9' di lettura 9' di lettura
Aminata Sowquasi di nascostoContinua il ciclo di interviste, ormai arrivato al quarto appuntamento, ai giovanissimi autori under 25 che hanno partecipato alla realizzazione dell’antologia di Accento Edizioni, casa editrice giovane anch’essa e con una spiccata attenzione per gli esordienti, ‘Quasi di Nascosto’.
La scrittrice che Skuola.net ha intervista oggi è Aminata Sow, londinese di adozione dove ad oggi vive e frequenta il King’s College, presso il quale studia Critical Theory, mentre al contempo lavora come digital assistant per la rivista di poesia Poetry London, anche se in realtà scrive solo prosa. I suoi racconti, prima di essere inclusi nel progetto di ‘Quasi di Nascosto’, sono apparsi anche sulle riviste Scomodo e Neutopia.

Il tema che ha trattato nell’antologia e non nuovo nei suoi scritti, è quello del razzismo, non in senso stretto, ma in un modo fresco e libero da ogni retorica. Infatti ‘Pelle italiana’, il titolo del suo racconto, parla in realtà di identità, che però non è quella in cui si riconosce la protagonista, bensì di quella fabbricata dall’esterno, carica di aspettative sul suo conto che gli altri proiettano su di lei. Così Raky, si trova "intrappolata" nel ruolo di ragazza forte che ogni giorno lotta contro gli stereotipi razzisti per autodeterminarsi, quando in realtà è "vittima" di una giovane, e nonostante tutto ben intenzionata, fotografa che vuole immortalare una “nuova italianità”. L'autodeterminazione è quindi tematica che sta molto a cuore ad Aminata, che ha raccontato di aver sempre avuto una passione per la letteratura, ma di non aver mai incontrato nel suo percorso scolastico qualcuno che credesse in lei e che l'aiutasse a coltivare questa sua indole, almeno fino all'approdo in università.

Da dove nasce il tuo interesse per la scrittura?
"Sono cresciuta con il naso immerso tra le pagine di Bianca Pitzorno, Astrid Lindgren, Jacqueline Wilson. Un giorno mi è capitato tra le mani un libro di cui ho odiato il finale. Naturalmente ho scritto un epilogo alternativo che, nella mia arroganza di bambina, ritenevo migliore. In quel momento ho scoperto una grande libertà: quella di raccontare la mia visione delle cose, la possibilità di modellare la realtà a mio piacimento.

Da allora mi sono fatta un bagno di umiltà, ma continuo a scrivere storie: non saranno migliori di altre, magari, ma sono le mie. "

Durante gli anni di scuola come andavi in italiano? Hai mai avuto particolari riconoscimenti dai tuoi professori o ti hanno aiutato in qualche modo a coltivare questa tua passione?
"A dir la verità, dico sempre di amare la letteratura nonostante la scuola. Nella mia esperienza, in classe lo spazio per la creatività è scarso, se non nullo. Ho frequentato il liceo classico e in cinque anni le scrittrici sono sempre state relegate al riquadro di approfondimento dei libri di testo, quello “solo da leggere”. Il messaggio che passa è chiaro, la scrittura non è per tuttə. Io non ci ho mai creduto, e per tanto tempo mi sono dedicata a uscire dai margini del canone come atto di ribellione. In quegli anni, avrei voluto avere una figura che mi guidasse tra i libri senza la sacralità reverenziale riservata ai grandi della letteratura. All’università, per fortuna, ho incontrato la scrittura di Carla Lonzi. A quanto pare non ero l’unica a voler sputare su Hegel. "

E’ il primo racconto che scrivi? Prima di approdare ad Accento Edizioni hai scritto altro o pubblicato qualche contenuto online?
"Pelle Italiana non è il primo racconto che scrivo né il primo che pubblico, da qualche anno collaboro – saltuariamente e gratuitamente – per alcune riviste di narrativa. L’uscita di Quasi di Nascosto è stata comunque una prima volta: non avevo mai visto una mia storia sulla carta stampata. Vedere il mio nome in libreria, insieme a quello dellə altrə autorə, è stato emozionante. "

In quest’ultimo periodo c’è un dibattito aperto sul razzismo in questo paese: il modo che però hai scelto tu di trattare questo delicato tema è senza dubbio fresco perché offre un nuovo punto di vista, semplice ma d’impatto e fa interrogare il lettore su atteggiamenti che spesso si reiterano pensando siano normali ma che in realtà non fanno che alimentare stereotipi. Hai avuto dubbi o ripensamenti scrivendo questo racconto legati al fatto che potessero nascere commenti negativi o razzisti nei tuoi confronti?
"Il mio racconto parla di identità, autorappresentazione e autodeterminazione, tre parole interconnesse ma non sovrapponibili. Mi interessava indagare gli spazi tra l’una e l’altra, perché mi chiedo spesso se le persone le distinguano davvero, e a volte mi sembra di no. Non ho avuto dubbi su eventuali reazioni personali nei miei confronti perché, quando scrivo, riesco (finalmente!) a non pensare a me stessa. Mi piace disincastrarmi dalla percezione dellə altrə, è liberatorio. "

Quali consigli daresti ai tuoi coetanei che vogliono iniziare a scrivere o semplicemente che sono intimoriti di esporsi?
"Non credo di essere nella posizione di dare consigli, ma posso condividere quello che mi dà conforto: abbassare le aspettative nei confronti di me stessa. Il racconto perfetto? Non lo scriverò mai. La scrittura è un muscolo e come tale va allenata; posso farne un’abitudine, leggere, ascoltare lə altrə, mettere in discussione ciò che mi viene raccontato. Il resto verrà da sé. Sulla paura di esporsi, cito Lemony Snicket: “do the scary thing first, get scared later”. "

Com’è stato entrare a far parte di un progetto del genere, interfacciarsi con correttori di bozze ed editori a neanche 25 anni?
"La cura e l’attenzione riservate al mio racconto mi hanno sorpresa, così come mi hanno sorpresa gli altri punti di vista raccolti nell’antologia. Credo molto nella dimensione collettiva dei libri; in un certo senso, tutta la letteratura è scritta a più mani. Quasi di nascosto mette a fuoco alcuni degli interrogativi della nostra generazione, e solo noi, persone di neanche 25 anni, potevamo raccontarli."

Come ti vedi tra cinque anni? Vorresti continuare a scrivere?
"Con un libro in mano, spero il mio. E con più capelli. "