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Dove? Nono Cerchio, Antenòra e Tolomea
Introduzione
Questa è la più lunga cantica di tutta l’opera, facendo da
continuazione al precedente canto XXXII, nel quale Dante e
Virgilio avevano scorto un’anima, immersa nel Cocito (lago
ghiacciato del nono cerchio dell’Inferno), che rodeva la
testa di un altro dei dannati, chiedendogli il motivo di quel
gesto.
La vicenda si svolge in due delle quattro zone concentriche
del nono cerchio (Caina, Antenòra, Tolomea e
Giudecca):
- Antenòra, che punisce i traditori della patria o del
partito politico, in cui troveremo il Conte Ugolino;
- Tolomea, che punisce i traditori degli ospiti e degli
amici, dove parleremo con frate Alberigo.
Dante manterrà un forte atteggiamento di accusa durante
il cammino di questo canto, prima contro Pisa e poi Genova
(ricordiamo anche i precedenti incontri con Ciacco, Farinata
degli Uberti e Pier della Vigna), poiché si rivolge al potere
politico incolpandolo di disumanizzare l’uomo, rendendolo
simile ad una belva, e svantaggiando così gli innocenti.
Schema Inferno
Gerusalemme
Antinferno: ignavi
I° cerchio: Acheronte e Limbo
II°- V° cerchio: lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi
e accidiosi (Fiume Stige)
Mura della Città di Dite
VI° cerchio: eretici
VII° cerchio: violenti (divisi in tre gironi) e Fiume
Flegetonte
VIII° cerchio: fraudolenti (dieci Bolge)
IX° cerchio: traditori, lago congelato Cocito
Lucifero al centro della Terra
Personaggi
Uno dei personaggi principali è Ugolino della Gherardesca,
un nobile pisano del 12010 circa. Era consuocero del Re di
Sardegna Enzo, figlio di Federico II, diventando così suo
vicario. Avendo una particolare amicizia con i Visconti,
sposò la figlia di uno di loro, Giovanna, e facendo ciò si
allontanò dal suo partito politico avvicinandosi a quello
guelfo. Alcune testimonianze ci dicono che Ugolino avesse
provato a fuggire da una battaglia tra Pisa e Genova,
avendo quest’ultima come alleate Lucca e Firenze
(battaglia della Meloria). Venne poi nominato capitano del
popolo di Pisa, poiché avendo un capo guelfo in una città
ghibellina avrebbe secondo loro reso più semplici le
trattative di pace tra Firenze e Lucca. Decise quindi di
cedere dei castelli del territorio pisano a due città toscane.
Ruppe così l’alleanza con il nipote dei Visconti,
avvicinandosi all’arcivescovo Ruggeri, capo dei Ghibellini.
Lo stesso Ruggeri aizzò il popolo contro Ugolino, tradendolo
e facendolo incarcerare nella torre della Muda con due figli
e due nipoti, fino a morire di fame nel 1289 circa.
Il conte Ugolino è quindi collocato da Dante come traditore
della patria e del partito, per le varie motivazioni elencate
prima, principalmente per l’abbandono dei Ghibellini per
allearsi ai Guelfi. La sua colpa tuttavia resta abbastanza di
sfondo, in quanto il conte viene dipinto all’interno del canto
come “traditore tradito”, dunque da una parte egli è un
uomo politico feroce e brutale, sopraffatto dal desiderio di
potere, ma dall’altra parte è un padre straziato, tenero e
impotente di fronte all’ingiusta morte dei figli e dei nipoti,
della quale si sente responsabile. Il conte può considerarsi
così un personaggio dalla duplice e contrastante
personalità: rabbioso, ma disperato. La condanna di Dante
per lui è molto dura, ma lontana dal disprezzo, per questo
gli viene dato il monologo più lungo dell’Inferno, dandogli
possibilità di far luce sull’accaduto, tale da riabilitare la sua
figura.
Troviamo inoltre Ruggeri degli Ubaldini, Frate Alberigo e
Branca Doria.
Analisi
Siamo in questo canto nella parte più profonda dell’Inferno,
nella quale secondo Dante si trovano le anime che si sono
macchiate di peccati più gravi, appena sopra Lucifero.
Le anime dei traditori, trattati qui, sono sottoposte a una
simile pena, quella di essere immerse nel Cocito. La
condanna richiama la colpa, in quanto si configura come
manifestazione più grande di perdita di umanità,
congelamento dell’agire umano dell’essere il quale ha
perso il calore della carità. Abbiamo quindi contrappasso
per analogia. L’unica differenza è la diversa posizione tra le
due tipologie di traditori presenti: nell’Antenòra sono
immersi fino al collo con la testa dritta, mentre quelli della
Tolomea sono in posizione supina con il volto all’insù. Per
gli ultimi la pena è quindi maggiore, poiché le loro lacrime
appena uscite si solidificano nelle orbite, impedendo alle
altre di uscire e amplificando il dolore. Per Dante è
gravissimo il tradimento di ospiti e amici, tale da dargli la
punizione peggiore, come fa per Frate Alberigo e Branca
Doria, che inserisce nell’opera nonostante siano personaggi
ancora in vita. E’ come se desse a loro la possibilità di una
deroga teologica alla misericordia di Dio per redimersi fino
all’ultimo istante della vita.
Un particolare passo
“Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno”
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C’è un forte dibattito su tale verso, a causa della sua
ambiguità, dando così diverse interpretazioni.
Parafrasandolo letteralmente avremmo “dopo di che, la
fame prevalse sul dolore”, riscontriamo due possibili
spiegazioni:
- Il conte Ugolino morì non a causa del dolore dovuto
alle sue condizioni, e soprattutto, a quelle dei suoi figli
e nipoti, ma esclusivamente per la fame;
- la fame ebbe il sopravvento sul dolore per la morte dei
suoi familiari e di conseguenza, se ne cibò.
La tradizione vuole credere maggiormente alla prima
ipotesi, poiché se la seconda fosse vera, il conte sarebbe
sopravvissuto per ulteriore tempo, contrastando le
cronache dell’epoca che ci informano che nel nono giorno
di reclusione vennero tolti tutti i cadaveri dalla torre Muda,
compreso quello del Conte. Altri però non escludono la tesi
di tecnofagia, portando ad esempio alcuni elementi, come il
continuo utilizzo nel canto di terminologie legate alla fame,
alcuni gesti come quello di mordersi le mani e la condanna
a rosicchiare in eterno il cranio del suo nemico. Abbiamo
dunque un chiaro esempio di “retorica della reticenza”:
Dante volutamente non rende palese il significato del
verso, così da lasciar solo sospettare di quel che dice.