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C
Per trovare le incognite x e r devo usare la condizione di tangenza. Sicuramente
C
il punto di tangenza deve trovarsi sulla sfera, pertanto:
2 2 2 2 2 2
− − −
(1 x ) + 1 + 1 = r =⇒ (1 x ) = r 2 (6.11)
C C
inoltre la condizione di tangenza si traduce nell’imporre che la distanza tra il centro
C = (x , 0, 0) e il piano sia uguale al raggio
C |x −
|ax 3|
+ by + cz + d| C
C C C
√ √ = r (6.12)
=
d(C, α) = 2 2 2
a + b + c 3 √
Mettendo a sistema le equazioni (6.11) e (6.12) si ottiene che x = 0 e r = 3,
C
pertanto la sfera ha equazione 2 2 2
x + y + z = 3 (6.13)
2. Mettiamo a sistema ( 2 2 2
x + y + z = 3 (6.14)
−
2z 3 = 0
3 e sostituiamo
Dalla seconda ricaviamo z = 2 ( 3
2 2
x + y = 4 (6.15)
32
z =
3 34
2 2
Quindi la circonferenza sul piano z = è x + y = : la circonferenza ha centro
2
√ 3
(0, 0) e raggio .
2 57
3. Per punto diametralmente opposto si intende il punto simmetrico a P = (1, 1, 1)
rispetto al centro C = (0, 0, 0). Applicando la formula del punto medio si ha:
x + x
Q P −1
x = =⇒ x = (6.16)
C Q
2 −1, −1).
analogo per y e z , quindi il punto è Q = (−1, Per trovare il piano
Q Q
tangente alla sfera in un punto dobbiamo trovare il vettore direttore di questo piano:
questo è il vettore appartenente alla retta che unisce il centro con il punto Q di
tangenza. − − − −1, −1)
⃗n = (x x , y y , z z ) = (−1, (6.17)
Q C Q C Q C
Quelli appena trovati sono i nostri a, b, c dell’equazione del piano
ax + by + cz + d = 0 (6.18)
Sostituendo: −x − −
y z + d = 0 (6.19)
Per trovare d uso il fatto che anche il piano deve passare per Q, quindi:
−(−1) − − −3
(−1) (−1) + d = 0 =⇒ d = (6.20)
Cambiando tutti i segni per comodità, il piano cercato ha equazione
x + y + z +3=0 (6.21)
58
Capitolo 7
Spazi vettoriali
7.1 Spazi e sottospazi vettoriali
Definiamo GRUPPO un insieme G con un’operazione interna che gode delle seguenti pro-
prietà: associatività, esistenza dell’elemento neutro ed esistenza dell’opposto. Se questa
operazione interna è commutativa, allora diremo che il gruppo è ABELIANO. Definiamo
SPAZIO VETTORIALE su un campo K (nella maggior parte dei casi parliamo dei nu-
meri reali o numeri complessi) un gruppo abeliano con un’operazione esterna (chiamiamo
·
”+” l’operazione interna e ” ” quella esterna) che verifica le seguenti proprietà:
· · ·
1. α (v + w) = α v + α w
· · ·
2. (α + β) v = α v + β v
· · · ·
3. (α β) v = α (β v)
·
4. 1 v = v
Dove v e w sono elementi dello spazio vettoriale (chiamati vettori) mentre α e β sono
elementi del campo (chiamati scalari). Se V è uno spazio vettoriale e W è un sottoinsieme
di V , diremo che W è un SOTTOSPAZIO VETTORIALE se W è uno spazio vettoriale
con le stesse operazioni di V .
2 {(x,
ESEMPIO: Sia V = R e W = y) : y = x + 1}. W è un sottospazio vettoriale?
Dobbiamo vedere se W eredita da V la somma e il prodotto per scalare. Prendiamo due
vettori di W: v = (0, 1), w = (1, 2)
Osserviamo che v + w = (1, 3) non è un elemento di W , quindi non è un sottospazio
vettoriale. ∀α,
Un criterio da seguire è il seguente: diremo che W è sottospazio vettoriale di V se, β
∀v, ∈ ∈
scalari e w W , allora αv + βw W . Lo zero di uno spazio vettoriale DEVE
necessariamente stare in qualunque sottospazio! Prendiamo ora uno spazio vettoriale V
{v }
e sia , v , ..., v un insieme di suoi vettori: allora
1 2 n ⟨v ⟩ {α }
, ..., v = v + α v + ... + α v (7.1)
1 n 1 1 2 2 n n
59
è il più piccolo sottospazio contenente tali vettori. In questo caso si dice che il sottospazio
{v },
è GENERATO da , v , ..., v che a loro volta saranno chiamati GENERATORI,
1 2 n
mentre α v + α v + ... + α v prende il nome di combinazione lineare dei vettori.
1 1 2 2 n n
3
ESEMPIO: Sia V = R e siano v = (1, 0, 1) e v = (0, 0, 2). Qual è il più piccolo
1 2
sottospazio generato da v e v ?
1 2
⟨v ⟩ {av ∈ {a(1, ∈ {(a, ∈
, v = +bv : a, b K} = 0, 1)+b(0, 0, 2) : a, b K} = 0, a+2b) : a, b K}
1 2 1 2 3
{(x, −
ESEMPIO: Sia W = y, z) : x + 2y z = 0} un sottospazio vettoriale di R . Trovare
un sistema di generatori per W
Riscriviamo la condizione dello spazio come z = x + 2y, quindi diventa:
{(x, ∈ {x(1, ∈
W = y, x + 2y) : x, y R} = 0, 1) + y(0, 1, 2) : x, y R}
quindi un sistema di generatori è composto da v = (1, 0, 1) e v = (0, 1, 2).
1 2
{v }
Per definizione, diremo che , v , ..., v è un SISTEMA DI GENERATORI per V se
1 2 n
⟨v ⟩,
V = , v , ..., v cioè se ogni vettore v di V esistono coefficienti a tali che v = a v +...+
1 2 n 1 1
{v } {v }
a v . Diremo che , v , ..., v è una BASE di uno spazio vettoriale V se , v , ..., v
n n 1 2 n 1 2 n
è un sistema di generatori per V e sono tutti vettori linearmente indipendenti. Alcune
basi sono più usate di altre e prendono il nome di BASI CANONICHE: per esempio
3 {(1,
se lo spazio vettoriale è R , la base canonica è 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1)}. Ogni spazio
ammette infinite basi, ma tutte queste basi devono avere lo stesso numero di elementi
(TEOREMA DI EQUIPOTENZA DELLE BASI): il numero di vettori all’interno
della base si chiama DIMENSIONE.
7.2 Somma e intersezione di sottospazi
Siano W e Z due sottospazi vettoriali, allora l’intersezione tra W e Z è un sottospazio
mentre la loro unione generalmente non lo è. Definiamo SOMMA di sottospazi:
{w ∈ ∈
W + Z = + z : w W, z Z} (7.2)
La somma di due sottospazi è il più piccolo sottospazio contenente i due di partenza.
Data una base di W e una base di Z, l’unione delle due basi è un sistema di generatori
per W+Z. {(x, {(y − −x − ∈
ESEMPIO: Siano W = y, z) : x + 2y = 0} e Z = z, + z, x y) : x, y, z R}
3
due sottospazi vettoriali di R . Calcolare somma e intersezione
Riscriviamo W come:
{(−2y, ∈ ⟨(−2,
W = y, z) : y, z R} = 1, 0), (0, 0, 1)⟩
Poichè i vettori sono lin. indip. questa è una base di W. Calcoliamo ora una base di Z:
⟨(0, −1, −1),
Z = 1), (1, 0, (−1, 1, 0)⟩
60
Questa non è una base perchè solo due vettori sono lin. indip, quindi ne scartiamo uno
{(0, −1,
e la base rimane 1), (−1, 1, 0)}. Cerchiamo i vettori che stanno nell’intersezione.
Un vettore generico di Z è della forma:
−1, −λ
λ(0, 1) + µ(−1, 1, 0) = (−µ, + µ, λ)
dove µ e λ sono parametri reali. Questo vettore generico appartiene anche a W se soddisfa
la condizione −µ −
x + 2y = 0 =⇒ 2λ + 2µ = 0 =⇒ µ = 2λ
Quindi lo spazio intersezione è dato da:
∩ {(−2λ, ∈
W Z = λ, λ) : λ R} (7.3)
pertanto una base dell’intersezione è data da un singolo vettore: (−2, 1, 1). Per la somma
uniamo le basi di W e Z estraendo i vettori lin indip:
⟨(−2, −1, −1)⟩
W + Z = 1, 0), (0, 0, 1), (0, 1), (1, 0,
Il rango della matrice formata dai vettori è 3, quindi la base è data da 3 vettori lin indip,
3
ovvero W + Z = R
Posso calcolare l’intersezione tra due sottospazi quando conosco le due basi, le due equa-
zioni oppure un’equazione e una base. Quando l’unione delle basi di due sottospazi è una
base della somma, si dice che la somma è DIRETTA. Le dimensioni di tutti questi spazi
sono legate dalla FORMULA DI GRASSMANN − ∩
dim(W + Z) = dim(W ) + dim(Z) dim(W Z) (7.4)
∩
Verificando con l’esempio precedente abbiamo dim(W ) = dim(Z) = 2, mentre dim(W
−
Z) = 1, infatti dim(W + Z) = 2 + 2 1 = 3.
61
Capitolo 8
Applicazioni lineari
8.1 Nucleo e immagine →
Dati due spazi vettoriali V e W consideriamo un’applicazione f : V W . Diremo che f
è un OMOMORFISMO (o applicazione lineare) se
f (av + bv ) = af (v ) + bf (v ) (8.1)
1 2 1 2
Ad ogni applicazione lineare posso associare due sottospazi:
{v ∈
1. Il NUCLEO di f: Ker(f ) = V : f (v) = 0}
{w ∈ ∃v ∈
2. L’IMMAGINE di f: Im(f ) = W : V : f (v) = w}
Diremo che un’app lin è INIETTIVA se il suo nucleo contiene solo l’elemento nullo,
mentre diremo che è SURGETTIVA se la sua immagine coincide con lo spazio W di
arrivo (ossia se hanno la stessa dimensione). Osserviamo che
⟨f
Im(f ) = (v ), ..., f (v )⟩ (8.2)
1 n
Citiamo il TEOREMA DI NULLITA’: data un’applicazione lineare, allora
dim(V ) = dim Ker(f ) + dim Im(f ) (8.3)
8.2 Isomorfismi, endomorfismi e cambio di base
→
Sia f : V W con V e W della stessa dimensione. Allora f è iniettiva se e solo se f è
surgettiva: se un’applicazione lineare è bigettiva si dice ISOMORFISMO (e in tal caso
si dice che V e W sono spazi isomorfi), mentre un’applicazione lineare che manda V in
V si dice ENDOMORFISMO. Ci sono tre forme diverse nelle quali possiamo trovare
un’applicazione lineare:
1. Definisco f(v) con un vettore generico, ad esempio −
f (x, y, z) = (x + 2y, x y) (8.4)
2. Definisco come agisce l’applicazione lineare sugli elementi di una base, ad esempio
f (1, 0) = (1, 1), f (0, 1) = (0, 0) (8.5)
62 {e }
3. Definisco una matrice fatta in questo modo: se E = , ..., e è una base di V e
1 n
{f }
F = , ..., f è una base di W, allora posso dire che
1 m f (e ) = a f + ... + a f (8.6)
1 11 1 m1 m
e faccio cosı̀ per tutti i vettori della base E. Infine mi basta inserire i coefficienti
in una matrice come colonne: questa matrice solitamente si indica con M (f ). Il
EF
rango di questa matrice corrisponde alla dimensione dell’immagine di f .
Definiamo applicazione identica i(v) l’endomorfismo che manda un vettore in se stesso e
consideriamo le basi E ed F definite prima. Allora:
i(e ) = a f + ... + a f = e
1 11 1 n1 n 1 (8.7)
i(e ) = a f + ... + a f = e
2 12 1 n2 n 2
e cosı̀ via. In pratica sto riscrivendo i vettori di E come combinazione lineare dei vettori
di F e la matrice M (f ) contiene tutti i coefficienti di questo cambio di base: per questo
EF
la matrice prende il nome di MATRICE DI PASSAGGIO.
8.3 Esercizi svolti 3 3
Sia f un’applicazione lineare da R in R tale che &minu