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laureati almalaureaLaurearsi con voti migliori in meno tempo? Una missione quasi impossibile che i laureati del 2022 hanno compiuto, nonostante gli ostacoli venutosi a creare a causa della pandemia. Quasi 2 su 3 (il 62,5%, nel 2021 era il 40,7%) sono infatti riusciti a completare il percorso verso il titolo di studio nei tempi previsti dal proprio ordinamento. Senza, quindi, diventare “fuori corso”.

Inoltre, si è abbassata ulteriormente l’età media in cui ci si laurea: lo scorso anno è stata di 25,6 anni (dieci anni fa era di 26,7 anni): più nello specifico, tra i laureati di primo livello l’età media del titolo è di 24,4 anni, per i magistrali a ciclo unico di 27,0, per i magistrali biennali di 27,2. Così come è andato migliorando il voto medio di laurea: nel 2022 ci si è attestati su 104,4 su 110 (nel 2012 era 102,7 su 110): più nel dettaglio, 101,1 fra i laureati di primo livello, 106,0 fra i magistrali a ciclo unico e 108,1 fra i magistrali biennali.

Queste alcune dei passaggi più interessanti, evidenziati dal portale Skuola.net, che scaturiscono dal Rapporto 2023 sul Profilo dei Laureati, elaborato dal Consorzio AlmaLaurea, basandosi sui risultati conseguiti da oltre 281mila laureati del 2022, in 77 atenei d’Italia. L’entusiasmo, però, si spegne osservando il “destino” a cui conducono lauree ottenute in modo così brillante. Perché nel mondo del lavoro, nonostante le apparenze lascino tirare un sospiro di sollievo, la storia è diversa. A dirlo sempre AlmaLaurea, attraverso il Rapporto sulla Condizione occupazionale dei Laureati, che ha coinvolto circa 670mila giovani, analizzandone cosa fanno a uno, tre e cinque anni

I giovani laureati guadagnano sempre meno (causa inflazione)

Perché è vero che nel 2022 è migliorata, rispetto alla fase iniziale della pandemia, la capacità di assorbimento del mercato del lavoro, con elevati tassi di occupazione sia tra i laureati di primo, sia tra quelli di secondo livello: rispettivamente 75,4% e 77,1% a un anno dal conseguimento del titolo (+0,9% e +2,5% sul 2021); 92,1% e 88,7% a cinque anni (+2,5% e +0,2% sul 2021). Ma, per tutti i settori esaminati, le retribuzioni mensili nette sono risultate in calo, specie se valutate in termini reali, cioè tenendo conto di un potere d’acquisto compresso dagli elevati livelli di inflazione, conseguenza della perdurante instabilità geopolitica.

Infatti, nel 2022, lo stipendio mensile netto a un anno dal titolo è stato, in media, pari a 1.332 euro per i laureati di primo livello e a 1.366 euro per i laureati di secondo livello: in termini reali tali valori sono in calo, solo nell’ultimo anno, del 4,1% per i laureati di primo livello e del 5,1% per quelli di secondo livello. E la situazione migliora solo di poco a cinque anni dal titolo: la retribuzione mensile netta è pari a 1.635 euro per i laureati di primo livello e a 1.697 euro per quelli di secondo livello, con una riduzione delle retribuzioni reali rispetto al 2021 del 2,4% e del 3,3%.

Laureati del Sud costretti a migrare, persiste il gender gap sul lavoro

A incidere negativamente sulle performance lavorative dei nostri laureati, poi, intervengono anche le consuete variabili legate al “genere” e alla “geografia”. Sul primo punto, va segnalato che, a parità di condizioni, a un anno dal titolo i laureati maschi hanno l’11,7% di probabilità in più di essere occupati rispetto alle laureate femmine. Inoltre, sempre a parità di condizioni, gli uomini percepiscono in media 70 euro netti in più al mese rispetto alle donne. Sebbene queste ultime restino complessivamente la maggioranza dei laureati (59,7%), diminuiscono però nel passaggio dal primo al secondo livello di studi universitari e, ancora di più, nel passaggio al dottorato, nel quale rappresentano il 49,1%. Forse scoraggiate dall’avvenire che gli si presenta davanti.

L’area geografica di provenienza, invece, in molti casi costringe a un vero e proprio esodo per motivi di lavoro. Questo tipo di mobilità, che coinvolge soprattutto i residenti nel Mezzogiorno (33,3% per i laureati di primo livello e 47,5% per quelli di secondo livello, a un anno dal titolo), risulta in aumento nel 2022, dopo la contrazione dovuta alla pandemia da Covid-19. Questo perché chi risiede al Nord ha molte più probabilità di essere occupato (+32,1%) rispetto a chi risiede nel Meridione. Inoltre, chi si sposta già per motivi di studio durante il periodo universitario ha il 6,0% in più di probabilità di essere occupato rispetto a chi studia nella stessa provincia di residenza, specie se questa è al Sud.

Elemento, questo, che spinge sempre nuovi ragazzi a “emigrare” subito dopo il diploma di maturità: il 18,1% dei laureati del 2022 ha sperimentato un cambio di territorio proprio per motivi di studio. Con un comprensibile picco, in costante aumento, tra gli studenti del Mezzogiorno: il 28,6% dei laureati che ha conseguito il diploma nelle regioni del Sud ha scelto un ateneo di una ripartizione geografica diversa (era il 23,2% nel 2013), con una preferenza verso gli atenei settentrionali. Al Centro il flusso di mobilità è pari al 13,9%, mentre al Nord si ferma al 3,6%.

La laurea ha ancora un valore sul mercato del lavoro?

Alla fine, però, volendo fare una valutazione generale, nel 2022 la maggior parte dei laureati di primo livello (59,3%) e, in numero ancora maggiore, di quelli di secondo livello (68,7%), a un anno dall’uscita dall’università reputa il proprio titolo di studi “molto efficace” o “efficace”. Livelli, questi, però in flessione rispetto all’indagine del 2021: -0,6% tra i laureati di primo livello e -2,6% tra quelli di secondo livello. A cinque anni dal titolo, però, le dinamiche si ribaltano: l’apprezzamento del “valore” della propria laurea sale, rispettivamente, al 67,6% (primo livello) e al 72,7% (secondo livello) e, rispetto all’analoga rilevazione del 2021, i livelli di efficacia risultano in aumento di 1,3 punti percentuali tra gli occupati di primo livello e di 0,6 punti percentuali tra quelli di secondo livello.

Infine, anche rispetto alle tipologie di occupazione che i laureati riescono a trovare, non è tutto da buttare. A un anno dal titolo, aumentano i contratti a tempo indeterminato (+4,6 punti percentuali per i laureati di primo livello e +3,9 punti per quelli di secondo livello, rispetto al 2021), mentre si sono ridotti sia i contratti a tempo determinato (-4,0% e -2,3%) sia le attività in proprio (-0,4% e -1,4%). E anche a cinque anni dal conseguimento del titolo i contratti a tempo indeterminato risultano in aumento, soprattutto tra i laureati di primo livello (+3,7 punti percentuali; +0,5 per quelli di secondo livello) e coinvolgono oltre la metà degli occupati (68,2% tra i laureati di primo livello e 51,1% tra quelli di secondo livello).

Data pubblicazione 12 Giugno 2023, Ore 13:41 Data aggiornamento 12 Giugno 2023, Ore 13:50
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