
Infatti, nelle pagine a cura di Isabella De Silvestro, si legge di un tema che difficilmente si associa all’interesse dei più giovani, ovvero le carceri e la condizione dei detenuti in Italia. Ne scrive ponendo sé stessa come protagonista, in quanto il racconto è ispirato alle sue personali esperienze con detenuti in qualità di tutor volontario. L'ingresso nell'istituto, oltrepassando le diverse porte blindate che separano gli ospiti della struttura dal mondo esterno, gli scambi di battute con le guardie e poi l'incontro con il suo assistito, di cui si definisce quasi più un'ascoltatrice che una vera insegnante, come invece indica il cartellino appuntato sulla sua giacca, sono tutte azioni descritte meticolosamente per cercare di far entrare anche il lettore all'interno del carcere accanto a lei. Evocativo ed estremamente empatico, il racconto è lo specchio di un'interessante voce della sua generazione che ha rilasciato a noi di Skuola.net un'intervista raccontando le sue esperienze scolastiche, il primo approccio al mondo della scrittura, fino a svelare il suo grande desiderio.
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Da dove nasce il tuo interesse per la scrittura?
"Ricordo che da bambina vedevo mio padre assorto nella lettura del giornale ogni mattina. Lo sfogliava meticoloso mentre beveva il caffè. Mi sembrava che un oggetto in grado di assorbire in quel modo l’attenzione di qualcuno dovesse avere qualità speciali. Leggevo poi molti romanzi e ne ero affascinata come solo i bambini sanno esserlo. La scrittura mi è sempre parsa la forma di espressione più affine a me: a differenza dell’oralità permette di avere tempo tra il pensiero e l’enunciazione, aiuta ad elaborare."
Durante gli anni di scuola come andavi in italiano? Hai mai avuto particolari riconoscimenti dai tuoi professori o ti hanno aiutato in qualche modo a coltivare questa tua passione?
"È capitato che leggessero i miei temi alla classe portandoli come esempi di un lavoro ben riuscito. Per molto tempo questo mi è sembrato un riconoscimento sufficiente che in qualche modo accertava un talento innato. Negli anni ho poi capito che la scrittura, come ogni pratica, richiede molto allenamento. Scrivere bene viene dallo scrivere molto e leggere altrettanto. Oggi mi capita spesso di sentirmi inadeguata quando scrivo: in quell’inadeguatezza sta il vero senso della pratica, credo. Sentirsi sempre un po’ incapaci di trovare le parole giuste e disperatamente dimenarsi finché non le si trova. È faticoso e bellissimo."
È il primo racconto che scrivi? Prima di approdare ad Accento Edizioni hai scritto altro o pubblicato qualche contenuto online?
"Collaboro da qualche anno con riviste e quotidiani. Avevo quindi già pubblicato articoli, reportage, approfondimenti, ma non mi era ancora capitato di pubblicare un racconto. È una sensazione di altro ordine: dà grande libertà. In un racconto, a differenza che in un articolo giornalistico, la narrazione è libera di tradire i fatti, aggiungendo sfumature e dimensioni. Lo consiglierei anche solo come esercizio espressivo."
Il carcere è senza dubbio un tema del quale non si sente spesso parlare, soprattutto da parte di ragazzi giovani. Cosa ti ha spinto a trattare questo argomento così forte e complesso? Sei mai stata in una prigione o vorresti mai visitarne una e perché?
"Frequento il carcere da un paio d’anni perché sono tutor di uno studente ristretto, ovvero di un detenuto che è iscritto all’università ma non ha la possibilità di frequentare le lezioni. Lo aiuto a studiare, gli procuro i libri, mi confronto con lui. Da quest’esperienza è nata un’inchiesta giornalistica sulla vita quotidiana nelle carceri italiane, che ho realizzato per il quotidiano Domani. Il carcere è un luogo straordinario e terribile: sa dire moltissime cose sugli esseri umani. Sentivo il bisogno di esplorarlo in tutte le maniere che avessi a disposizione. La letteratura è certamente la migliore. Aiuta a far pace con le ingiustizie, a dare loro voce e tridimensionalità."
Quali consigli daresti ai tuoi coetanei che vogliono iniziare a scrivere o semplicemente che sono intimoriti di esporsi?
"Il timore è sano e io credo sia bene farne tesoro: usarlo come fosse un interlocutore. Da una parte stai tu, con la tua voglia di scrivere, i tuoi progetti, la consapevolezza di avere del talento, dall’altra parte sta la paura di non avere talento a sufficienza, di non essere originale, di non aver trovato una lingua che ti sia propria. Nel mezzo sta la scrittura, che è appunto un esercizio costante. Bisogna stare tra l’ambizione e la paura in bilico, ascoltando sempre un po’ di più la prima."
Com’è stato entrare a far parte di un progetto del genere, interfacciarsi con correttori di bozze ed editori a neanche 25 anni?
"È stata un’esperienza estremamente arricchente. Eleonora Daniel, la editor di Accento, ha saputo lavorare ai nostri racconti con estrema eleganza e rispetto, aiutandoci a rifinirli al meglio. Un libro, a maggior ragione un’antologia, è un’opera collettiva. Ho imparato ad ascoltare gli altri.
Anche leggere ciò che scrivono i miei coetanei ed entrare nei mondi creati dai loro racconti è stata un’interessante operazione di rispecchiamento."
Come ti vedi tra cinque anni? Vorresti continuare a scrivere?
"Con un romanzo scritto, e spero felice. "
Lucilla Tomassi