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Vittorio Alfieri
Alfieri nacque nel 1749 ad Asti da una famiglia aristocratica, che gli dà modo di trascorrere una vita agiata e di avere una formazione culturale alta. Il padre lo iscrive alla Reale Accademia di Torino e, terminata l’Accademia, data l’agiatezza economica e non avendo impegni militari (in quanto esonerato per la sua condizione sociale) si dedica ai viaggi in Italia e all’estero. Il periodo dal 700 fino a tutto l’800 è da considerarsi come il secolo d’oro del fenomeno del grand tour: i viaggi in Europa e in Italia che in questo periodo servono a formare la cultura dei giovani europei. In particolare ricordiamo i viaggi in Italia nei luoghi di maggior impatto culturale (Roma, Napoli, Venezia,...). Roma è sede per eccellenza in questo periodo di reperti archeologici. Questi viaggi costituiscono per i giovani parte fondamentale della loro formazione. A questa abitudine non viene meno nemmeno Alfieri, che terminata l’Accademia militare inizia a viaggiare per tutta Europa e anche per l’Italia (soprattutto nelle città d’arte, come Roma, Venezia,..).Questi viaggi gli daranno modo di conoscere anche le politiche degli altri Stati europei e quel clima di libertà e indipendenza che cominciava a respirarsi in quegli anni. Egli aderisce a pieno a questi ideali e ne fa il centro della propria opera di scrittore. Scriverà le prime sue opere in francese ma di lì a poco questa smania di indipendenza nei confronti della presenza dello straniero in Italia lo porterà a scegliere l’italiano. La prima tragedia scritta da Alfieri e che conobbe grande successo presso il Teatro Carignano di Torino è “Antonio e Cleopatra”, una tragedia che poi però l’autore non inserirà nei 2 volumi delle tragedie da lui curati, perché ritenuta da egli stesso minore rispetto alla successiva produzione tragica. La volontà di indipendenza lo porta a “disfranciosarsi”, cioè non adoperare più per i suoi scritti la lingua francese (l’uso del francese come lingua di cultura è comune; ricordiamo anche Goldoni con i Memoires). Di lì a poco oltre a liberarsi dalla lingua francese tenterà di liberarsi anche dalla politica del Regno di Sardegna dal suo Piemonte (“spiemontizzarsi”), con la tensione ad essere intellettuale europeo prima ancora che italiano. Nei suoi viaggi in Italia (anni 70,80), a Pisa, Siena e Firenze, conosce (a Firenze) la donna da lui amata, Luisa Stolberg, contessa d’Albany, moglie di Carlo Eduardo Stuart (aspirante cattolico al trono inglese). La scelta di vita di Alfieri diventa definitiva quando decide di “disvallassarsi” dal Regno di Sardegna, donando i propri possedimenti piemontesi alla sorella Giulia, in cambio di un cospicuo vitalizio.
Quando la donna amata per sottrarsi al marito si trasferisce a Roma, Alfieri la segue e chiede al papa lo scioglimento del loro matrimonio, che non ottenne. I due dovettero infatti aspettare la morte del marito per poter vivere liberamente insieme. Conosce letterati importanti del tempo, come Parini, che però non ebbe grande stima da Alfieri, a differenza di Foscolo (soprattutto il Foscolo delle Ultime lettere di Jacopo Ortis e Dei Sepolcri) , che ne sarà affascinato. Tra gli anni 80 e 90 del 700 soggiorna in Alsazia e ritorna più volte a Parigi. In quel periodo (dopo gli anni 90) a Parigi si trova Goldoni, con cui Alfieri stringe amicizia. A Parigi vive a pieno la Rivoluzione francese, ai cui ideali inizialmente aderisce pienamente tanto da comporre un’ode (“A Parigi sbastigliato”), per poi allontanarsi gradualmente dall’evento rivoluzionario, perché lo considera troppo violento, fino ad arrivare ad odiare i francesi. Dopo l’assalto popolare al palazzo del re, fugge con la Stolberg e si reca a Firenze, dove muore nel 1803.
Le tragedie
Alfieri è ricordato soprattutto come autore tragico. Della modalità di scrittura della sua tragedia, Alfieri ce ne lascia testimonianza. Egli scrive un’autobiografia, La Vita, che è per noi la fonte primaria per le sue notizie biografiche. Egli individua tre momenti: ideare, stendere e verseggiare. In un primo momento, quindi, elaborava un’idea, che comprendeva protagonista e antagonista, oltre a qualche personaggio minore. In generale nelle tragedia alfieriane ci sono pochi personaggi, proprio perché l’intento dell’autore è far campeggiare sulla scena il protagonista: la tragicità di un personaggio è data anche dalla capacità dell’autore di rappresentarlo nella sua solitudine e nel suo isolamento. La solitudine e l’estraneità del personaggio ne aumentano infatti l’alone tragico.In un secondo momento, invece, l’idea iniziale passava nella forma in prosa della tragedia, quindi in una trama in cui venivano delineate le caratteristiche dei personaggi. In una terza fase l’autore trasformava la prosa nei dialoghi e nella versificazione. Il verso per eccellenza adoperato è l’endecasillabo sciolto, che dava la possibilità di spezzare la sintassi e fornire allo spettatore maggiore capacità rappresentativa dell’irrequietezza passionale e sentimentale che doveva essere messa in scena. Talvolta il verso stesso risultava spezzato dall’uso di un lessico che sembrava quasi separato e anche dalla punteggiatura (frequenti puntini di sospensione, lineette e virgole). Di questa modalità di scrittura delle tragedie ne abbiamo la spiegazione di Alfieri in una lettera indirizzata a Calzabigi, dove spiega punto per punto come scrive le sue tragedie. È l’autore stesso a raccogliere queste sue tragedie in una raccolta di 2 volumi. Ciò non gli impedisce di ritornare sui versi scritti e sceneggiati, ma anche pubblicati. La prima tragedia riconosciuta dall’autore è “Filippo”, ambientata nel 500 alla corte di Madrid, che porta in scena l’amore del figlio del re Filippo di Spagna per la madrigna. Altre tragedie riproducono temi classici tratti dal mito e dal teatro greco, in particolare le storie che ruotano intorno alla vicenda dell’Edipo re (come Polimice o Antigone). Le tematiche delle tragedie alfieriane sono tratte dal mondo classico, ma anche storico o biblico, come quella considerata il capolavoro, il Saul.
Questi miti vengono riprodotti nelle fonti latini dai quali Alfieri li desume (la tragedia di Polimice è ispirata alla lettura della Tebaide di Stazio; l’Agamennone e l’Oreste al teatro di Seneca). Alcune tragedie cioè, pur essendo miti e storie oggetto del teatro greco vengono riprese da Alfieri dal teatro latino. Le cosiddette tragedie di libertà sono quelle che seguono il trattato “Della tirannide” e sono: la Virginia (ispirata alla storia della res publica romana narrata da Tito Livio), la Congiura dei pazzi (che ha come fonte le Istorie fiorentine di Machiavelli), il Timoleone (la meno riuscita delle tre che si rifà ad un soggetto di Plutarco). Dopo il 1782 Alfieri ritiene di essere giunto alla fine della propria carriera tragica e si dedica a curare l’edizione delle proprie opere, ma nello stesso anno scrive di getto la Merope e il Saul, che si ispira alle vicende dell’Antico Testamento ed è la tragedia meglio riuscita. Lo sfondo è la lotta tra ebrei e filistei e campeggia qui la figura del re Saul che mal sopporta il genero David, che ha dato però in sposa alla figlia Micol, la quale ama tanto il padre quanto il marito. Questo sentimento di Saul nei confronti di David è dovuto al fatto che un indovino gli ha predetto che sarà proprio lui a sottrargli il regno. Saul è una figura la cui tragicità è data dallo scontro nell’animo del sovrano tra la convinzione di doversi liberare di David e la consapevolezza del valore di questo giovane, che è il miglior combattente per la difesa della propria città.
La tragedia finirà con la morte di Saul, che si sente perseguitato e si ucciderà trafiggendosi con la propria spada. Un gesto tragico che suggella questa contrapposizione di sentimenti che esplode in modo drammatico. Negli anni immediatamente successivi Alfieri compone tre nuove tragedie, una delle quali, la Mirra, è un nuovo capolavoro. Il soggetto è tratto dal X libro delle Metamorfosi di Ovidio e racconta della vicenda di Mirra innamorata del padre Ciniro. La tragedia finisce con il suicidio di Mirra. Mentre nel Saul la solitudine del protagonista è provocata dal potere, nella Mirra è conseguenza dell’amore e il suicidio è una presa di coscienza della propria sconfitta. Alla Mirra seguono due tragedie lodate dai contemporanei per il loro spirito anti tirannico, il Bruto I e il Bruto II. Per il lavoro seguente, l’Abele, Alfieri conia il termine “tramelogedia” che indica un genere intermedio tra la tragedia e il melodramma. Tra il 1796 e il 1798 Alfieri torna per l’ultima volta al teatro tragico con l’Alceste seconda, la quale è un rifacimento dell’Alceste di Euripide.
Le Rime e la vita
Parallelamente alla scrittura tragica Alfieri si dedica anche a quella lirica. Nel 1789 esce la prima parte delle Rime, che raccoglie tutte le liriche composte fino ad allora. Alfieri raccoglie anche quelle scritte negli anni seguenti, che escono però postume nel 1804. Nelle Rime, di tematica prevalentemente autobiografica, il poeta costruisce un’ideale immagine di sé come un uomo libero e sdegnoso. Le rime alfieriane nascono da momenti di solitudine e commozione, dalla vista di paesaggi, dai turbamenti dell’anima tra opposti sentimenti e dal desiderio per la donna amata e lontana. La vena autobiografica di Alfieri si esplica compiutamente nella scrittura della “Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso”, che il poeta inizia a scrivere nel 1790. Alfieri presenta sè stesso come un giovane insofferente alle regole imposte da una società rigida che pretende di imporre comportamenti, scelte di vita e persino letture e fantasie.Gli scritti politico morali e la produzione satirica
Alfieri scrive anche diversi trattati di carattere politico e morale. Della tirannide è un breve trattato in prosa scritto nel 1777, che teorizza l’inconciliabilità dell’uomo libero con il potere assoluto. Alfieri nega la possibilità di praticare la libertà nel mondo moderno, per cui l’unica soluzione è morire da forti, respingendo ogni compromesso. Nella stessa prospettiva ideologica sono concepite le tragedie di libertà e il poemetto l’Etruria vendicata. Scrive poi il trattato Del principe e delle lettere, in cui prende in esame la contrapposizione inconciliabile tra il potere politico e la letteratura e condanna il mecenatismo. Tema politico ha anche il Panegirico di Plinio a Traiano (con dedica a Luigi XVI), che è giocato sull’invito al tiranno a rinunciare al potere e a restaurare la Repubblica. Alfieri pratica anche il genere satirico e negli ultimi anni compone 17 satire, che hanno come bersaglio aspetti del mondo contemporaneo. L’autore di riferimento per Alfieri è Giovenale. Infine, postume escono sei commedie che affrontano temi politici e moralistici.La fortuna
Non apprezzato né da Parini né da Monti, Alfieri viene eletto a guida morale da Foscolo. Nel corso dell’Ottocento è stroncato da Schlegel, che lo giudica impoetico e incapace di disegnare organicamente l’azione tragica, mentre vario è il giudizio dei letterati italiani. Vieni esaltato da Francesco De Santis, in quanto “uomo nuovo” e patriota e viene definito “protoromantico” da Croce, che vede in lui l’iniziatore della moderna letteratura e lo lega alla sensibilità del XIX secolo. La critica più recente è ancora divisa tra quanti vedono forte in Alfieri il legame con il suo secolo e con la tradizione letteraria precedente e quanti invece ne sottolineano la critica irrazionalistica. È tuttavia generalmente riconosciuto il carattere apolitico e metastorico della sua tragedia e della sua critica alla tirannide.Sonetto: “Sublime specchio di veraci detti”
Per cogliere ancor meglio la personalità dell’autore, possiamo rifarci ad un sonetto autobiografico tratto dalla raccolte delle Rime di Alfieri, confrontandolo con un quadro del 1793, dipinto da Fabre quando Alfieri era ancora vivo. L’autore conobbe il dipinto, in quanto ne abbiamo testimonianza in una lettera da lui scritta. È bene ricordare inoltre che alla sua formazione Alfieri aggiunge lo studio dei classici latini e di quelli della letteratura italiana, da cui recupera quel sentimento identitario che sarà alla base del suo ideale di libertà e della sua tensione all’indipendenza, perché riconosce nella tradizione letteraria e culturale italiana e, in particolare nella romanità, le radici della nostra identità. L’anello nella mano sinistra porta inciso sopra il ritratto di Dante proprio come simbolo di quanto appena detto. È osservando questo ritratto che Alfieri scrive questo sonetto, che dà via ad una tradizione (ne abbiamo uno di Foscolo, uno di Leopardi,…). Il primo verso di questo sonetto è :”Sublime specchio di veraci detti”. Quest’ultimo potrebbe essere o il ritratto che Alfieri aveva davanti e osservava come fosse uno specchio (in quanto rappresentava la sua immagine) o potrebbe essere riferito al sonetto stesso che l’autore sta scrivendo, secondo un topos letterario presente già in Dante. Questo ritratto alfieriano è un ritratto psicosomatico: non ci descrive solo fisicamente la personalità alfieriana ma soprattutto l’animo.Quando dice ad esempio “e capo a terra prono”, ci indica un uomo con atteggiamento pensoso, una personalità riflessiva e malinconica dilaniata tra opposti sentimenti: amore e odio, ira e pace, durezza e severità e mitezza e arrendevolezza, razionalità e sentimento (“la mente e il cor in perpetua lite”). È una personalità inquieta e irrequieta. Anche la valutazione che il poeta dà di stesso non è lineare: egli infatti scrive “or stimandomi Achille, ed or Tersite”. Achille è l’eroe greco per eccellenza, mentre Tersite è l’antieroe, il vile, il codardo. Alfieri stesso non sa come deve valutarsi, se come Achille o come Tersite. Non è quindi casuale il fatto che il genere letterario che sia riuscito meglio ad Alfieri sia quello tragico.
Saul, Atto II Scena I - Trama dell’opera
Nel Saul (1782) Alfieri realizza una compiuta espressione del proprio ideale drammatico, dominato dal contrasto tra la figura dell'eroe e quella del tiranno, che qui il personaggio del titolo vive in sé. La tragedia si svolge nell'imminenza della battaglia tra Ebrei e Filistei: David, campione dell'esercito ebraico, è fuggito perché perseguitato dal re Saul. Saul, tuttavia, è dilaniato da sentimenti opposti: da un lato, consapevole della forza e del coraggio di David, ne desidera il ritorno; dall'altro, teme che il giovane possa scalzarlo dal potere; inoltre egli ha dato in sposa a David la propria figlia Micol. David decide di rientrare al campo ebraico per scagionarsi di fronte a Saul, mentre Abner, consigliere di quest'ultimo, trama contro il giovane. Dopo una momentanea riappacificazione, Saul riprende i suoi sospetti, arrivando persino a immaginare una congiura a proprio danno dei sacerdoti del regno. David è costretto nuovamente a separarsi da Micol, mentre Saul fa uccidere tutti i sacerdoti che avevano profetizzato il passaggio della corona da Saul a David. Il vecchio re è ormai preda di un folle senso di persecuzione: i sacerdoti gli appaiono in sogno per annunciargli un'imminente sconfitta. Saul decide allora di darsi la morte con la propria spada.Analisi: La tragedia è ambientata presso il campo dell'esercito ebraico a Gelboè, dove si combatterà di lì a poco la battaglia finale contro i Filistei. Qui entra in scena, all'inizio dell'atto secondo (cui spesso Alfieri delega la comparsa del personaggio principale), Saul, re di Israele e capo dell'esercito. Le sue prime parole indicano già una coscienza offuscata da oscuri presagi e dall'incombente senso della morte: per la prima volta da molto tempo, infatti, il sole non gli appare come avvolto da un mantello di sangue e ciò lo induce a sperare in una giornata felice. Da questa constatazione nasce il nostalgico ricordo dei tempi passati. Proprio il contrasto tra un passato glorioso e un presente abitato da visioni di morte e da un costante senso di persecuzione forma la sostanza delle prime battute di Saul: Dio ora sembra averlo abbandonato in favore di David, che anche il sommo sacerdote Samuele ha indicato come il futuro re del popolo ebraico. Ciò determina anche il duplice atteggiamento di Saul nei confronti di David: da un lato l'affetto per il campione coraggioso, nonché sposo della propria figlia Micol; dall'altro il sospetto verso chi viene avvertito come un potenziale usurpatore.
La tragedia alfieriana prosegue attraverso una contrapposizione continua. Qui il conflitto si gioca soprattutto all'interno dell'animo di Saul: questo tormento è magnificamente sintetizzato da alcune coppie di antitesi: i figli tanto amati lo inducono però all'ira; in battaglia egli aspira alla pace, ma la pace lo induce alla guerra; gli amici gli appaiono come dei nemici. L'antitesi è dunque la figura dominante dell'intera tragedia, resa attraverso il contrasto tra gioventù e vecchiaia; tra giorno e notte; tra bene e male. A proposito del carattere di Saul, Alfieri stesso, nel Parere che precedeva la prima pubblicazione a stampa della tragedia, ha parlato di perplessità: «una perplessità del cuore umano, per cui un uomo appassionato di due passioni fra loro contrarie, a vicenda vuole e disvuole una cosa stessa. Tale perplessità è per Alfieri un innesco potentissimo alla commozione.
Nell'ultima battuta della scena, il sommo sacerdote Samuele, che un tempo aveva preannunciato per lui un destino radioso da re d'Israele, gli appare ora di dimensioni gigantesche, intento a spargere il sacro unguento di Dio sul capo di David e a strappare la corona regale dal capo di Saul. Ancora una volta, si rincorrono elementi opposti: la figura di Samuele quale era un tempo e quale ora appare a Saul; la luce di cui il sacerdote è circonfuso, e l'oscurità che avvolge il vecchio re; il diverso atteggiamento tenuto da Samuele nei confronti di David (sul cui capo sparge l’unguento) e nei confronti di Saul (a cui viene strappata la corona).
La tensione oppositiva tra Saul e David si manifesta in una diversa connotazione linguistica dei due: se le battute del primo sono spezzate, aspre, spesso sospese o interrotte a segnalare la difficoltà di ritrovare il filo del pensiero, quelle di David hanno un andamento cantabile e lirico. Sulla partitura versificatoria della tragedia gioca la particolare modalità compositiva da questi adottata. Questi passaggi conferiscono ai versi delle tragedie alfieriane un timbro particolare, mai melodico, dalla forte sonorità e adatto a essere recitato. Anche la punteggiatura contribuisce a realizzare la complessa partitura psicologica dei personaggi: i frequenti puntini di sospensione, le lineette o le virgole, a indicare una pausa o un cambio di registro recitativo. Essa risponde a ragioni di carattere scenico e serve a dare indicazioni anche al regista. I puntini sospensivi indicano una sospensione del pensiero e quindi mettono in pausa anche lo spettatore. La punteggiatura, quindi, contribuisce a dare un andamento più forte e talvolta poco melodioso.
La volontà dell’autore nella materialità del testo: La prima stampa del Saul compare nell'edizione Didot delle tragedie di Alfieri, apparsa a Parigi tra il 1788 e il 1789. Didot era il più importante editore francese dell'epoca: si tratta dunque di un'edizione assai affidabile. Alfieri intervenne dopo la stampa stralciando alcune pagine per sostituirle con "cartolini" (ben 96) riportanti correzioni e varianti di parole o intere frasi di cui non era soddisfatto. Il poeta ritornava spesso sui propri testi: anche l'edizione a stampa posseduta da Alfieri riporta alcune varianti autografe. Del Saul sappiamo che fu ideato il 30 marzo 1782, steso in prosa tra il 2 e l'8 aprile dello stesso anno e verseggiato fra il 3 e il 30 luglio. Fu poi letto dallo stesso Alfieri l'8 aprile 1783 a Roma, presso il circolo dell'Arcadia, suscitando tra gli astanti un notevole entusiasmo.
La circolazione e la fortuna del testo: Il teatro di Alfieri non ha mai goduto di una grande fortuna scenica, sia per il suo linguaggio non pienamente accessibile, sia perché il pubblico moderno pare refrattario al genere tragico. Ciò nonostante, soprattutto il Saul, è stata cavallo di battaglia per molti attori. Tra questi Gustavo Modena, uno dei più celebri attori dell'Ottocento. Altra importante interpretazione fu quella di Gian Maria Volontè nel 900. Il testo di Alfieri, da subito uno dei suoi maggiori successi, contribuì a rinnovare l'interesse verso la vicenda del re d'Israele, che fornì l'ispirazione a diversi melodrammi. Col testo di Alfieri si confrontò anche lo scrittore francese André Gide, che fornì una propria versione della vicenda di Saul.