Fabrizio Del Dongo
Genius
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Concetti Chiave

  • La Jugoslavia era una federazione socialista composta da sei repubbliche e due regioni autonome dopo la Seconda Guerra Mondiale, con Belgrado come capitale.
  • Tensioni interne emersero nel tempo a causa di riforme economiche e richieste di maggiore autonomia da parte di diverse nazionalità, culminate con la morte di Tito nel 1980.
  • Nel 1991, Slovenia e Croazia dichiararono l'indipendenza, seguite dalla Macedonia e dalla Bosnia-Erzegovina, scatenando conflitti violenti e interventi internazionali.
  • Gli accordi di Dayton del 1995 stabilirono una Bosnia unita con due entità autonome, ma le tensioni continuarono, soprattutto in Kosovo fino al 1999.
  • Slobodan Miloševič perse il potere nel 2000, fu arrestato per crimini contro l'umanità, e le tensioni etniche, soprattutto tra albanesi e serbi, persistono tuttora.

Indice

  1. La Jugoslavia post-guerra
  2. Riforme e tensioni interne
  3. Proteste e repressioni
  4. Crisi e disgregazione
  5. Ascesa di Miloševič
  6. Indipendenze e conflitti
  7. Guerra in Bosnia
  8. Accordi di Dayton
  9. Fine del regime di Miloševič

La Jugoslavia post-guerra

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, la Jugoslavia si presentava come una federazione socialista formata da Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina a cui si aggiungevano due regioni a statuto speciale, il Kosovo e la Vojvodina, che facevano parte della Serbia.

La capitale della Serbia, Belgrado, era anche capitale della Federazione.

Riforme e tensioni interne

Le componenti federali si reggevano, però, su degli equilibri sempre nuovi a causa delle costituzioni più volte riformate per cui nei primi anni si ebbe tutta una serie di negoziazioni tra potere centrale e potere periferico e soprattutto fra le diverse nazionalità. La coesione era garantita dal presidente, il maresciallo Tito.

Proteste e repressioni

Nel 1965, venne attuata una riforma economica che, liberalizzando prezzi e mercati, creò conflitti e tensioni. Nel 1968, anche in Jugoslavia scoppiò la protesta degli studenti e dei giovani: all’inizio essa venne sedata con interventi paternalistici, ma in seguito si intervenne con la repressione. Nello stesso anno scoppiò la rivolta degli Albanesi del Kosovo, in cui la presenza della polizia era sempre stata molto forte e capillare. Tre anni dopo accadde qualcosa di simile anche in Croazia: i Croati, sotto la guida e con l’appoggio di diversi esponenti del vertice comunista, chiedevano maggiore autonomia politica, economica e culturale, aspetto quest’ultimo legato soprattutto alla questione della lingua, considerata decisiva. Il maresciallo Tito intervenne con violenza. Nel 1974, la Jugoslavia si dotò di una nuova costituzione che sarà l’ultima dopo lo sfaldamento della Confederazione e che recepiva i contenuti di alcune sommosse avvenute prima. Infatti, la Vojvodina e il Kosovo ottennero maggiore autonomia e fu data loro la possibilità di votare contro le decisioni prese dalle Serbia, di cui politicamente facevano parte.

Crisi e disgregazione

Alla morte di Tito, avvenuta nel 1980, la crisi si aprì su tutti fronti; fra l’altro, il Kosovo chiedeva lo status di repubblica e si scoprì che il debito estero della Confederazione era enorme. Negli anni Ottanta, le tendenze autonomistiche di ogni stato della Confederazione si associò ad un’inflazione galoppante per cui l’autogestione socialista non funzionò più. I poteri centrali erano impossibilitati ad agire perché sottoposti a continui veti incrociati, provenienti dalle diverse repubbliche il che comportava l’impossibilità di prendere delle decisioni comuni che sarebbero state necessarie per dare un nuovo assetto istituzione alla federazione.

Ascesa di Miloševič

Nel 1986, Miloševič dopo aver sconfitto l’ala liberale del partito, diventò presidente della lega comunista serba. Nel frattempo, nel Kosovo la popolazione serba organizzò alcune manifestazioni perché si sentiva minacciata da quella albanese, in fase di incremento demografico e politicamente piuttosto aggressiva. Miloševič ne approfittò e si servì della riconquista del Kosovo per scalare il potere. La situazione si complicò anche in Slovenia (con capitale Lubiana) in cui, negli stessi anni, la popolazione cominciò a manifestare contro la presenza dell’esercito federale. Da allora in poi la situazione precipitò un po’ ovunque, sia a livello periferico che centrale: la Lega dei comunisti federale si spaccò, vennero indette le elezioni che in molti casi videro la vittoria dei partiti nazionali.

Indipendenze e conflitti

Nel 1991, in Croazia crebbe la tensione nelle zone abitate dai Serbi, la Krajina (una parte della Croazia) chiedeva il diritto di secessione, mentre nel resto della Croazia veniva votata l’indipendenza dal potere centrale di Belgrado. Nello stesso anno, Slovenia e Croazia dichiararono l’indipendenza: l’esercito di Belgrado intervenne, ma la strenua difesa slovena e la pressione internazionale obbligò i Serbi a ritirarsi in Croazia dove i combattimenti diventarono sempre più violenti. Verso la fine del 1991 anche la Macedonia dichiarò l’indipendenza, seguita dalla Bosnia-Erzegovina, con il riconoscimento della Comunità Europea. All’inizio del 1992, mentre la guerra in Croazia stava continuando, iniziarono le ostilità in Bosnia.

Guerra in Bosnia

Il 27 marzo 1992, nacque la Repubblica di Jugoslavia formata da una federazione fra Serbia e Montenegro, con capitale Belgrado, sotto la guida di Miloševič, ma che, tuttavia, non ottenne alcun riconoscimento internazionale, cosa che invece avevano ottenuto la Slovenia e la Croazia. Intanto in Bosnia-Erzegovina, scoppiò la guerra civile: la popolazione serba di questa area dette vita ad un’ulteriore repubblica indipendente con lo scopo finale di unirsi successivamente alla Federazione serbo-montenegrina di Belgrado e di Miloševič. Così, nel 1992, iniziò l’assedio intorno a Sarajevo, la città più grande della Bosnia-Erzegovina da parte delle truppe serbo-bosniache, appoggiate dal governo di Belgrado. Il conflitto si generalizzò e si fece sempre più violento. Particolarmente feroce fu la repressione della popolazione musulmana, con massacri, stupori di massa, torture, campi di concentramento, stermini. Le diverse, successive e reciproche pulizie etniche comportarono l’esodo di 300.000 civili croati dalla Krajina di fronte all’avanzata dell’esercito serbo e quando i croati riconquistarono la Krajina a loro volta se ne dovettero andare i Serbi.

Accordi di Dayton

Fra il 1991 e il 1995, a parecchie riprese, intervennero l’U.E, la Nato, l’ONU, gli USA e la Russia, sia con la diplomazia che con mezzi militari ma i risultati ottenuti furono scarsi. Finalmente, nel 1995, dopo una lunga serie di trattative, fra cui gli accordi di Rambouillet, si giunse agli accordi di Dayton negli Stati Uniti. L’accordo prevedeva un’unica Bosnia, articolata in due entità: una federazione croato-musulmana e una repubblica serbo-bosniaca, ma con un governo centrale, una moneta ed un parlamento unico con la presenza sul campo di una forza di pace della NATO. L’accordo, tuttavia, fu di difficile attuazione.

Fine del regime di Miloševič

Nonostante gli accordi di Dayton, la guerra nel Kosovo continuò fino nel 1999, quando la pace fu raggiunta sotto la pressione decisiva dell’azione militare con il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo. Nel frattempo, l’ONU inviò una forza internazionale permanente destinata a rimanere anche per tutti i primi anni del XXI secolo. Quanto a Miloševič, egli perse il potere nel 2000 sia in seguito alle elezioni vinte dall’opposizione dei partiti contrari al regime nazional-comunista, sia in seguito alle proteste popolari e alle pressioni internazionali. Fu arrestato con l’accusa di crimini contro l’umanità e il nuovo governo di Belgrado lo consegnò al Tribunale penale internazionale. La guerra ha comportato molte perdite di vite umane, distruzione e danni economici incalcolabili, che hanno ancora un peso non indifferente sulla vita sociale del Paese. Le tensioni tra albanesi e serbi permangono ancora oggi. Nel 2000, il nuovo presidente Voijskav Kostunica, pur perseguendo una politica filoccidentale, nelle sue dichiarazioni più volte dichiarò la volontà di non voler rinunciare definitivamente al Kosovo e al Montenegro

Domande da interrogazione

  1. Qual era la struttura della Jugoslavia dopo la Seconda Guerra Mondiale?
  2. La Jugoslavia era una federazione socialista composta da Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, con due regioni a statuto speciale, Kosovo e Vojvodina, parte della Serbia.

  3. Quali furono le cause principali delle tensioni interne nella Jugoslavia?
  4. Le tensioni furono causate da riforme economiche, proteste studentesche, richieste di maggiore autonomia da parte delle repubbliche e regioni, e conflitti etnici, specialmente in Kosovo e Croazia.

  5. Come si è evoluta la situazione politica in Jugoslavia negli anni '80?
  6. Negli anni '80, le tendenze autonomistiche aumentarono, l'inflazione crebbe, e i poteri centrali furono paralizzati da veti incrociati, portando a una crisi politica e istituzionale.

  7. Quali furono le conseguenze della dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia nel 1991?
  8. La dichiarazione di indipendenza portò a interventi militari da parte dell'esercito di Belgrado, intensificando i combattimenti in Croazia e portando alla guerra civile in Bosnia-Erzegovina.

  9. Quali furono gli esiti degli accordi di Dayton del 1995?
  10. Gli accordi di Dayton stabilirono una Bosnia unificata con due entità, una federazione croato-musulmana e una repubblica serbo-bosniaca, ma l'attuazione fu difficile e le tensioni continuarono, specialmente in Kosovo.

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