Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 10
Appunti di Laboratorio di design transmediale Pag. 1 Appunti di Laboratorio di design transmediale Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 10.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Appunti di Laboratorio di design transmediale Pag. 6
1 su 10
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Transmedia Storytelling

La prima volta che il termine transmedia venne utilizzato fu nel 1991 ad opera di Marsha Kinder, la quale lo usò per parlare di

transmedia supersystem, ovvero un sistema che, dietro alla semplice storia narrata, si adopera per divulgare contenuti ad

esso correlati su diversi media.

Il pensiero della Kinder vira però maggiormente sull’aspetto economico e industriale, ovvero sul marketing che viene

prodotto tramite l’espansione dei contenuti su diversi canali mediali, attivando così un vero e proprio franchise.

Esistono dunque tre definizioni principali per il concetto di transmedia storytelling. Vediamole nel dettaglio.

In primo luogo, abbiamo la definizione ad opera di Marsha Kinder che, nel 1991, afferma come un super sistema debba

utilizzare una rete che si muove tramite diverse modalità di produzione dell’immagine, favorendo così la collezionabilità

attraverso una proliferazione di prodotti correlati alla narrazione principale. L’accento principale viene posto sull’aspetto

economico e industriale, sull’espansione dei contenuti attraverso diversi canali mediali da parte di importanti franchise. Si

basa su reti intertestuali che si sviluppano a partire da personaggi della cultura pop, sia immaginari, sia reali con una

vocazione multipiattaforma che risponde a un’offerta immersiva, con lo spettatore che sperimenta la narrazione attraverso

l’interazione con oggetti testuali.

La definizione di Henry Jenkins invece, prendendo in esempio l’universo narrativo di Matrix, spiega come lo storytelling

transmediale sia un vero e proprio processo dove tutti gli elementi vengono dispersi sistematicamente su più canali di

distribuzione, e l’obiettivo è quello di creare un’esperienza d’intrattenimento unificata e coordinata fra tutti i prodotti.

Inoltre, Jenkins fa notare come ogni medium che si sceglie dovrebbe apportare un proprio contributo

significativo allo svolgimento della storia di quel prodotto in particolare.

Infine, la definizione di Carlos Alberto Scolari vede il transmedia storytelling come una tipologia di storia che si sviluppa

tramite molteplici media e piattaforme di comunicazione, e in cui i consumatori sono parte integrante del processo di

espansione dell’universo di riferimento. Tale pensiero di Scolari evidenzia la sempre più elevata importanza delle piattaforme

nella narrazione transmediale, e come queste rendano ancor più attivo l’utente grazie al sistema piattaformizzato che pone in

risalto i prodotti creati dal basso. Questa definizione racchiude i due elementi fondamentali del transmedia storytelling:

→ lo sviluppo di una storia su più media contiene in sé il processo di convergenza mediale e tecnologica;

→ partecipazione attiva da parte dei consumatori nell’espandere la narrazione

È possibile stilare un elenco delle caratteristiche chiave del racconto transmediale:

▪ viene distribuito su più piattaforme;

▪ deve essere fruibile dagli utenti in ogni momento, grazie ai media digitali (asincronia);

▪ deve essere posto all’interno di un universo di riferimento con delle proprie regole e unità di riferimento, così che

l’utente possa entrarci per partecipare alla narrazione;

▪ deve essere disseminato, lungo e frammentato sui diversi media e tramite i diversi linguaggi che vengono utilizzati.

La narrazione transmediale viene vista come un nuovo paradigma, adeguato a leggere il cambiamento che ha investito il

sistema dei media, i rapporti tra industria e cultura, tra produzione e consumo, il ruolo delle piattaforme e delle innovazioni

tecnologiche:

industria e cultura → lo storytelling transmediale ha unito i prodotti culturali alle dinamiche industriali per la loro

• stessa produzione;

produzione e consumo → la nuova libera partecipazione degli utenti ha permesso che la produzione di contenuti non

• sia più ferma ai soli professionisti, ma si evolve in continuo proprio grazie agli utenti finali che contribuiscono ad esse;

ruolo delle piattaforme → sono importanti per il transmedia storytelling poiché permettono di includere diversi

• linguaggi in una sola piattaforma (testo, foto e video tutto in uno);

innovazioni tecnologiche → hanno permesso alle narrazioni transmediali di includere dimensioni reali e digitali.

Il transmedia implica l’idea fondamentale di dinamicità di contenuti, prodotti, consumatori attraverso i media, sulla base delle

possibilità offerte dalla convergenza tecnologica e dalla convergenza culturale.

Ci sono tre presupposti fondamentali per la nascita del transmedia storytelling, ovvero la cultura convergente, il concetto di

prosumers e l’intelligenza collettiva. 2

In ambito tecnologico, i media si sono evoluti per performare più funzioni e includere più linguaggi. La diffusione delle reti

internet e il passaggio da formati analogici a digitali hanno segnato il passaggio verso media interattivi, i quali hanno alla base

del loro funzionamento i database, sempre accessibili da diversi punti, che assecondano la multimedialità. La Cultura

convergente (Henry Jenkins - 2014) è definita come il legame tra l’innovazione tecnologica dei media e il cambiamento

culturale corrispondente, ovvero il processo per cui ad un cambio tecnologico corrisponde un cambio delle dinamiche

produttive per tutti quei prodotti che includono un’interazione dell’utente, creando dunque un passaggio da audience

passiva a audience attiva.

La convergenza culturale si riferisce anche al cambiamento delle audience che passano da passive ad attive e partecipative.

Jenkins studia a fondo i fan, capaci di generare discorsi e contenuti in relazione a prodotti culturali. L’utente incarna sia le

caratteristiche di creatore sia di spettatore, ovvero è un prosumer, che agisce combinando le proprie competenze con quelle

della community. Con il termine prosumers identifichiamo l’evoluzione che i semplici fan hanno avuto nel corso degli ultimi

tempi grazie alla nascita del web partecipativo 2.0, il quale ha permesso una maggiore divulgazione di contributi bottom-up e

grassroots. Ci riferiamo a soggetti che sono al tempo stesso consumatori e produttori.

Si parla quindi di intelligenza collettiva.

L’intelligenza collettiva (Pierre Lévy - 1994) è un pensare in maniera distribuita, coordinata e corale, ovvero l’insieme delle

menti di più soggetti che collaborano per creare così una fonte alternativa di potere mediatico. Con il termine intelligenza

collettiva si indica la capacità degli individui di lavorare e ragionare insieme come una comunità, condividendo informazioni e

competenze, per raggiungere obiettivi comuni. In pratica, si tratta di una sorta di mente comune che, superando le singole

capacità individuali, permette a un gruppo di risolvere determinati problemi attraverso la collaborazione e di raggiungere così

risultati straordinari o innovativi. Vediamo come funziona e quando si applica.

È una sorta di unione delle intelligenze, che permette ai gruppi di essere più efficaci rispetto a quanto farebbe un individuo in

solitaria, e si basa sull'idea che la somma delle competenze individuali e delle conoscenze all'interno di un gruppo possa

generare risultati superiori rispetto alla somma dei singoli contributi degli individui.

Prendiamo per esempio il caso Wikipedia: qui, gli utenti collaborano mettendo a fattor comune le proprie conoscenze in uno

spazio che potremmo definire di intelligenza condivisa. Questa particolare enciclopedia, infatti, non potrebbe esistere senza

la collaborazione di coloro che la alimentano, coprendo quasi la totalità del sapere.

I tre elementi evidenziati da Jenkins sono dunque i presupposti fondamentali per la nascita del transmedia, nella sua

configurazione attuale. Passando da una strategia di marketing a uno strumento al servizio delle narrazioni, il transmedia è

quindi un approccio per creare narrazioni:

→ adattate, nelle varie parti, a diversi device e linguaggi, sfruttando la convergenza mediale;

→ frammentate su più media;

→ coerenti nella loro interezza;

→ che si basano sulla cultura partecipativa e l’intelligenza collettiva.

I 7 principi del transmedia storytelling

Secondo Henry Jenkins, al fine costruire una narrazione transmediale e totale, è necessario seguire sette principi che sono

spalmabilità e penetrabilità, continuità e la molteplicità, immersione ed estraibilità, costruzione di mondi, serialità,

soggettività e performance.

Gli ultimi quattro principi del transmedia ideati da Jenkins descrivono perlopiù i modi in cui costruire una narrazione

disseminata su più media e frammentata nel racconto.

→ Spalmabilità e penetrabilità

Spalmabilità e penetrabilità sono due dei concetti principali che permettono di creare una narrazione transmediale. Il primo si

riferisce alla capacità dei contenuti di diffondersi attraverso tutte le reti sociali che abbiamo a disposizione, il secondo, invece,

alla sua diffusione capillare. Non si tratta di viralità, almeno non come la intendiamo noi nell’era dei social network, quanto

più di capacità di invitare il pubblico di riferimento a condividere quei determinati contenuti e a farlo interagendo con loro in

maniera diretta, scavando a fondo nelle storie, portando alla luce nuovi e inediti elementi e diventando parte integrante della

costruzione narrativa.

→ Continuità e molteplicità 3

Continuità e molteplicità, invece, sono due principi che necessitano di esistere per la costruzione di un unico universo

narrativo. La continuità serve proprio a enfatizzare la coerenza tra le diverse narrazioni che ruotano intorno alla storia

principale e gioca un ruolo chiave anche nella soddisfazione finale dell’utente che è chiamato a raccogliere i frammenti diffusi

fino a quel momento, in modi e tempi diversi, per integrare con essi e completare la sua esperienza. Il principio di

molteplicità, invece, permette di creare e quindi di accedere a tutta una serie di racconti alternativi che consentono di

indagare personaggi, episodi ed eventi sotto altri punti di vista.

→ Immersione ed estraibilità

Il principio di immersione si riferisce direttamente all’esperienza dell’utente che usufruisce di quei determinati contenuti. Con

la narrazione transmediale, le persone non sono solo chiamate a guardare o ad ascoltare le storie, ma a immergersi

completamente in queste. Per farlo, si usa l’estraibilità, ovvero la capacità di trasportare gli universi narrativi nella realtà. Ne

sono un esempio i parchi divertimento, gli eventi e gli hotel tematici.

→ Costruzione di mondi

Il principio di costruzione di mondi (world building) è l’essenza stessa del transmedia storytelling, e fa riferimento alla

capacità di costruire un

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
10 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/17 Disegno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher arriprz di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Laboratorio di design transmediale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Quercia Grazia.