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Estratto del documento

La tendenza che tese ad affermarsi mirava a far sì che le controversie si definissero

completamente in patria, evitando i ricorsi alla Sacra Rota Romana e quindi di

ripristinare una rete di ingerenze pilotate dalla Santa Sede. Inoltre molte quote delle

imposte e contributi versati dalla Chiesa spagnola furono raccolti e fatti confluire nelle

casse dello Stato, rimpinguandone notevolmente le finanze. Far rientrare le istituzioni

ecclesiastiche nell’orbita della monarchia equivaleva a potenziare le loro specifiche

attività in direzione centripeta. Ma, accanto al problema della riorganizzazione delle

strutture ecclesiastiche, si imponeva la necessità di una campagna di restaurazione

della religione cristiana. La coesistenza di diversi gruppi appartenenti a fedi diverse

implicava tensioni e disordini, per cui la Corona si prodigò per una riforma della Chiesa

spagnola che le infondesse nuova energia e vigore. Fu così che Ferdinando e Isabella si

prodigarono, con un esplicito riconoscimento ottenuto dalla Santa Sede, per disporre

l’introduzione di un potente tribunale, che agisse al di sopra di ogni altra istituzione,

perseguendo obiettivi religiosi e insieme politici, l’Inquisizione. Come si intuisce, in

Spagna, già nel XV secolo le esigenze di accentramento e di stabilità politica trovarono

una risposta efficace e coerente nella politica dei sovrani che agirono per realizzare

l’unità sul profilo religioso, civile e giuridico.

L’assolutismo in Francia

Ancor più precocemente iniziò il processo di unificazione nazionale in Francia. Esso,

infatti, ebbe inizio nel secolo XIII, mediante una progressiva estensione della

giurisdizione regia. Il successivo e vigoroso contributo politico di Filippo IV il Bello influì

efficacemente sulla formazione dello Stato e della sovranità regia già alla fine del

Duecento. Egli mirò a realizzare l’indipendenza del suo regno contemporaneamente

dall’Impero e dalla Chiesa di Roma. Negli stessi anni il teologo domenicano Jean de

Paris poneva le basi teoriche di quella svolta. Legato alla scuola tomistica, egli

ricavava dalla Politica di Aristotele l’idea della naturalità del diritto e della sua

relatività. L’idea che il diritto fosse un elemento naturale, collegato all’inserimento

dell’individuo in una comunità sociale, non ne escludeva il dinamismo e la sua

variabilità. La matrice volontaristica dell’ordinamento giuridico era un altro elemento

imprescindibile. Nel suo trattato De potestate regia et papali, il teologo enunciava

l’esistenza di una pluralità di regni, quindi di monarchi e, conseguentemente, di diritti.

In sostanza la sfera temporale gli appariva chiaramente come una realtà molteplice e

pluriforme, tutta terrena e a volte anche brutale, molto diversa da quella spirituale. Il

fratricidio commesso da Romolo, da cui aveva preso origine la fondazione di Roma, era

indicato come esempio chiarissimo a dimostrazione del principio che e facto oritur ius,

ossia che il diritto e l’ordinamento hanno un fondamento sempre realistico,

scaturiscono da elementi ed esigenze fattuali e non meramente ideali. Contro la

varietà del mondo laico, Jean de Paris indicava le caratteristiche della sfera spirituale:

unico era il regno celeste e lo stesso valeva per la sua diretta proiezione sulla terra: la

Chiesa. Riconosceva espressamente che il dominio dello spirito e delle anime dei

cristiani richiedeva uniformità. Solo in spiritualibus poteva e doveva esserci un solo

monarca, il pontefice. A tal punto la linea di demarcazione tra la politica e la fede

appariva netta. In sostanza il pontefice si riconosceva come dominus assoluto nel solo

governo delle anime, ma non anche in quello dei beni temporali. Inoltre, sin dal

Duecento, in Francia aveva preso corpo una linea antimperialistica che si era tradotta

in un’irriducibile avversione contro il germanesimo, ossia contro quell’impero che si

era costituito su presupposti francesi e che poi era diventato romano-germanico,

sottraendo definitivamente la corona e lo scettro imperiale alla monarchia di Francia.

La formula per cui rex superiorem non recognoscens, in suo regno est imperator,

elaborata in ambienti vicini al pensiero giuridico della Scuola bolognese, fu

rapidamente accolta in Francia per legittimare de iure la sovranità del re e la sua

autonomia dall’impero. Dimostrare che al sovrano competevano le stesse prerogative

e gli stessi poteri esercitati dall’imperatore, equivaleva a sancire la parità delle due

figure e quindi la possibilità che ciascuno governasse nel proprio ambito territoriale in

via esclusiva. Per riflesso di questa peculiare condizione politica, sul piano

strettamente giuridico Filippo il Bello, con un’ordinanza del 1312, sancì il primato del

diritto consuetudinario francese. La Francia prendeva, così, le distanze dal diritto

giustinianeo, in quanto diritto dell’impero, che difatti, avrebbe potuto d’ora innanzi

trovare applicazione, solo se recepito dalle consuetudini e, in ultimo, se supportato da

un apposito permesso regio. Si profilava una peculiare tendenza alla nazionalizzazione

del diritto francese che trovò una sua prima realizzazione nell’ordonnance di Montils

les Tours che, emanata da Carlo VII, dispose nel 1454 la redazione scritta delle

consuetudini locali, ossia la loro certificazione ufficiale, chiaro segno della volontà della

Francia di rivendicare una propria autonomia giuridica, del tutto scevra dal

condizionamento operato dal diritto romano.

La funzione del Parlamento di Parigi

Determinante nel processo di unificazione nazionale e di accentramento statale che

interessò il paese transalpino, fu la funzione svolta dal Parlamento di Parigi. Fu grazie

ad esso, infatti, che, a partire dalla seconda metà del Duecento e nei decenni

seguenti, la giurisdizione ecclesiastica e feudale fu limitata, e la monarchia riuscì ad

assumere il pieno controllo del territorio. Naturalmente, se nella prima fase, la

funzione svolta dai Parlamento di Parigi, consentì al Sovrano l’assunzione del proprio

potere assoluto, via via l’accresciuto potere nelle mani dei giudici parlamentari fece

crescere esponenzialmente le loro pretese. I giudici cominciarono così ad ambire un

ruolo essenzialmente politico. E grazie al potere di registrazione degli editti e delle

ordinanze regie, il Parlamento di Parigi riuscì a realizzare i propri obiettivi. Se è vero,

infatti che il potere legislativo detenuto dal Sovrano rendeva quest’ultimo unico

detentore del potere di fare le leggi, il fatto che questo potere non potesse contrastare

con gli interessi della nazione faceva sì che i ministri togati, unici soggetti in grado di

conoscere ed applicare il diritto, godessero del potere di registrazione degli editti e

delle ordinanze sovrane. Senza registrazione, nessun provvedimento sovrano trovava

cittadinanza nell’ordinamento giuridico francese. Il diritto di registrazione di cui

godevano i ministri togati era istituto che, di fatto, subordinava la volontà regia al

controllo dei ministri togati. Quel diritto, chiamato ‘diritto d’interinazione’, non si

esauriva in un controllo meramente formale, ma in una potente arma politica. Qualora,

infatti, i supremi magistrati avessero avuto delle rimostranze o delle osservazioni

critiche da opporre, era in loro potere di farle e se il Sovrano, sollecitato dal

Parlamento, avesse dimostrato ostilità ad accogliere i suggerimenti, il Parlamento –

lungi dall’attenersi passivamente a tale voluntas principis - avrebbe potuto reagire

rimettendo il provvedimento nuovamente allo studio del Sovrano. E di fronte all’ostilità

di questi, era in potere del Parlamento procedere ad una registrazione con clausole

restrittive che di fatto avrebbero esaurito e limitato fortemente la portata e l’efficacia

delle leggi. Anzi, per evitare che il Parlamento eccedesse nell’utilizzo dei suoi poteri, il

Sovrano era garantito da un ulteriore strumento: il cosiddetto lit de justice. Di fronte

ad un atteggiamento troppo autarchico dei magistrati, il Sovrano poteva convocare il

Parlamento, ed, in quella sede, dichiarare che la propria volontà era assolutamente

superiore a quella dei suoi ministri. In quel caso, i poteri di giustizia erano

formalmente riassunti nelle mani del Re, sicché il Parlamento, spogliato dei poteri

delegatigli dal Re, perdeva integralmente le sue funzioni e non poteva che procedere

alla registrazione. Tuttavia, è d’obbligo apportare un chiarimento: è ovvio che, essendo

il Parlamento l’organo giurisdizionale supremo, chiamato ad applicare le disposizioni

regie, qualora il provvedimento registrato fosse stato sostanzialmente sgradito ai suoi

membri, questi certamente non ne avrebbero fatto applicazione, esautorando sul

piano concreto e dei fatti il potere del Re. L’esempio del Parlamento di Parigi si

presenta così utile per almeno due motivi. In primo luogo aiuta a comprendere di

quale forza innovatrice furono dotati i Grandi Tribunali nell’Antico Regime. In secondo

luogo, ci offre una straordinaria testimonianza di quel rapporto dialettico tra potere

sovrano, per così dire legislativo, e potere giudiziario, che, nel corso della storia

dell’esperienza giuridica ha assunto in diversi momenti i caratteri di un vero e proprio

braccio di ferro.

LEZIONE 15 La République

Centrale per comprendere la genesi e lo sviluppo dello Stato moderno in Europa è la

figura di Jean Bodin, filosofo francese, giurista, autore dei Sei libri dello Stato,

pubblicati nel 1576, in cui è compiutamente teorizzata la moderna idea di Stato.

Secondo Piano Mortari, qualsiasi lettore della République non può non ricevere

«un’impressione profonda dall’ampiezza di erudizione e di cultura di Bodin, dalla sua

esperienza del patrimonio culturale dell’antichità, del medioevo, dell’epoca in cui egli

viveva». Una grande mole di citazioni ed esempi riempie le pagine dell’opera ed

accompagna il lettore nella comprensione dell’idea di Stato: un’idea moderna ma con

radici saldamente infisse nel terreno della storia. L’analisi filologica condotta dagli

storici, infatti, dimostra quanto ampia e complessa sia stata l’influenza del pensiero

giuridico medioevale sull’elaborazione dell’opera bodiniana. Alle origini del nuovo

concetto di sovranità vi sono le idee di derivazione medievali, ed in particolare, il

concetto di imperium e quello di iurisdictio. Rilevante è l’influenza dei giuristi

medievali: tra di essi, Bartolo di Sassoferrato, ripreso soprattutto per il suo Tractatus

de Tyrannia, Baldo degli Ubaldi, e Cino da Pistoia. Accanto ai riferimenti agli uomini di

legge, spiccano quelli ai grandi pensatori e storici de

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Publisher
A.A. 2023-2024
228 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giada.25. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto medievale e moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Universita telematica "Pegaso" di Napoli o del prof Pisa Paolo.