
L'università si conferma la strada maestra per il post-maturità. Ma non sempre si rivela la scelta giusta. Forse perché, in molti casi, la decisione di continuare gli studi non è tutta farina del sacco degli studenti ma è influenzata da fattori esterni. Due su tutti: il contesto famigliare di provenienza e l'idea che con una laurea in tasca possano aumentare nettamente le prospettive lavorative. Così, di fronte ai primi ostacoli, molti mollano. È questa la sintesi dell'ultimo Rapporto 2020 sulla “Condizione occupazionale e formativa dei diplomati di scuola secondaria di secondo grado”, realizzato da AlmaDiploma e dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, coinvolgendo oltre 88 mila diplomati (circa 47 mila del 2018 e 41 mila del 2016).
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Quasi tutti all'università, ma non sempre è una scelta definitiva
Le dinamiche riscontrate in passato vengono tutte ribadite. L'iscrizione a una facoltà universitaria pare quasi inevitabile: fra i diplomati del 2018, più di 7 su 10 (il 71,7%) hanno affollato i corsi di laurea nell'autunno successivo. Un progetto, quello delle matricole, che si poteva intravedere con largo anticipo: l'87% era infatti già convinto tra i banchi di scuola di voler fare l’università, dichiarandolo apertamente alla vigilia dell'esame di Stato? È però vero che l’8,3% degli studenti ha poi cambiato idea. La quota di chi ha rivisto le proprie scelte è più consistente tra i diplomati professionali (24,4%) e tecnici (13,3%) rispetto ai liceali dove la quota dei ripensamenti è praticamente irrilevante (5,2%); forse perché, le primi due categorie, possono contare su maggiori chance lavorative immediatamente dopo le superiori. Un esempio su tutti: il 18,9% di quanti hanno svolto l’alternanza scuola-lavoro, entro un anno dal diploma, è stato successivamente richiamato dall’azienda in cui ha svolto tale attività, ma tra i diplomati tecnici si arriva al 27,4% e tra i professionali al 32,6%.E, dopo dodici mesi? Il 66,9% è ancora lì: il 51,4% ha optato esclusivamente per lo studio, il 15,5% frequenta l’università lavorando. Il che, però, apre la porta a un altro dei dati salienti emerso dalla ricerca, quello relativo all'abbandono: il 6,6% ha infatti deciso di abbandonare l’università fin dal primo anno, un ulteriore 8,7% ha mantenuto viva l'iscrizione ma ha cambiato ateneo o corso di laurea. Con gli abbandoni che colpiscono i percorsi scolastici apparentemente meno votati agli studi universitari: il tasso di rinunce è del 4,6% tra i liceali, del 10,5% tra i diplomati degli istituti tecnici del 13,1% tra quelli dei professionali; i cambi di ateneo o corso di laurea riguardano il 9,4% dei liceali, l’8,9% dei professionali e il 7,1% dei tecnici.
La pratica non corrisponde alla teoria: è solo colpa dell'orientamento?
Cosa genera tutto questo ripensamento, assolutamente da non trascurare? Il motivo prevalente del cambiamento di corso o ateneo è legato soprattutto a un’insoddisfazione, rispetto alle aspettative iniziali, per le discipline studiate: il 44,0% dichiara che quelle affrontate fino a quel momento non sono risultate interessanti, il 4,4% ha trovato il corso troppo difficile, l’8,1% si dichiara insoddisfatto dell’ateneo scelto. Da leggere in chiave positiva, invece, il dato del 33,5% per il quale il cambiamento di corso o ateneo è legato alla nuova possibilità di accedere al corso di laurea a cui non era riuscito ad accedere in precedenza, dove magari c'era un test d'ingresso. Infine, la restante parte ha scelto di cambiare per motivi personali (4,8%) o per altri motivi (4,3%).Di fronte a queste dinamiche, di solito, si punta il dito soprattutto contro le attività di orientamento che non funzionano a sufficienza e le cui criticità affondano le proprie radici ben prima del diploma. E in parte è vero, basta far tornare i ragazzi indietro con la mente alla terza media: solo il 55,5% dei diplomati del 2018 dichiara che sceglierebbe lo stesso indirizzo/corso nella stessa scuola. Il restante 44,3% compierebbe una scelta diversa: il 24,5% cambierebbe sia scuola sia indirizzo, l’11,7% sceglierebbe lo stesso indirizzo ma in un’altra scuola, l’8,1% sceglierebbe un diverso indirizzo nella stessa scuola. E dopo un anno dal diploma, alla luce delle esperienze fatte, il quadro si modifica leggermente ma l'idea di base rimane quella: la quota di quanti replicherebbero esattamente il percorso scolastico compiuto sale al 59,8% e al 39,9% la percentuale di chi varierebbe la propria scelta. I diplomati meno convinti della scelta compiuta a 14 anni? Quelli degli istituti professionali; tra questi, inoltre, nel corso del primo anno successivo al conseguimento del titolo si acuisce il malcontento rispetto alla scelta compiuta. I diplomati tecnici, e ancora di più i liceali, risultano invece essere tendenzialmente i più appagati.
La famiglia ha un ruolo spesso determinante
Ma ci sono almeno altre due variabili che potrebbero influire sull'abbandono universitario, portando i ragazzi a compiere scelte in parte estranee alla propria volontà. Il primo è il contesto economico: chi ha alle spalle una famiglia agiata è maggiormente spinto verso la strada che conduce alla laurea, con la quota delle matricole che sale al 75,1% (rispetto al 56,7% riscontrato tra i giovani provenienti da famiglie meno agiate).Ancora più determinante, però, è il livello culturale dei genitori: laddove almeno uno tra mamma e papà ha una laurea in tasca, ecco che la quota di iscrizioni all'università sale all'88,2% (tra i giovani i cui genitori sono in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado ci si ferma al 66,5%, tra chi proviene da famiglie dove i genitori non sono diplomati al 51,1%).
La ricerca di un futuro migliore spinge verso la laurea
Un terzo fattore che incide notevolmente sull'iscrizione all'università è la voglia, da parte dei ragazzi, di aprirsi più prospettive possibili per il futuro. Tra chi prosegue gli studi, infatti, la principale motivazione è legata a componenti di natura lavorativa (62,9%): il 44,6% dei diplomati del 2018 intende, così facendo, migliorare le opportunità di trovare una buona occupazione, il 17,6% ritiene che la laurea sia assolutamente necessaria per trovare lavoro. Solo il 35,9% è spinto soprattutto dal desiderio di potenziare la propria formazione culturale. Una trend confermato all’interno di tutti i tipi di diploma: il 49,7% dei diplomati tecnici dichiara di essersi iscritto per migliorare le possibilità di trovare lavoro; è il 43,0% per i liceali e il 36,7% per i professionali. Per i liceali, più di altri, l’iscrizione all’università viene vissuta come una necessità per accedere al mercato del lavoro (21,7%; è pari all’8,2% per i tecnici e al 13,0% per i professionali).Fra i diplomati del 2018 che hanno invece terminato con il diploma la propria formazione, il 27,3% indica, come motivo principale della non prosecuzione, la difficoltà di conciliare studio e lavoro. Un ulteriore 27,3% dichiara invece di non essere interessato a proseguire la formazione, mentre il 14,0% è interessato a un altro tipo di formazione. Infine, il 10,3% lamenta motivi economici. Questa tendenza è confermata fra i diplomati tecnici e professionali, anche se con diversa incidenza, mentre tra i liceali si rileva soprattutto una difficoltà strutturale che ha impedito l’ingresso all’università: il 16,7% non ha proseguito gli studi perché il corso era a numero chiuso e non è rientrato fra gli ammessi (tale quota scende al 6,1% tra i tecnici e al 5,0% tra i professionali).