valore, ottenuto attraverso l’uso dell’attività nel corso degli anni, e
recupero diretto, ottenuto mediante la sua vendita.
Tuttavia, secondo quanto stabilito dallo IAS 38, per le attività immateriali il valore
residuo deve essere normalmente considerato pari a zero, poiché nella maggior
parte dei casi non esistono condizioni tali da rendere attendibile una stima del
valore realizzabile tramite cessione.
Il valore residuo può essere riconosciuto solo qualora ricorrano entrambe le
seguenti condizioni:
1. L’esistenza di un impegno formale da parte di terzi ad acquistare l’attività al
termine della sua vita utile;
2. La presenza di un mercato attivo (revaluation model) per quella specifica
attività immateriale, circostanza peraltro estremamente rara e riscontrabile
quasi esclusivamente in casi particolari, ad esempio per alcune licenze
omogenee come le licenze taxi o le licenze di pesca.
L’effetto combinato di tali condizioni fa sì che, nella quasi totalità dei casi, il valore
residuo delle attività immateriali sia pari a zero, con la conseguenza che il valore
da ammortizzare coincide con il costo iniziale.
Con cadenza almeno annuale, l’impresa è tenuta a riesaminare le stime relative
alla vita utile e al valore residuo.
Se, nel corso di un esercizio, la stima del valore residuo risulta pari o superiore al
valore contabile dell’attività — cioè al costo al netto degli ammortamenti cumulati
— il processo di ammortamento deve essere sospeso.
L’ammortamento potrà riprendere soltanto quando il valore residuo tornerà a
essere inferiore al valore contabile.
Si tratta di una logica perfettamente coerente con quanto previsto per le
immobilizzazioni materiali, confermando l’unitarietà del principio di fondo
applicato allo schema di recupero del valore dell’investimento nel tempo.
Inoltre, lo IAS 38 prevede diversi criteri di ammortamento, la cui applicazione
deve riflettere in modo coerente le modalità attraverso le quali l’attività
immateriale è destinata a generare benefici economici per l’impresa.
Analogamente a quanto avviene per le immobilizzazioni materiali, il principio
distingue tre principali metodologie.
Il metodo a quote costanti rappresenta la soluzione più semplice e maggiormente
diffusa.
Esso prevede una ripartizione uniforme del valore da ammortizzare lungo l’intera
vita utile dell’attività, intesa generalmente in termini temporali.
Questo approccio è particolarmente appropriato quando i benefici economici
attesi si distribuiscono in maniera omogenea nel tempo.
Il metodo a quote decrescenti, invece, concentra una quota di ammortamento più
elevata nei primi anni di utilizzo, per poi ridurla progressivamente negli esercizi
successivi.
Tale impostazione risulta coerente nei casi in cui l’attività immateriale presenti una
maggiore capacità produttiva o un più elevato potenziale economico nelle fasi
iniziali della sua vita utile.
Ciò pu&og