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Una studentessa si sfoga:
Mancano davvero pochi giorni al termine dell’anno scolastico, il secondo in stile covid dopo l’arrivo dell’emergenza sanitaria. La vita scolastica non si è di certo fermata ma ha continuato la sua corsa, seppur con qualche ostacolo, in modalità telematica, dando la possibilità a docenti e studenti di ritrovarsi in stanze virtuali per continuare il programma scolastico.
La felicità dell’ultimo mese data dal rientro tra i banchi di scuola con compagni e docenti è subito passata in secondo piano per la quantità di interrogazioni e compiti in classe programmati, anche per l’ultima settimana di scuola. Ecco la sfogo di una studentessa arrivatoci in direct.

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Lo sfogo di una studentessa: troppi compiti e troppe interrogazione

Si studia per apprendere o per ricevere un buon voto? I docenti insegnano per trasmettere conoscenze o per il gusto della penna rossa? Ruota attorno a questi due quesiti lo sfogo inviatoci da una studentessa iscritta al terzo anno di un liceo scientifico italiano. È indubbio che la fine dell’anno scolastico richiami all’appello anche i docenti ma - soprattutto in tempi di covid - non bisogna far passare l’apprendimento in secondo piano per dare priorità al voto. In un lungo sfogo arrivatoci in direct su Instagram, la studentessa ci ha raccontato una ricostruzione della sua esperienza in didattica a distanza e in didattica digitale integrata tra lo schermo del pc e il banco di scuola. I suoi docenti hanno sempre fatto lezione, in qualsiasi modalità si trovassero, eppure in queste ultime settimane di scuola, nessuno ha smesso di esaminare e valutare gli apprendimenti. Per la studentessa nessuno ha tenuto conto del repentino e drastico cambio di rotta portato dall’emergenza sanitaria: non solo l’introduzione della didattica a distanza in sé, ma anche la mancanza di socialità, la nostalgia delle quattro mura scolastiche, il desiderio di spensieratezza, proprio della vita da studenti. Lo sfogo si conclude con un’importante riflessione circa i pilastri fondamenti della Scuola: la studentessa si chiede: “Perché nessuno si preoccupa mai di capire se veramente abbiamo compreso un argomento?”. E ancora: “Che gusto si prova a mettere a più di metà classe un’insufficienza?”.

Ecco il testo integrale dello sfogo.

Vorrei esporre una questione, ormai sotto gli occhi dell’intera nazione, secondo la mia esperienza. Si tratta dei numerosi compiti e delle numerose interrogazioni fissati una volta tornati in presenza, dopo mesi di DDI, didattica digitale integrata. Da quando siamo tornati a distanza, dopo quel mese scarso svoltosi in presenza, abbiamo svolto le lezioni regolarmente sei ore su sei, dal lunedì al venerdì. Per legge, non si sarebbero potuti fare più di 40 min a lezione, ma ovviamente quasi tutti i miei professori non hanno rispettato questo limite. Ci è mancato di tutto, lo stare insieme con la classe, il rapporto diretto con i professori, il vedere gli amici a ricreazione, ma sicuramente non ci è mancato il tempo, quello anzi ne abbiamo avuto da vendere, considerando il fatto che siamo stati rinchiusi in casa per mesi. Nonostante ciò, come ogni anno, da generazioni, ci siamo ridotti a dover affrontare verifiche ed interrogazioni l’ultima settimana di scuola, quando siamo tutti tremendamente stanchi, quando studiamo per prendere un bel voto, ma il giorno dopo ci scordiamo di tutto, perché la nostra mente ha un limite. Quando rifletto su questo argomento mi sorgono spontaneamente delle domande: ”Perché nessuno si preoccupa mai di capire se veramente abbiamo compreso un argomento?”, “Che gusto si prova a mettere a più di metà classe un’insufficienza?”. Da studentessa so bene quali sono i miei doveri, e non ne vengo a meno, ma voglio semplicemente rivendicare i miei diritti”.

Le alternative allo studio? Ecco quelle più divertenti: