Concetti Chiave
- Il Verismo, influenzato dal Positivismo e dal Naturalismo francese, si sviluppa in Italia per rappresentare con rigore scientifico la realtà sociale, soprattutto quella rurale e meridionale. Giovanni Verga è uno dei principali esponenti di questo movimento letterario.
- Verga adotta la tecnica dell'impersonalità, distanziandosi dal narratore onnisciente per far emergere la voce dei personaggi, spesso appartenenti a classi sociali umili, senza intervenire con giudizi personali.
- La differenza tra Verismo e Naturalismo si evidenzia nella scelta dell'ambiente: il Verismo si concentra sulla realtà rurale italiana, mentre il Naturalismo predilige il contesto urbano e industriale francese.
- La tecnica del discorso indiretto libero è centrale nel Verismo di Verga, utilizzata per fondere la voce del narratore e dei personaggi, immergendo il lettore nei pensieri e nel linguaggio del contesto rappresentato.
- Nonostante le innovazioni introdotte da Verga, le sue opere veriste inizialmente non furono comprese e apprezzate dal pubblico dell'epoca, che preferiva temi più vicini alla borghesia. Tuttavia, il suo contributo è stato riconosciuto successivamente come fondamentale per la letteratura italiana.
Indice
L'Influenza del Positivismo
Intorno alla seconda metà dell’800’ si affermò il Positivismo, una corrente di pensiero di cui fu teorico il filosofo e il sociologo francese Auguste Comte, il quale sostenne che la conoscenza si deve basare esclusivamente sui dati dell’osservazione e della sperimentazione. Egli applicò il metodo sperimentale allo studio della società, aprendo la strada allo studio della sociologia moderna.
I filosofi positivisti ripresero alcuni dei principi cardini dell’Illuminismo, come la fiducia nella scienza e nella tecnica, che avrebbero determinato un costante progresso economico, sociale e culturale.
Il Verismo e la Lingua Italiana
Il Verismo nacque proprio sotto la diretta influenza del clima del positivismo, quell’assoluta fiducia nella scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si sviluppò e prosperò dal 1830 fino alla fine del XIX secolo. Si ispirò ai principi del Naturalismo e anche se si sviluppò a Milano, la città dalla vita culturale più feconda, le opere veriste rappresentarono soprattutto le realtà sociali dell’Italia centrale, meridionale e insulare.
Dal punto di vista socio-linguistico, gli scrittori italiani dell’800’ hanno dovuto creare e, quindi, sperimentare, uno strumento che fosse espressione delle loro proprie necessità letterarie, ritrovandosi ad affrontare una situazione in cui, anche se era avvenuta l’unificazione d’Italia, vi era ancora carenza di una lingua nazionale unificata. Dato il contesto storico, si sentiva il forte bisogno di riuscire a trovare e, successivamente, a diffondere una lingua che avesse un forte senso di unità e che potesse rappresentare, sul piano sociale, un vero strumento di comunicazione.
La linea di ricerca che adottarono i veristi fu quella di partire dai dati linguistici della società di quell’epoca, senza rimanere “incastrati” nelle forme dialettali, ma cercando comunque di dare il giusto colore e sfumature del parlato quotidiano nella lingua letteraria. Luigi Capuana fu colui che sottolineò le difficoltà incontrare per trovare una prosa che fosse viva, efficace ed adatta e che riuscisse a trasporre tutte le sfaccettature del pensiero moderno.
Fu forza decidersi a cercare qualcosa da noi, a tentare, a ritentare; quella prosa moderna, quel dialogo moderno bisognava, insomma, inventarlo di sana pianta. […] E ne abbiamo imbastita una pur che sia, mezza francese, mezza regionale, mezza ‘confusionale’, come tutte le cose messe su in fretta. I futuri vocabolaristi non la citeranno […] ma gli scrittori che verranno dietro a noi ci accenderanno qualche cero, se non per altro, per l’esempio di aver parlato scrivendo.
Il verismo, dunque, rappresentò un movimento vitale in continua evoluzione, senza regole rigide. Per tale motivo, tale movimento fu ben accolto da Verga, permettendogli di sperimentare o, comunque di portare avanti, il lavoro già iniziato dal Manzoni, nell’unire in un’unica lingua letteraria i diversi gruppi sociali, di fatto, annullandone ogni diversità diastratica, e scegliendo, come luogo di sperimentazione linguistica, proprio la Sicilia.
Il Naturalismo e Zola
Anche la letteratura, attraverso il Naturalismo, risentì dell’atmosfera positivista.
Le prime attestazione del termine Naturalismo si trovano nel latino cinquecentesco naturalismus, ma è tra il Sei e il Settecento che il termine cominciò ad esser usato, in inglese e in francese, come sinonimo di materialismo e, più precisamente, di “dottrina filosofica per cui non esiste realtà al di fuori della natura”. Nell’Ottocento la parola naturalismo venne adoperata dagli studiosi per designare la tendenza letteraria che mira ad una esatta, scientifica, oggettiva rappresentazione della realtà.
I primi romanzi che si possono considerare a pieno titolo naturalisti sono “Germini Lacerteux” (1865) dei fratelli Edmond e Joules de Goncourt, che tratta la storia di una donna di servizio rovinata dall’amore per un uomo senza scrupoli; e, soprattutto, “Thérèse Raquin” di Emile Zola (1867), che, invece, è il racconto di una donna che uccide il marito per poter sposare un altro uomo, Laurent. Thérèse e Laurent, oppressi dal rimorso, si suicideranno.
Nella prefazione alla seconda edizione del libro, Zola sottolinea che ciò che gli stava a cuore, scrivendo, non era tanto l’indagine sui “caratteri individuali” quanto lo studio dei “temperamenti”, cioè dell’indole, della natura individuale. Sottolinea il determinismo che governa lo sviluppo degli eventi narrati nel romanzo, un determinismo legato appunto ai “temperamenti” dei personaggi, i quali finiscono per esser “dominati” dalle loro psiche e dalle loro passioni.
Emile Zola risentì molto dell’influenza delle idee di Comte e di Taine e cercò di creare un “romanzo sperimentale”, cioè un romanzo costruito secondo le regole del metodo scientifico. Come uno scienziato, tentò di osservare e di descrivere oggettivamente la realtà che aveva sotto gli occhi (il presente non il passato; la Francia, non i luoghi esotici cari ai romanzieri d’avventura; il proletariato urbano e le classi emarginate come protagonisti di questa realtà), riducendo al minimo gli spazi accordati alla voce e al giudizio dell’autore, narrando insomma nella maniera il più possibile impersonale e aderendo linguisticamente alla realtà rappresentata anche nel lessico, nelle espressioni e nei modi di dire.
Attratto dalle idee di Comte sulla sociologia e sedotto dalle ricerche di Darwin sulla selezione naturale come prodotto dell’ambiente in cui gli animali si trovavano a vivere, nei suoi romanzi Zola presta grande attenzione all’ambiente sociale nei quali i personaggi si muovono e si interessa soprattutto alla vita dei poveri: dagli operai (L’ammazzatoio, 1876) ai lavoratori precari di un grande magazzino (Il paradiso delle signore, 1883), fino alle prostitute d’alto bordo (Nanà, 1880). Il risultato è un affresco della società francese dell’800’ che consta di venti romanzi e costituisce la saga I Rougon-Macquart, dal nome della famiglia che ne è protagonista.
Nel 1880, nel saggio intitolato “Il romanzo sperimentale”, Zola spiega il suo progetto.
“Dal momento che la medicina, che era un’arte, diventa una scienza, perché la letteratura non potrebbe diventare anch’essa una scienza, grazie al metodo sperimentale?”.
L’arte mira a riprodurre la realtà e a indicare, proprio come fanno le scienze esatte, le cause dei comportamenti umani e le leggi che li governano. In questo senso lo scrittore non è molto diverso da un fisico o da un biologo e non a caso il sottotitolo che Zola diede alla saga dei Rougon-Macquart fu “Storia naturale e sociale di una famiglia nel Secondo Impero”.
Tecniche Narrative del Naturalismo
Gli scrittori naturalisti si propongono, quindi, di descrivere la realtà con gli stessi metodi utilizzati nelle scienze naturali. Come gli scienziati positivisti ritenevano che la realtà potesse esser studiata e compresa in ogni suo aspetto, usando il metodo sperimentale, così gli scrittori naturalisti tengono un analogo atteggiamento di studio distaccato verso gli ambienti e i personaggi delle loro opere. Abbandonano, così, la scelta narrativa del narratore onnisciente, tipica del romanzo romantico, e la sostituiscono con una voce narrante che assiste ai fenomeni descritti esattamente come accadono. Se prima lo scrittore interveniva nella vicenda narrata con giudizi e commenti in prima persona, adesso l’autore naturalista rimane distaccato e lascia i fatti stessi della narrazione il compito, per esempio, di denunciare una certa situazione sociale o di evidenziare il degrado e le ingiustizie della società.
Per esser il più possibile fedele alla realtà, l’autore deve, quindi, limitarsi a fotografarla e, infatti, non è casuale l’interesse di molti di questi scrittori per la fotografia.
Altri punti fondamentali del naturalismo francese sono:
• Il rifiuto della letteratura romantica perché basata sulla fantasia e sul sentimento, invece che sull’analisi rigorosa della realtà oggettiva;
• L’affermazione della poetica dell’impersonalità, inaugurata dal romanzo “Madame Bovary” (1857) di Flaubert: l’autore nel rappresentare la realtà deve narrare i fatti in maniera impersonale ed eliminare ogni giudizio personale;
• Il rifiuto dei canoni tradizionali del bello;
• L’impostazione scientifica della narrazione.
Il Naturalismo adotta il romanzo come strumento privilegiato in grado di analizzare in maniera oggettiva e “scientifica” la realtà. Tale genere deve riflettere la realtà sociale e quotidiana della borghesia e del proletariato, filtrata attraverso lo sguardo indagatore e oggettivo dello scrittore.
Accanto al romanzo i naturalisti prediligono anche la novella, cioè un racconto breve che inquadra con precisione una condizione umana, un ambiente sociale.
Per rendere maggiormente realistiche le trame dei loro romanzi e novelle, i naturalisti francesi adottano le seguenti tecniche narrative:
• Descrizioni lunghe e dettagliate di ambienti e personaggi;
• Narratore esterno, che si limita a riferire i fatti che osserva;
• Prevalenza delle sequenze dialogate, per conferire maggior realismo;
• Uso di espressioni dialettali e popolari, così da costruire dialoghi verosimili.
Il Verismo in Italia
Il Verismo nasce dal Naturalismo francese che viene fatto conoscere in Italia da Luigi Capuana, il quale traduce L’assommoir di Zola. Questo fa parte della serie di venti romanzi nota come "I Rougon-Macquart", in cui Zola esplora l'influenza dell'ereditarietà e dell'ambiente sulla vita di una famiglia attraverso diverse generazioni. "L'Assommoir" è il settimo romanzo della serie.
Il romanzo è ambientato nel quartiere operaio di Parigi nel XIX secolo e si concentra sulla vita di Gervaise Macquart, una giovane lavandaia. La storia segue la sua ascesa e la sua caduta, mostrando gli effetti distruttivi dell'alcolismo e della povertà sulla sua vita e sulla sua famiglia. La parola "assommoir" si riferisce a una specie di bottega in cui viene venduta una bevanda alcolica economica e di scarsa qualità, ed è simbolicamente centrale nella narrazione, rappresentando gli svaghi distruttivi e gli impulsi autodistruttivi dei personaggi.
"L'Assommoir" è noto per la sua rappresentazione realistica e cruda della vita dei ceti sociali più bassi nell'ambiente urbano. Il romanzo affronta tematiche come la miseria, le condizioni di lavoro, la disintegrazione familiare e gli effetti nocivi dell'alcolismo. Émile Zola utilizza uno stile naturalista, cercando di dipingere un ritratto accurato e scientifico della società dell'epoca.
Tradotti in italiano e diffusi soprattutto nel contesto milanese, i romanzi di Zola incontrano l’interesse di alcuni narratori convinti dell’esigenza di raccontare le verità del neo nato Regno d’Italia, prima tra tutte la questione meridionale.
Luigi Capuana dà al verismo consistenza teorica, difendendo entusiasticamente le forme francesi ed elaborando la cosiddetta “poetica del vero”.
Giovanni Verga ne realizza i principi attraverso una vasta produzione di romanzi e di novelle incentrate sul mondo rurale, di cui il narratore ne assume il punto di vista, eclissandosi dalla propria opera.
Anche Federico De Roberto, autore del romanzo “I Vicerè”, tende verso l’impersonalità, ma si dedica alle classe superiori, mostrate nella loro meschinità e decadenza morale.
Gli autori veristi cercano di scrivere in modo oggettivo, distanziandosi da toni romantici ed emotivi e adottando un approccio più analitico e scientifico nella rappresentazione della realtà. Il verismo spesso incorpora il determinismo nelle sue opere, suggerendo che il destino dei personaggi è fortemente influenzato dall'ambiente sociale ed economico in cui vivono. Molte opere veriste contengono una critica sociale diretta o indiretta. Gli autori veristi esplorano le disuguaglianze sociali, la corruzione, le ingiustizie e le difficoltà della vita quotidiana.
Se sono evidenti le analogie, naturalismo e verismo presentano, tuttavia, delle differenze importanti. La focalizzazione sull’arretratezza del meridione italiano comporta, innanzitutto, la rappresentazione di un ambiente contadino molto diverso dal proletariato francese. Per cui, mentre nel naturalismo, l’ambiente è quello urbano, nel verismo l’ambiente è quello rurale. Ciò influenza l’ideologia sottostante, improntata ad una tragica rassegnazione. Dunque, se nel naturalismo si ha un idea di progressismo e di speranza di riscatta, nel verismo emerge il pessimismo e il fatalismo. I naturalisti sono convinti di poter contribuire al miglioramento della società, i veristi ritengono, invece, che non ci sia alcuna possibilità di miglioramento (nel capitolo successivo ciò verrà messo in evidenza quando si tratterà del romanzo dei Malavoglia, in cui, i personaggi che cercano di cambiare la loro condizione economica, allontanandosi dal loro luogo di nascita, finiscono per peggiorarla ulteriormente). Infine, il ruolo del narratore è diametralmente opposto: mentre l’impersonalità naturalista si fonda sul distacco dell’osservatore, che, come in un laboratorio, giudica dall’alto i referti sociali, l’immersione verista nel contesto osservato non prevede un punto di vista esterno. Il mondo degli umili e dei vinti sembra prendere direttamente la parola.
Se in Zola il linguaggio del narratore è colto e letterario, mentre quello dei personaggi è comunque quello popolare, in Verga, anche il linguaggio del narratore è popolareggiante, visto che l’autore deve eclissarsi, non potrà, quindi, parlare il linguaggio colto del letterato, ma dovrà adottare il modo di esprimersi del mondo che rappresenta. A tal riguardo è interessante la definizione che la traduttrice italiana Gabriella Alfieri dà al grande autore verista, definendolo, oltre che traduttore della parlata siciliana, anche uno scrittore traduttore di sé stesso.
La voce narrante del naturalismo riproduce il modo di vedere e di esprimersi dell’autore, del borghese colto, e tale voce interviene spesso con giudizi sia espliciti che impliciti. Tra il narratore e i personaggi vi è un distacco netto: il narratore allontanandosi dall’oggetto e guardandolo dall’alto, adotta il punto di vista dello scienziato.
Sia Capuana che Verga rifiutano, invece, la scientificità dell’arte. Nonostante entrambi ammirano ed esaltano le opere zoliane, considerano il ruolo della letteratura diverso rispetto alla concezione naturalistica. La narrazione basata sulla scientificità non deve cadere in un esperimento che dimostri tesi scientifiche, ma bensì deve mostrarsi esclusivamente attraverso il modo di scrivere, solo nella propria forma artistica. Ciò si traduce nella tecnica dell’impersonalità dell’opera.
Per quanto riguarda la produzione letteraria verghiana, ricalcando il modello del critico Petronio, questa può esser divisa essenzialmente in due fasi principali, quella pre-verista, o alla prima maniera e quella verista. Da sottolineare che l’interesse della letteratura italiana del ‘900 era quasi del tutto incentrato sugli scritti di Verga del periodo verista, quando poi, ai tempi dello scrittore, il pubblico apprezzava molto di più la produzione alla prima maniera. Si ricordi, a tal riguardo, il fiasco che ebbero i Malavoglia quando furono pubblicati. La spiegazione di tale cambio di opinione delle opere di Verga si può ricavare dal contesto sociale e culturale dell’800’, già ampiamente esposto nel primo capitolo di questa tesi. Ai tempi di Verga i lettori non erano certo i contadini, protagonisti delle opere del periodo verista, ma la classe della borghesia. Per cui gli scritti di Verga del primo periodo riscuotevano maggior successo in quanto trattavano di temi molto vicini al mondo borghese
Verga portò dell’enormi novità in campo letterario ma i tempi non erano maturi per comprendere ciò. In particolare, e di questo Luigi Capuana, difensore del verismo e amico di Verga, se ne era ben reso conto, i lettori dell’epoca si accontentavano di “manicaretti pepati di rettorica e romanticismo.
Anche i critici letterali di quel tempo espressero dei giudizi negativi sulle opere verghiane veriste. Si riporta, a titolo di esempio, una critica esposta da Massimo Bontempelli, il quale sosteneva che nessuno aveva mai letto i Malavoglia perché nessuno era spinto dalla curiosità nel farlo e molto probabilmente nessuno mai lo leggerà.
Diverse furono le considerazioni degli amici, nonché sostenitori del verismo, di Verga: Luigi Capuana e De Roberto. In particolare, Capuana affermò che se lo scritto dei Malavoglia fosse stato scritto in francese avrebbe reso celebre l’autore in tutta Europa. Erano gli italiani che non si erano accorti di tale capolavoro letterario. In realtà, tale considerazione risultò errata, in quanto, dopo la traduzione dell’opera di Verga in lingua francese, anche in Francia non ebbe alcun successo.
Il cambiamento nella produzione delle opere di Verga non può esser considerato un cambiamento netto, in quanto, già nella fase pre-verista vi era un interesse per la realtà e, dunque per il realismo. A tal riguardo si deve sottolineare che il realismo fu un movimento letterario e artistico che ebbe origine nel XIX secolo, principalmente in Europa, come risposta alle tendenze romantiche dell'epoca. Dal realismo discese poi il naturalismo in Francia e dal naturalismo il verismo in Italia.
Giovanni Verga e il Verismo
Verga è considerato il maggior esponente del verismo.
In Nedda, un bozzetto del 1874, per la prima volta, Verga aveva inserito come protagonisti/personaggi le plebi meridionali, invece degli ambienti borghesi settentrionali, soprattutto quelli di Milano e Firenze. Anche se si allontana con questo raccontino dalle suo opere della prima maniera, i toni sono ancora melodrammatici e non c’è ancora la tecnica dell’impersonalità.
La vera svolta verista di Giovanni Verga si ha con la pubblicazione della novella di Rosso Malpelo.
"Rosso Malpelo" fa parte della raccolta "Vita dei campi", una serie di racconti che descrivono la vita della Sicilia rurale nel XIX secolo. Il racconto fu pubblicato per la prima volta nel 1878 sulla rivista Fanfulla. La storia ruota attorno al personaggio di Malpelo, un ragazzo dai capelli rossi, emarginato e maltrattato dalla comunità. Il racconto affronta temi come la povertà, la discriminazione e le dure condizioni di vita nella società agricola siciliana dell'epoca.
La condizione dei minatori siciliani viene rappresentata in modo crudo ed efficace, non in forma idealizzata, ed il lettore non può far a meno di empatizzare con Rosso Malpelo. La novella offre una rappresentazione realistica della vita nelle miniere di zolfo della Sicilia. Verga cattura dettagliatamente le condizioni di lavoro, le lotte sociali e le difficoltà della vita quotidiana. Come tipico del verismo, include una critica sociale implicita: le difficoltà della vita nelle miniere, le disuguaglianze e la durezza della realtà sono temi centrali che sottolineano le ingiustizie sociali dell'epoca. La novella presenta un'ambientazione dettagliata e accurata, con una descrizione vivida degli ambienti e delle condizioni di vita. Ciò contribuisce a immergere il lettore nella realtà della Sicilia rurale e delle miniere.
In effetti la vera svolta di Verga non consiste nell’aderire alla completa dimensione rappresentativa della realtà, ma nel giungere alla piena consapevolezza che chi scrive lo fa da una determinata visuale, da un determinato angolo, il quale scaturisce dalla mente, e quindi da una scelta intellettuale, e non dagli occhi. Tale visuale non può di certo esser paragonata a quella scientifica naturalista, la quale, invece, ha come ipotesi di base la vicinanza dell’osservatore-scrittore all’oggetto. Secondo Verga, per poter descrivere la realtà così com’è, guardandola comunque da una determinata angolazione (ad esempio dal basso, dallo sguardo dei vinti della società oppure dall’alto, dallo sguardo della borghesia proletaria) è necessario osservarla con gli occhi della mente, allontanandosi, dunque, il più possibile da essa così che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, e il romanzo avrà l’impronta dell’avvenimento reale, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé , fin quando essa non serbi nelle sue forme viventi alcuna impronta della mente in cui germogliò.
Tecniche Narrative di Verga
Già dall’incipit del racconto di Rosso Malpelo si può osservare la tecnica verista della regressione dell’autore:
“Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone”.
Questo rapporto causa-effetto assolutamente non appartiene alla mentalità del lettore medio, che è colto e borghese. L’autore, attraverso l’artificio della regressione, si eclissa (da qui il termine di artificio, in quanto Verga non si auto-elimina, ma scompare, nascondendosi e mimetizzandosi tra i personaggi) e regredisce nella pelle degli appartenenti al gruppo sociale in cui avviene la vicenda. Per cui, Verga racconta la storia di Rosso Malpelo come se a raccontarlo fossero i minatori della miniera o, comunque, gli abitanti di quella zona, rozzi e pieni di pregiudizi e soprattutto dominati dall’unica legge “morale” dell’interesse.
Anche nel racconto della “Lupa” inizia la narrazione attraverso il punto di vista delle donne del paese. Oppure nei Malavoglia, nel momento in cui descrive la tempesta lo fa attraverso dei paragoni che rimandano in maniera diretta all’espressioni e alle esperienze popolari: “come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese”, oppure “il mare si udiva muggire ... che pareva ... i buoi della fiera di S. Alfio”.
Sono moltissimi gli esempi che si possono fare, in quanto l’artificio della regressione viene usato spesso da Verga verista, proprio per far immergere completamente il lettore non solo nel parlato quotidiano degli abitanti del posto, ma anche nelle loro usanze, abitudini, pensieri e credenze.
Il critico Guido Baldi afferma che tale tecnica può esser ancora paragonata a quella naturalista del discorso indiretto libero, ma che è eseguita in uno stile completamente atipico e ciò fa dell’artificio della regressione una tecnica unicamente verghiana.
A tal riguardo è doveroso fare un confronto tra la tecnica del discorso indiretto libero di Verga e quella di Zola. I punti fondamentali del naturalismo e del verismo sono, in modo particolare, l’impersonalità dell’autore e l’oggettività di ciò che si racconta. Per realizzare ciò la tecnica più utilizzata è appunto quella del discorso indiretto libero.
Il discorso indiretto libero è una variante del discorso indiretto che fonde le modalità del discorso diretto e di quello indiretto in una forma ibrida. Il narratore recupera la voce del personaggio ma in terza persona, senza interrompere il testo con un vergo dichiarativo e senza le virgolette.
Tale tecnica era stata già utilizzata in Italia da Manzoni e in Francia da Flaubert, ma coloro che hanno completamente eliminato il distacco tra narratore e personaggi sono stati Emile Zola e Giovanni Verga.
Zola, nell’Assomoir, riesce, però, rispetto a Verga a nascondersi completamente tra le voci dei personaggi ed ad attuare maggiormente tale tecnica, mentre Verga è come se la trasformasse in uno stile. Quando Zola utilizza la tecnica dell’impersonalità, le voci si confondono e il lettore non sa, effettivamente, se a parlare è l’autore o il personaggio, mentre Verga riesce a far parlare solo ed esclusivamente i personaggi, senza introdurre alcun riferimento esterno. Grazie all’indiretto libero, lo scrittore siciliano riesce a far emergere la vera natura dei personaggi di cui vuole raccontare.
Nei Malavoglia si comprende subito se a parlare è la famiglia di Aci Trezza o gli abitanti del paese. Tale passaggio viene messo in evidenza, ad esempio, con un cambio di tempo verbale.
In questo passo, qui di seguito riportato, tratto dai Malavoglia, l’autore passa dall’uso dell’imperfetto (erano false) al presente (hanno un braccio lungo e l’altro corto) e con questo cambio di tempo la narrazione diviene dialogata, facendo immergere completamente il lettore nella vita e nei pensieri delle comari e degli sfaccendati di Acitrezza, che gesticolano e litigano.
“Comprava anche la pesca tutta in una volta, con ribasso, e quando il povero diavolo che l’aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano pagargliela colle sue bilance, le quali erano false come Giuda, dicevano quelli che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l’altro corto, come san Francesco”. (I Malavoglia)
Domande da interrogazione
- Qual è l'influenza del Positivismo sul Verismo e sul Naturalismo?
- Come si differenziano il Verismo italiano e il Naturalismo francese?
- Quali sono le tecniche narrative utilizzate dai veristi italiani?
- Qual è il ruolo di Giovanni Verga nel movimento verista?
- In che modo il Verismo affronta le tematiche sociali?
Il Positivismo, con la sua enfasi sulla scienza e sul metodo sperimentale, ha influenzato sia il Verismo che il Naturalismo. Entrambi i movimenti letterari si basano sull'osservazione oggettiva della realtà, cercando di rappresentarla in modo scientifico e distaccato.
Il Verismo si concentra sull'ambiente rurale e sulla rassegnazione tragica, mentre il Naturalismo si focalizza sull'ambiente urbano e sul progressismo. Inoltre, il Verismo adotta un linguaggio popolareggiante anche per il narratore, mentre il Naturalismo mantiene un linguaggio colto per il narratore.
I veristi italiani, come Giovanni Verga, utilizzano la tecnica dell'impersonalità e della regressione, immergendosi nel contesto sociale dei personaggi e adottando il loro punto di vista e linguaggio, senza interventi esterni del narratore.
Giovanni Verga è considerato il principale esponente del Verismo. Ha introdotto protagonisti delle plebi meridionali e ha utilizzato tecniche narrative innovative come l'impersonalità e la regressione per rappresentare realisticamente la società siciliana.
Il Verismo affronta le tematiche sociali attraverso una rappresentazione oggettiva e cruda delle condizioni di vita delle classi più basse, evidenziando le ingiustizie sociali e l'influenza dell'ambiente sul destino dei personaggi, spesso con un tono di pessimismo e fatalismo.