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La natura dell'attività giudiziale
Benjamin N. Cardozo
1. Introduzione - Il metodo logico-sistematico: quotidianamente si risolvono centinaia di casi dove è prevalente l'attività decisionale dei giudici. Quindi potremmo affermare che ogni giudice saprebbe facilmente descrivere un procedimento già eseguito. Ma, egli nel compiere la sua funzione, si pone diverse questioni problematiche circa il suo operato, nonché a quali fonti d'informazione faccio appello per trarne guida? Che cos'è che faccio quando decido un caso? Se vi è un precedente applicabile, quando è che mi ritiene di eseguirlo? E tante altre questioni che rappresentano proprio quel che è il bollore dell'attività all'interno dei tribunali. Per Cardozo non interessa su quali principi si sia orientata la decisione del giudice, perché accade che può anche essere stato lo stesso principio tutte le volte per
ognigiudice in quanto tale decisione è sempre orientata a una scelta e non a una sorta disottomissione al fato. Il fatto che i giudici mantengono coerenti con se stessi ed incoerenticon gli altri si deriva proprio attraverso le forza subconsce in quanto, come sostenne WilliamJames, in ognuno di noi vi è una intima concezione filosofica della vita che ci aiuta a darcoerenza e indirizzo al pensiero e all’azione. Per cercare di comprendere la sfera razionaleche guida il processo di pensiero che poi nell’attività del giudice si traduce in una decisione,dobbiamo partire col dare risposta ad un primo quesito, e cioè: dove trova il giudice laregola giuridica che egli incorpora nella sua sentenza? Ci sono casi in cui la fonte èmanifestamente espressa, nonché una regola che corrisponde al caso può derivare, e quindiessere fornita dalla Costituzione, o da una legge. In questo caso il giudice non deve far altroche obbedire in quanto laCostituzione prevale sulla legge, ma la legge, se coerente con la Costituzione, prevale sullo stesso diritto dei giudici. Si capisce in questo caso come il diritto dei giudici è secondario, subordinato al diritto prodotto dal legislatore. Vi potranno essere lacune da colmare, dubbi e ambiguità da chiarire, ma si parla in questi casi di interpretazione come se non fosse altro che la ricerca e la scoperta di un'intenzione già preesiste nella mente del legislatore. Il fatto diventa difficile, e quindi di rilevante importanza, quando suddetta interpretazione sorge quando il legislatore non ha avuto proprio alcun intenzione di legittimare quella situazione in quanto la questione sollevata non si è mai presentata a lui. In questo caso, il giudice non deve determinare quel che il legislatore voleva dire, ma bensì congetturare quel che avrebbe inteso dire su un punto non presente nella sua mente qualora fosse stato presente. Questa attività del giudice disupplire alle omissioni, di correggere e armonizzare i risultati della sua attività di interpretazione con la giustizia mediante un metodo di libera decisione, è chiamata produzione del diritto. Tale attività del giudice potrebbe porre delle difficoltà. Quando la Costituzione e la legge sono mute, allora è qui che deve intervenire il giudice. Per prima cosa egli analizzerà il caso sottoposto a lui con i precedenti accumulati nella sua mente o nei libri. Ciò non significa che tali precedenti siano le fonti ultime del diritto, bensì è da esse che vengono fuori i postulati del ragionamento giudiziale, ma soprattutto le abitudini di vita. In alcuni sistemi tali precedenti sono il punto di partenza del lavoro del giudice. Un lavoro quindi pressoché di ricerca. Ma se in ciò consistesse la loro professione, risulterebbe di scarso interesse intellettuale, in quanto il giudice con il più ricco schedario di casi.risulterebbe il giudice più saggio. Questa meraricerca viene superata e quindi inizia il lavoro serio del giudice, quando egli non riscontra, tragli schedari dei casi precedenti, alcuna corrispondenza con il caso concreto. In questo caso ilgiudice dovrà adottare il diritto nei confronti di coloro che gli stanno davanti e, nel farlo perloro, lo farà anche per altri. Prima che il giudice emani la sentenza, essa era ancora dubbia:non vi era certa la forma e il contento. Una volta pronunciata però essa diventa elementoportante, fonte da cui possiamo scaturire nuovi principi o norme che a loro volta daranno vitaad altre sentenze. Il risultato poi che ne deriva dalle decisioni giudiziale non sempre sonoconsiderati come verità definitiva , ma bensì come ipotesi. Questo perché ogni caso è unesperimento in quanto la regola consolidata in esso, se conduce a un risultato ingiusto, verràsottoposta a un esame e se essacontinuerà a produrre effetti di ingiustizia, essa riceverà nuova formulazione e se, ancora, le regole di un principio non funzionano bene ciò significa che deve essere riesaminato il principio stesso. Il principale problema dei giudici è in realtà duplice in quando loro devono in primo luogo ricavare dai precedenti quel che è il principio ispiratore, la ratio decidendi, e poi determinare la via lungo la quale il principio deve muoversi. Se ammettiamo che i precedenti siano conosciuti così come realmente sono, a questo punto metà del lavoro è stato svolto. Rimane il problema di stabilire i limiti, nonché determinare la via entro la quale deve muoversi suddetto principio. Tale guida è definita da Cardozo come logico-sistematico nonché quale metodo dello sviluppo storico. Nel porlo al primo posto non significa che esso sia il più importante, anzi fattualmente si sacrifica agli altri. Perciò si puòaffermare che il diritto non sempre è logico, ma tale coerenza logica non cessa di essere bene solo perché non è il bene supremo. Tale coerenza logica pone il fatto di non dover decidere in un modo oggi e nel modo contrario domani. Lo strumento logico-sistematico deve rimanere lo strumento basilare dei tribunali, se si vuole evitare che il caso e il favoritismo determinino le decisioni. Non sempre tale metodo garantisce una via unica. Questo perché un principio che è analizzato con tale metodo può orientarsi verso una soluzione; un principio seguito con pari logica può indirizzarsi con la stessa sicurezza verso però un'altra strada oppure ci si potrà scegliere su una terza strada che risulterà la risultato delle due vie. A tal proposito verrà scelto il principio che più conduce alla giustizia, cioè quello che esprime maggiormente gli interessi sociali; 2. i metodi della storia, della tradizione edella sociologia: a volte il metodo logico si contrasta con quello della storia, ma a volte è la stessa storia che rende chiaro il cammino della logica. Un primo punto da definirsi e che alcuni concetti del diritto devono la loro forma quasi esclusivamente alla storia. Oggi possiamo affermare che la funzione storica è quella di spiegare, e quindi alleggerire, la pressione che il passato esercita sul presente ed esso sul futuro. Se la storia, insieme al sistema concettuale, non serve per delineare la via che il principio deve seguire, allora faremo riferimento all'uso (nonché tradizione) che, ai giorni nostri, è considerato non tanto per creare nuove regole ma per desumere elementi di prova e criteri mediante i quali si determinerebbe il modo entro il quale le regole stabilite verranno applicate. Si arriva infine al metodo della sociologia. Esso è molto importante se ricordiamo che lo scopo ultimo del diritto è il benessere sociale. Tale metodo.concorre quando ai giudici è chiesto di stabilire fino a che punto le regole esistenti debbano essere estese o ristrette, e nel stabilire ciò i giudici devono lasciare che il benessere della società determini la via; 3. il metodo della sociologia, il giudice come legislatore: lo scopo del diritto trova il suo strumento nella sociologia, questo perché ciò che preme non sarà l'origine, bensì la meta in quando non può esservi saggezza nella scelta di un cammino se non sappiamo dove condurrà. Quindi la logica, storia, consuetudini, sono le forze che, insieme o singolarmente, dovranno dar vita al diritto e il modo in cui ciascuno di queste forze prevarrà in un caso sarà dipesa dall'importanza o dal valore relativo degli interessi sociali e uno tra gli interessi sociali è quello che il diritto sia uniforme e imparziale, cioè non contenga pregiudizi. E qui si arriva all'accostamento del giudice.Al legislatore, in quanto il giudice per sapere quando un interesse abbia maggior peso su di un altro, dovrà acquistare la sua conoscenza proprio come l'acquista il legislatore, attraverso lo studio della vita stessa. Mentre però il legislatore non è impedito da alcuna limitazione nell'apprezzamento di una data situazione generale, il giudice dovrebbe svincolarsi da ogni influenza personale e basare la sua decisione su elementi di natura obiettiva. Per questo tale funzione è definibile come libera ricerca scientifica, libera poiché sottratta all'azione dell'autorità positiva, scientifica in quanto essa può trovare salde fondamenta negli elementi obiettivi che solo la scienza può rivelarle.
7A PROPOSITO DEL REALISMO. IN RISPOSTA A POUND
Karl N. Llewellyn
In questo saggio Llewellyn e Frank pongono il problema di quel fermento diffuso proprio di quell'epoca, iniziando a dire che prima delle regole c'erano i fatti.
Si evidenzia quindi la possibilità, per il diritto, di avere a che fare con cosedeterminate. E quindi nel creare un rapporto fra il diritto e le parole non si fa altro che porre le idee, le regole leformule a confronto con i fatti. I soggetti di tale fermento, che pone delle tematiche circa sul cosa dovrebbe fare ildiritto alla gente e cosa invece fa il diritto alla gente, vengono definiti da Pound come i più giovani insegnanti deldiritto che insegnano una giurisprudenza realistica. Per quei soggetti il realismo è: fedeltà alla natura, registrazionedelle cose cosi come sono anziché delle cose come ci immaginiamo che siano. Questi soggetti sono stati posti in unastessa categoria non perché si rendono simili per credenziali ma in quando, a partire da certi punti di partenza, essi sisono avvicinati su una determinata linea di ricerca. I punti erano essenzialmente 9, che ora mi presto ad elencare:- la concezione di un diritto come mezzo in
1. vedere il diritto come un movimento e la creazione giudiziale del diritto;
2. vedere il diritto come mezzo per raggiungere fini sociali e non già come fine in sé;
3. porre la società in un divenire che è ad un passo più avanti del diritto,