Concetti Chiave
- Il trionfo romano era una celebrazione riservata ai condottieri che riportavano vittorie decisive e ampliavano i confini di Roma.
- Il corteo trionfale attraversava la città, mostrando il bottino di guerra e i prigionieri, culminando presso il tempio di Giove Capitolino.
- Il trionfatore, vestito come Giove Capitolino, sfilava su un carro tirato da cavalli bianchi con il volto dipinto di rosso.
- I soldati cantavano lodi e scherni per ricordare al condottiero la sua umanità e prevenire la superbia.
- Il trionfo si concludeva con un sacrificio a Giove, la distribuzione del bottino e un banchetto per senatori e magistrati.
Indice
Il trionfo romano
Nella Roma antica, il trionfo era una celebrazione riservata a un condottiero (= generale) che avesse riportato sul nemico una vittoria schiacciante e quindi decisiva.
Requisiti per il trionfo
Era il Senato a concedere il trionfo purché esso rispondesse a determinati requisiti. Innanzitutto, il condottiero doveva essere investito dell’imperium maius (cioè di un grado superiore), doveva aver agito in modo indipendente e aver tenuto il comando effettivo dell’esercito. La sua vittoria doveva essere stata di tale importanza da porre fine alla guerra e da ampliare i confini. Inoltre, bisognava che in battaglia fossero stati uccisi almeno 5000 nemici.
Il corteo trionfale
Nel giorno stabilito, le strade inserite nel percorso, erano ornate di ghirlande; il corteo trionfale, formatosi al Campo Marzio, entrava in città dalla Porta Triumphalis, attraversava il Velabrum e il Circus Maximus, e dopo aver percorso la via Sacra e il Forum, saliva lungo il clivus Capitolinus e si fermava davanti al tempio di Giove Capitolino. Esso era aperto dai magistrati e dai senatori, seguiti dai musici dietro ai quali veniva mostrato il bottino di guerra composto da una lunga serie di carri carichi delle spoglie del nemico e da oggetti di valore. Ci è giunta testimonianza che durante il trionfo di Emilio Paolo nel 167 a, c, il bottino venne caricato su 2700 carri che sfilarono per tre giorni, colmi di armi, scudi e armature. Seguivano i littor (=fasces lictori) cioè le armi portate dai littori, che consistevano in un fascio di bastoni di legno legati con strisce di cuoio, intorno a una scure, come simbolo potere di vita e di morte sui condannati, le corone onorifiche concesse al trionfatore e i bianchi tori che da lì a poco sarebbero stati sacrificati a Giove.
Il bottino e i prigionieri
Il bottino, sempre molto cospicuo, non solo comprendeva oro e materiale prezioso, ma anche i prigionieri in catene e questo costituiva l’aspetto trionfale più patetico. Essi erano uomini comuni e sovrani insieme ai loro familiari e agli amici. Non appena il corteo avrebbe girato in direzione del Campidoglio i prigionieri sarebbero stati gettati in prigione o uccisi.
Il destino dei prigionieri
Molti sovrani catturati si sottrassero alla vergogna della sfilata con il suicidio come fece Cleopatra che, per evitare di far parte del trionfo di Ottaviano, scelse di darsi la morte, facendosi mordere da un aspide. Invece Giugurta e Vercingetorige, dopo il corteo furono messi in cella per essere strangolati poco tempo dopo.
Il trionfatore e il suo corteo
I littori precedevano il trionfatore, seduto su di un carro decorato, con in testa una corona di alloro, simbolo della gloria, tirato da quattro cavalli bianchi. Esso era vestito come Giove Capitolino, cioè indossava la tunica palmata e la toga picta e in mano portava uno scettro d’avorio sormontato da un’aquila trionfante. Inoltre, il vincitore sfilava con il viso dipinto di rosso, un particolare che lo equiparava a Giove; il colore rosso, lo stesso del mantello portato sulle spalle, richiamava il sangue sparso dai nemici vinti secondo un’usanza primitiva il cui scopo era quello di atterrire gli avversari. Uno schiavo gli teneva al di sopra del capo una corono d’oro e gli gridava che non avrebbe dovuto farsi prendere dalla superbia: la frase, rimasta celebre era “Hominem te memento” = Ricordati che sei un uomo. Era circondato dai figli e seguito dagli ambasciatori, dai tribuni e da tutto l’esercito vincitore.
Canzoni di scherno
I soldati cantavano delle lodi al vincitore, ma anche canzoni di scherno che spesso rivelavano anche il carattere e gli aspetti più personali e intimi del generale (= carmina triumphalia). Per esempio, lo storico Svetonio, riporta un carmen in cui si fa allusione all'omosessualità di Cesare. Egli scrive: «Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem.» cioè “Cesare sottomise la Gallia e Nicomede sottomise Cesare; ecco ora Cesare, che sottomise la Gallia, celebra il suo trionfo, ma non trionfa Nicomede, pur avendo sottomesso Cesare” Lo scopo di questi scherni era di limitare l’esaltazione del successo e di fare il mondo che il condottiero celebrato non fosse preso da un’eccessiva superbia.
Conclusione del trionfo
Arrivato sul Campidoglio, il trionfatore offriva a Giove il sacrificio per rendergli grazia, deponeva ai piedi della divinità la corona di alloro e una parte del bottino. Quindi, l’esercito, prima di essere congedato riceveva il compenso che gli era dovuto, attinto dal bottino. Il trionfo, molto spesso, terminava con un banchetto solenne cui partecipavano i senatori e i magistrati e con la distribuzione di vino a tutto il popolo.
Domande da interrogazione
- Quali erano i requisiti per ottenere un trionfo nella Roma antica?
- Qual era il percorso del corteo trionfale a Roma?
- Qual era il significato del bottino di guerra nel trionfo?
- Come veniva celebrato il trionfatore durante il corteo?
- Qual era il significato dei canti di scherno durante il trionfo?
Il trionfo era concesso dal Senato a un condottiero che avesse l'imperium maius, avesse agito indipendentemente, avesse vinto una guerra decisiva e ucciso almeno 5000 nemici.
Il corteo partiva dal Campo Marzio, entrava dalla Porta Triumphalis, attraversava il Velabrum e il Circus Maximus, percorreva la via Sacra e il Forum, e si fermava davanti al tempio di Giove Capitolino.
Il bottino, composto da armi, oggetti di valore e prigionieri, rappresentava la ricchezza e il successo del condottiero, ma anche l'aspetto più patetico del trionfo.
Il trionfatore era preceduto dai littori, seduto su un carro decorato, con una corona di alloro, vestito come Giove Capitolino, e accompagnato da canti di lode e scherno dai soldati.
I canti di scherno servivano a limitare l'esaltazione del successo del condottiero, ricordandogli la sua umanità e prevenendo l'eccessiva superbia.