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Idealmente, ogni medium contribuisce in maniera unica alla storia. [... ] Non c'è una
singola fonte o un testo originale da cui partire per ottenere tutte le informazioni
necessarie per comprendere l'universo di Matrix”.
siti, fumetti...), media che hanno stimolato la co-creazione del pubblico, soprattutto con
l’avvento delle piattaforme social.
Carlos Alberto Scolari (2013) lo definisce invece come “un tipo di storia in cui il racconto
si sviluppa attraverso molteplici media e piattaforme di comunicazione e in cui una parte
dei consumatori assume un ruolo attivo nel processo di espansione”. Tale definizione
racchiude i due elementi fondamentali del transmedia storytelling:
Lo sviluppo di una storia su più media, fatto che contiene in sé il processo di
→ convergenza mediale e tecnologica;
Partecipazione attiva da parte dei consumatori nell’espandere la narrazione.
→
La convergenza. Il transmedia implica l’idea fondamentale di dinamicità di contenuti,
prodotti e consumatori attraverso i media, sulla base delle possibilità offerte dalla
convergenza tecnologica (termine con cui si allude alla convergenza tra più linguaggi e
media in un solo sistema) e dalla convergenza culturale. Il concetto di convergenza
mediale è quindi così definito da Ithiel De Sola Pool (1983):
“Un processo chiamato la convergenza dei processi sta confondendo i confini tra i media
[…]. Un singolo strumento fisico può offrire servizi che in passato erano resi da mezzi
separati. Al contrario, un servizio che era dato da un unico mezzo oggi può provenire da
mezzi diversi.”
Esempio perfetto è il walkman. In ambito tecnologico, i media si sono infatti evoluti per
performare più funzioni e includere più linguaggi. La diffusione di Internet e il passaggio
da formati analogici a digitali hanno segnato il passaggio a media interattivi (quelli del
web 2.0, media in cui il pubblico può interagire), i quali hanno alla base del loro
funzionamento i database, sempre accessibili da diversi punti, che assecondano la
multimedialità. In questo contesto, Jenkins (2014) parla di cultura convergente:
“Per convergenza intendo il flusso dei contenuti in più piattaforme, la cooperazione tra più
settori dell'industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove
esperienze di intrattenimento. Convergenza è una parola che tenta di descrivere i
cambiamenti sociali, culturali, industriali e tecnologici portati da chi comunica e da ciò
che pensa di quello di cui parla.”
Convergenza culturale è quindi l’unione tra l’innovazione tecnologica dei media e il
cambiamento culturale corrispondente.
La cultura partecipativa. La convergenza culturale si riferisce anche al cambiamento
delle audience che passano dall’essere passive ad attive e partecipative. Jenkins (1992)
ha studiato a fondo i fan, capaci di generare discorsi e contenuti in relazione a prodotti
culturali, fatto che ha consentito ad O’Reilly (2004) di riconoscere l’importanza dei
contributi bottom-up, grassroots (dal basso) tipici del web partecipativo 2.0. In questo
contesto, l’utente riveste sia il ruolo di creatore sia di spettatore: è un prosumer
(Toffler, 1980), che agisce combinando le proprie competenze con quelle della
community. Si parla quindi di intelligenza collettiva. L'intelligenza collettiva, termine
coniato da Pierre Lévy nel 1994, allude a un pensare in maniera distribuita, coordinata
e corale.
“Nessuno di noi sa tutto; ognuno di noi sa qualcosa; possiamo mettere insieme i pezzi se
uniamo le nostre conoscenze e capacità. L’intelligenza collettiva può essere vista come una
fonte alternativa di potere mediatico.”
Esempio perfetto di intelligenza collettiva è, ovviamente, Wikipedia.
Conclusioni. I tre elementi evidenziati da Jenkins, ovvero l’intelligenza collettiva, la
convergenza culturale e la cultura partecipativa, sono dunque i presupposti
fondamentali per la nascita del transmedia nella sua configurazione attuale. Passando da
una strategia di marketing a uno strumento al servizio delle narrazioni, il transmedia è
quindi un approccio per creare narrazioni:
Adattate, nelle varie parti, a diversi device e linguaggi, sfruttando la convergenza
→ mediale;
Frammentate su più media;
→ Coerenti nella loro interezza;
→ Che si basano sulla cultura partecipativa e l’intelligenza collettiva.
→ I principi del transmedia
I 7 principi del transmedia storytelling di Jenkins. Henry Jenkins (2009) ha cercato di
definire le caratteristiche del transmedia storytelling attraverso sette principi chiave:
1. Spreadability VS Drillability
2. Continuity VS Multiplicity
3. Immersion VS Extractability
4. Worldbuilding
5. Seriality
6. Subjectivity
7. Performance
L’obiettivo era quello di fare chiarezza sulla definizione di transmedialità, la quale
presentava confini sfumati sia in relazione al concetto di crossmedia (termine con cui si
allude ad un unico contenuto adattato per media diversi), sia a quello di convergenza
mediale. Andiamo ad analizzare più approfonditamente ognuno di questi principi.
Spreadability VS Drillability. Il concetto di spreadability (diffondibilità) fa riferimento
alla capacità di un contenuto mediale di essere diffuso tramite le reti sociali,
comportando una sempre maggiore capacità di partecipazione da parte
dell’utente/prosumer. A differenza della viralità, non sfugge al controllo del creatore ma
risponde in maniera volontaria a un comando dell’interfaccia della piattaforma social.
3
La spreadability è il risultato dell’engagement stimolato dai produttori e alimentato
dagli utenti grazie alle reti sociali a cui appartengono. Con tale modello si riconosce
quindi il valore dell’attività svolta dagli utenti, che sfruttano le potenzialità distributive
dei canali comunicativi.
Ad essa si contrappone la drillability (perforabilità), cioè la capacità di un contenuto di
coinvolgere il pubblico. Tale principio non è in contrasto con il precedente: se la
spreadability agisce orizzontalmente sulla diffusione del contenuto, la drillability opera
invece verticalmente sull’approfondimento performato da certi utenti. Inoltre, è bene
ricordare che la drillability coinvolge i fan rendendoli partecipi con un engagement
maggiore rispetto alla spreadability.
Continuity VS Multiplicity. Il termine continuity viene utilizzato in relazione alla
coerenza e alla plausibilità di un contenuto che si inserisce all’interno dell’universo di
riferimento di una narrazione transmediale. Ogni storia crea un mondo, che è possibile
arricchire affinché venga fruito e compreso sempre più a fondo. L’universo narrativo è
quindi in continua espansione ma ogni elemento deve rispettare la continuity: è questa
la vera ricompensa per l’investimento di tempo ed energie nel collezionare e assemblare
i pezzi sparsi della narrazione per dargli significato.
La continuity si contrappone alla multiplicity, termine con cui si allude alla creazione di
contenuti che si discostano dai canoni della narrazione ufficiale. In questo contesto, si
collocano quindi le cosiddette storie “what if”: storie parallele e alternative che non
rispettano le regole dell’universo narrativo di riferimento e che ne rompono la
continuità. Per questo, non fanno propriamente parte di quell’universo.
Nella fiction, la multiplicity permette ai fan di sperimentare risoluzioni alternative e di
vedere i personaggi delle narrazioni sotto nuove prospettive ma anche in nuovi
contesti ed eventi. Un esempio perfetto è rappresentato da alcuni prodotti creati dai
fan di Supermario: essi hanno contribuito alla narrazione creando un nuovo personaggio
che si rifà alle leggi dell’universo narrativo di riferimento ma che non esiste nella
narrazione canonica; hanno quindi immaginato che, se uno strumento magico come il
fungo, associato ad un personaggio buono, può migliorare le sue qualità, quello stesso
oggetto, associato ad un personaggio cattivo, può invece peggiorare ulteriormente le
sue qualità e renderlo ancora più malvagio.
Questo concetto apre la strada alla considerazione delle forme di espressione
grassroot come parte della logica transmediale. Questi contenuti, per i franchise,
3 Con questo termine si allude alla capacità di attrarre a sé gli utenti da parte di un
contenuto; si allude alla dinamica per cui un consumatore passivo diventa consumatore
attivo, addirittura fan, in grado di produrre contenuti non professionali.
potrebbero però minare la coerenza dell’universo narrativo di riferimento, sebbene
vengano tendenzialmente ben accolti. Un esempio di accettazione di questi contenuti è
rappresentato da Doctor Who: con lo stop della serie, gli utenti hanno aumentato la
produzione di contenuti propri e i produttori hanno sentito l’esigenza di rendere alcune
di queste creazioni parzialmente canoniche. Quando, una ventina di anni dopo, si è
deciso di riprendere la produzione della serie, i produttori hanno dovuto tenere in
considerazione anche queste espansioni non professionali dell’universo narrativo.
Immersion VS Extractability. L’immersion è la pratica di immergersi nell’universo
narrativo, accedendo attraverso uno o più punti di ingresso. Al momento dell’immersion
si ha una sospensione dell’incredulità, ci si trova dentro l’universo anche da un punto di
vista sensoriale, vivendo in prima persona gli ambienti delle storie. Gli esempi classici di
immersion sono i parchi a tema, in cui si può toccare con mano il mondo di riferimento
(es. DisneyWorld), oppure gli eventi live che simulano le dinamiche delle storie e, più in
generale, i cosplay.
L’extractability è invece un principio più vicino all’idea di transmedia supersystem della
Kinder (1991), principio che deve essere inteso come una strategia di marketing. Esso
riguarda la possibilità di estrarre elementi dalla storia e usarli come risorse nei luoghi
della vita quotidiana, sia da parte degli utenti (ad esempio attraverso il cosplay) sia da
parte dei produttori (ad esempio con il merchandise). Si va così a mescolare la propria
realtà con la storia di finzione in modo tendenzialmente fisico.
Worldbuilding. Il worldbuilding è il processo di costruzione di un universo narrativo.
All’interno di questo universo possono svilupparsi contenuti coerenti, diffusi su media
differenti, che si distanziano dal prodotto principale, il quale rappresenta il nucleo
dell’universo, il prodotto centrale (tendenzialmente il primo ad essere stato