Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
DECOMPOSIZIONE DEGLI IDROPEROSSIDI
Gli idroperossidi sono sostanze instabili e tendono quindi a decomporsi in molecole piccole. La
composizione deriva dal fatto che il legame perossido è un legame poco stabile, tutti i solventi che
contengono perossidi sono sostanze pericolose per la formazione dei radicali che possono dare
esplosività.
Ciò che accade è la rottura omolitica del legame perossido e questa reazione è catalizzata dalla
presenza di metalli. La reazione di decomposizione ha un cambio dello stato ossidativo e quindi se ci
sono dei metalli che sono in grado di cambiare lo stato ossidazione, la reazione è facilitata. Uno dei
metodo per rallentare l’ossidazione lipidica è quello di sfruttare dei chelanti come EDTA. È una
reazione spontanea e avviene per una intrinseca instabilità del legame perossido.
Nel giro di poco tempo gli idroperossidi si decompongono e si libera l’odore rancido. L’idroperossido
si rompe tra due atomi di ossigeno, si forma un OH radicalico che li allontana e continua la reazione di
ossidazione, e sull’acido grasso già modificato precedentemente rimane il radicale ossido che può
anche lui continuare la reazione di ossidazione.
Tipicamente queste molecole tendono a scindersi a livello del radicale, quindi a prendere un elettrone
del legame che si sta rompendo, si ottengono ancora una specie neutra e una specie radicalica.
Quest’ultima continua il processo di allungamento della catena ma il risultato è la formazione di
compositi a basso peso molecolare. Si ottengono aldeidi a corta catena e idrocarburi.
Da questo specifico perossido dell’acido linoleico si ottiene l’esanale e il pentano. Molecole che
chimicamente sono molto lontane dall’acido grasso che le ha generate; sia come dimensione che
come gruppo funzionale. Si formano anche acidi carbossilici a catena corta, tanto più corta quanto
più l’idroperossido era vicino al gruppo carbossile. Queste molecole soprattutto l’aldeide e gli
idrocarburi sono quelle che danno l’odore di rancido. Quando sin formano queste molecole ormai
l’olio o il grasso hanno già sviluppato un odore e delle caratteristiche organolettiche che non lo
rendono più idoneo al consumo. Non tanto perché le sostanze formatesi sono tossiche ma perché
l’odore è molto sgradevole. Questo odore deriva dalle molecole volatili che si formano e che arrivano
molto facilmente al sistema olfattivo. Arrivati a questo punto la reazione di degrado ormai è compiuta.
INIBIZIONE DELLA PEROSSIDAZIONE LIPIDICA
È legato all’aggiunta di additivi alimentari e all’utilizzo di imballaggi protettivi che ha lo scopo di isolare
l’alimento dalle condizioni esterne. È un isolamento necessario per impedire l’ingresso di
microrganismi e di conseguenza l’alterazione microbiologica dell’alimento e dall’altra parte è
fondamentale per inibire l’alterazione chimica e nello specifico l’ossidazione.
Per prima cosa si può confezionare l’alimento senza ossigeno, ad esempio si imbottiglia l’olio sotto
flusso d’azoto che sponga l’aria all’esterno della bottiglia. Togliendo l’ossigeno si ha rallentamento
della degradazione ossidativa, permette di aumentare la shelf life dell’alimento. Tuttavia, nel
momento in cui si consuma l’alimento, questo è soggetto a tutte le condizioni ambientali tra cui
anche l’ossigeno.
Un altro sistema protettivo è l’utilizzo di vetri scuri che impediscono il più possibile che il prodotto
venga a contatto con la luce. Es: l’olio di oliva viene conservato in bottiglie scure. Anche farmaci e
integratori sono conservati in bustine dotate di un film protettivo che limita l’assorbimento della luce.
C’è una terza possibilità: utilizzare un antiossidante come additivo alimentare è una sostanza
→
che aggiungono volontariamente all’alimento per rallentare i fenomeni ossidativi.
Quando si parla di ossidanti si parla di radical-scavenger, molecole che formano loro dei radicali liberi
al posto dell’alimento. Un antiossidante, grazie alla sua struttura molecolare, è in grado di ossidarsi
prima e al posto della frazione lipidica. Un’altra caratteristica è che formando dei radicali questi
devono essere stabili, perché in caso contrario il problema non si è risolto e il prodotto è protetto solo
per poco tempo. Per cui dai radical scavenger ci deve essere la formazione di radicali liberi stabili da
non continuare la reazione.
Fenolo: nucleo centrale di tutti gli antiossidanti, sia naturali che non. Tutte le molecole contenenti
fenolo sono in grado di stabilizzare i radicali. Presentano quindi un nucleo fenolico o polifenolico. Nei
polifenoli sono presenti più gruppi OH sullo stesso anello benzenico oppure si hanno diversi anelli
condensati.
Il fenolo preso singolarmente è una sostanza tossica, mentre il gruppo fenolico dentro a una molecola
più grande svolge un ruolo fondamentale. Quando il fenolo incontra un sistema radicalico forma un
radicale, stabile che può vivere in modo autonomo senza continuare la reazione a catena.
È stabile perché è un radicale coniugato e in questo caso con un anello benzenico. Abbiamo tre doppi
legami delocalizzati in tutto l’anello e questi prendono dentro nella localizzazione anche l’elettrone
che si trova sull’ossigeno. Il radicale sull’ossigeno compie tutto il giro dell’anello, per cui il radicale è
stabilizzato per risonanza, ha almeno 4 strutture di risonanza stabili. Inoltre poiché è delocalizzato su
tutto l’anello è come se non fosse più un radicale, l’elettrone radicalico è distribuito su tutto l’anello
aromatico. Questo fa si che non sia più così reattivo perché l’elettrone non è concentrato
sull’ossigeno e in più è stabilizzato dalle strutture di risonanza, quindi non ha più l’energia per reagire
e formare un altro radicale.
Il fenolo è l’unità più piccola comune alla maggior parte dei sistemi antiossidanti, quelli più usati in
assoluto negli alimenti sono BHA, BHT, butil-idrossianisolo e butil-idrossitoluene, derivati del
benzene. Il fenolo di per sé non è una sostanza apolare e quindi a volte è necessario mascherarla con
ulteriori gruppi polari.
Nelle piante le sostanze antiossidanti che vengono prodotte rappresentano sistemi di difesa,
antifungini o antimicrobici. Consumando una pianta, al suo interno, saranno presenti alcune di
queste sostanze fenoliche.
Gli unici antiossidanti utilizzati dal nostro corpo sono la vitamina C e la vitamina E.
MODIFICAZIONE DELLA FRAZIONE LIPIDICA DURANTE LA FRITTURA
Il processo di frittura è una tecnica di cottura pesante per quanto riguarda la modificazione della
composizione dell’alimento. La frittura permette di raggiungere la temperatura più alta nel tempo più
breve. L’alimento entra direttamente a contatto con il mezzo di cottura, l’olio o il grasso
precedentemente scaldato. La temperatura che raggiunge l’olio è tra i 180 e 200°C. Ci sono molti
fattori che rendono la frittura un sistema di cottura particolare, come l’immersione dell’alimento in un
mezzo non inerte. L’olio viene sottoposti all’ossigeno atmosferico e quando l’alimento viene immerso
nell’olio, la parte acquosa dell’alimento si riserva nell’olio. Di conseguenza si verificano fenomeni a
carico della frazione lipidica come l’ossidazione spinta.
Si ossidano anche i grassi saturi seppur lentamente, mentre gli insaturi spariscono immediatamente.
Si verificano reazioni di cross-linking e di polimerizzazione dei trigliceridi che rendono, a un certo
punto, l’olio più viscoso.
L’alimento fritto è considerato buono perché è un alimento ricco di grassi, la frazione lipidica è del
tutto ossidata e modificata che non viene neanche assorbita. Ecco perché questa tipologia di alimenti
tende ad essere poco digeribile, gli enzimi digestivi non riescono a metabolizzare questa frazione così
modificata, il nostro sistema digestivo fa molta fatica a trasformarlo in qualcosa di assimilabile. La
frittura è il sistema di cottura con il quale avvengono più modifiche in assoluto.
Il primo fenomeno che si osserva da un alimento che frigge è che dopo un certo tempo si sprigiona del
fumo, l’olio inizia a fumare perché si ha l’idrolisi dei trigliceridi. L’idrolisi avviene perché si sta
inserendo una fase acquosa nella fase lipidica, si ha liberazione di acidi grassi con un punto di
volatilità più basso rispetto al trigliceride. Nel sistema di frittura rimane il glicerolo, che si forma
dall’idrolisi dei trigliceridi. Il glicerolo a sua volta si può modificare ulteriormente e dare una doppia
reazione di disidratazione e formare l’aldeide acrilica o acroleina. Questa ha azione irritante e rimane
disciolta in parte nel sistema lipidico e in parte viene liberata con i fumi della frittura che sono irritanti
per le mucose.
Un metodo per limitare la formazione di composti irritanti e nocivi è quella di scegliere il mezzo
lipidico più idoneo alla frittura, ovvero bisogna scegliere il mezzo che maggiormente resiste alle
modificazioni durante la frittura. Gli oli più stabili in assoluto sono quelli saturi, si evita per un po’ le
reazioni che possono avvenire e la formazione di composti polari. Le friggitorie usano dei grassi molto
saturi perché possono essere utilizzati per molto tempo e tra questi ci sono gli oli tropicali: olio di
cocco, palma e semi di palma. Mentre a livello domestico si utilizza l’olio di semi. L’olio di girasole, di
mais e di soia sono in assoluto quelli peggiori per friggere, in particolare l’olio di soia. In questi oli circa
il 60-80% degli acidi grassi sono acidi grassi polinsaturi che quando vengono scaldati
immediatamente cominciano ad ossidarsi, ciclizzare e polimerizzare. L’olio di arachidi è migliore, la
sua stabilità relativa è più alta del 20% rispetto agli altri oli di semi. L’olio d’arachidi pur essendo un
olio vegetale ricco di acidi grassi insaturi è più ricco di monoinsaturi che non di polinsaturi. Nella
composizione globale si ha circa un 50% di acidi grassi monoinsaturi, contro l’80% degli altri, questa è
più o meno la stessa composizione degli oli d’oliva. Nell’olio di oliva si ha circa un 50-70, a volte
anche 80% di acidi grassi monoinsaturi. VITAMINE
Le vitamine sono una categoria piuttosto diversificata di sostanze, sono un insieme di sostanze
indispensabili per l’organismo e per il buon funzionamento delle reazioni biochim