
Specialmente tra chi si trova a dover affrontare passaggi chiave della propria vita il rischio di cedere mentalmente è concreto. A tal proposito, i più esposti sembrano i ragazzi tra i 18 e i 24 anni e, in particolare, quelli che affrontano un percorso universitario. I tanti casi di studenti che non reggono la pressione, portati a galla dalla cronaca, lo dimostrano. A fare un excursus della situazione è il Rapporto sulla condizione studentesca 2022 prodotto dal CNSU (Consiglio Nazionale sugli Studenti Universitari).
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La salute mentale dei giovani a rischio durante la pandemia
Perché il quadro è articolato. Vari gli indicatori che mostrano come la questione sia seria e urgente. Ad esempio, i dati raccolti dall’Istituto Piepoli per il Cnop (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) in uno studio dell’ottobre 2021, evidenziano un aumento significativo dei pazienti in terapia in particolare tra le fasce d’età più basse: un +31% fra i minori di 18 anni, che arriva a un +36% tra i 18-24 anni, per poi scendere al +25% tra i 25-34enni. La crescita maggiore, dunque, si ha proprio nella fascia di età più interessata dai percorsi universitari. Sono gli stessi ragazzi a confermarlo.Secondo una ricerca realizzata da Ires Emilia-Romagna e Alta Scuola Spi-Cgil per conto di Spi-Cgil Nazionale, Rete degli Studenti Medi, Unione degli Universitari - attraverso un questionario somministrato a quasi 30.000 studenti prevalentemente tra i 13 e i 23 anni, dei quali circa 9.500 studenti universitari - per nove studenti su dieci (88,2%) negli anni della pandemia si è registrato un aumento degli stati d’animo negativi più intenso di quello degli stati positivi, indicando una importante criticità sul fronte dell’impatto sulla salute mentale (88,6% scuola superiore, 91,3% università). Più nello specifico, ben 1 studente universitario su 3 (31,2%), nel corso della pandemia, si è rivolto a un qualche servizio di supporto psicologico.
Gli universitari in difficoltà non hanno una sponda negli atenei
Tra questi, però, il 60% (15,5% rispetto al campione complessivo) si è rivolto ad un servizio privato, molto meno consistente la quota per i soli universitari di chi si rivolge ai servizi d’ateneo che è solo del 13,8%. Proporzioni, quelle appena descritte, che non sono il frutto della diffidenza verso i servizi pubblici ma di una sostanziale assenza di tali opportunità. Perché, molto spesso, la risposta da parte delle istituzioni di riferimento spesso non è sufficientemente efficace. Solo il 43,9% degli universitari riporta la presenza di un servizio psicologico d'ateneo, il resto dice che tale servizio è assente oppure che non è al corrente della sua esistenza. Evidentemente, anche quando c’è, lo sportello non è sufficientemente pubblicizzato: circa 1 studente universitario su 2 studente dice di non essere consapevole dell’esistenza di un servizio psicologico presso la propria università.
Nelle regioni del Sud la situazione più critica
Interessanti, su quest’ultimo punto, alcune variabili. Maggiore è la consapevolezza dell’esistenza di un servizio psicologico nella propria Università nelle regioni del Nord e Centro, mentre nelle regioni del Sud e nelle Isole la quota di “inconsapevoli” (“non saprei”) aumenta così come cresce sensibilmente anche la quota di chi afferma che tali servizi non sono presenti (15,7% nelle regioni del Sud e 12,7% delle Isole).Inoltre, il livello di consapevolezza sale per gli studenti universitari fuori sede o pendolari - rispetto a chi frequenta nello stesso luogo di residenza - e in rapporto al crescere del livello scolastico e della condizione economica della famiglia di origine. Influisce sul dato anche l’impegno in attività extrascolastiche e la fiducia e la stima verso gli adulti: più ci sono, più si è informati. Infine, tra chi nella pandemia ha vissuto e continua a vivere più forti criticità emotive e di salute mentale, il livello di consapevolezza cresce, soprattutto perché dove più alto è il bisogno più forte è la voce critica per l’assenza di forme di supporto psicologico.
Gli universitari vorrebbero aiuto, ma non lo trovano
Il potenziale della domanda di un servizio psicologico scolastico o universitario, quindi, potrebbe essere decisamente più alto. Perché sono tanti quelli che vorrebbero rivolgersi ad un servizio psicologico ma, al momento, non hanno ancora trovato le condizioni adeguate. Con la conseguenza di accumulare domande d’aiuto non espresse tra la popolazione studentesca. Questa quota è più alta tra gli studenti universitari (31,9%,). Sul campione complessivo, invece, è più alta tra le studentesse (25,2%, a fronte del 16,2% tra gli studenti maschi), nelle regioni del Sud (30,8%) e nelle Isole (28,1%) e per gli studenti fuori sede (32,5%).
Istituire un fondo per il supporto psicologico, una possibile soluzione
Cosa chiedono, allora, gli studenti al netto di una maggiore consapevolezza? Innanzitutto, che il supporto sia accessibile a tutti, sia considerando una apertura continuata degli sportelli anche al termine delle lezioni, sia migliorando la capillarità di accesso. Poi, che questi servizi siano gratuiti.Su questo, il CNSU, propone l’istituzione di un "Fondo per il Supporto Psicologico", fruibile dagli atenei qualora attivino sportelli di supporto psicologico. Accanto a questo, per i membri del Consiglio Nazionale sugli Studenti Universitari, dovrebbe essere previsto un Osservatorio Nazionale sulla Condizione della salute e del benessere psicologico dello studente universitario, promosso dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Ritenendo misure come il “bonus psicologico” solo un palliativo.