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riccardo casella quasi di nascostoNapoletano espiantato a Torino, classe ‘99, Riccardo Casella è lo scrittore scelto dalla redazione di Skuola.net per continuare il ciclo di interviste ai giovani emergenti under 25 che hanno preso parte all’antologia ‘Quasi di nascosto’, edita da Accento Edizioni, nuova casa editrice con un occhio di riguardo per gli esordienti, e che con questa raccolta ha provato a indagare i temi e le voci degli scrittori della GenZ. L’unico, tra i suoi 12 colleghi selezionati da Accento, a usare il dialetto all’interno del suo scritto. Insolito quindi nel panorama letterario italiano, soprattutto se si volge lo sguardo agli under 25.

Alla domanda diretta sul perché impostare l’intero racconto in napoletano, Riccardo ha risposto con semplicità “è la lingua delle emozioni forti”, e nonostante il suo scritto si apre in realtà descrivendo una normale serata adolescenziali, ben presto il dialetto diventa sensazioni, emozioni, circostanze paura e adrenalina che per sua stessa ammissione, in italiano non sarebbe riuscito a far passare al lettore se non perdendo più della metà del significato dell'intera vicenda. I dialoghi tra i due protagonisti infatti rendono molto bene gli scambi fatti di poche parole, monosillabi e in qualche caso, semplicemente suoni, che gli adolescenti son ben allenati a rimbalzarsi fra loro. Ma anche i non detto riescono a trovare il modo per arrivare allo spettatore di quella che sembra una scena cinematografica, tanto risulta viva.
Nonostante però la sua innegabile bravura, Riccardo non si sente pronto a dare consigli ai suoi coetanei sul percorso da scegliere per scrivere, e anzi, vorrebbe invece poter parlare con il sé stesso adolescente per suggerirgli: "solo di buttarsi, che tanto agli altri frega molto meno di quello che sembra".

Da dove nasce il tuo interesse per la scrittura?
"Non ricordo il momento preciso in cui è partito tutto. Di sicuro da bambino parlavo un sacco, troppo. Con gli anni poi tutto quel bisogno di buttare fuori parole l’ho trasferito nella scrittura. Mi interessa il lato estetico del linguaggio, il suono, il ritmo delle frasi e l’impatto emotivo che ne scaturisce quando sono messe al posto giusto. In questo senso forse la musica è stata il punto di partenza per invogliarmi a scrivere, da quando ascoltavo di nascosto Mr. Simpatia di Fabri Fibra sull’mp3 di mio fratello maggiore."

Durante gli anni di scuola come andavi in italiano? Hai mai avuto particolari riconoscimenti dai tuoi professori o ti hanno aiutato in qualche modo a coltivare questa tua passione?
"In italiano andavo bene, era l’unica materia per la quale fare compiti in classe non mi metteva ansia. Le insegnanti apprezzavano ma in generale a scuola non si dava troppo spazio alla scrittura creativa, e scrivere un tema non è scrivere un racconto. Forse però è stato meglio così, fosse stato un obbligo non so se mi sarei mai avvicinato alla narrazione."

E’ il primo racconto che scrivi? Prima di approdare ad Accento Edizioni hai scritto altro o pubblicato qualche contenuto online?
"Non è il primo ma uno dei primi. In generale non ho scritto tantissimo prima di iscrivermi a Scuola Holden. In più non mi ero mai posto il problema che quello che scrivevo dovesse avere una forma letteraria compiuta. Ci ho messo un po’ a capire l’importanza di darsi dei paletti prima di mettersi a scrivere, e quanto questo non faccia altro che stimolare la creatività."

Come mai hai scelto di usare il dialetto nel tuo scritto? Cosa vuol dire per te parlare in dialetto e che legame hai con la tua città?
"Il dialetto per me è la lingua delle emozioni forti. Viene fuori quando ti incazzi, quando ti stai divertendo davvero, in generale nelle situazioni dove perdi parte delle tue inibizioni. Questo ovviamente per chi è nato in posti dove il dialetto è ancora in uso. Nel mio racconto i personaggi vivono un’esperienza che gli dà un bello scossone emotivo, parlassero in italiano non verrebbe trasmessa neanche la metà di quella scossa.
Confesso che prima di trasferirmi a Torino non ero particolarmente orgoglioso del mio accento, tantomeno del mio dialetto. Dopo qualche mese la mia prospettiva si è ribaltata. Ho capito che il dialetto fa parte del un bagaglio culturale che ci differenzia dagli altri, così come l’inflessione e tutti quei comportamenti (non solo linguistici) che ci ricordano da dove siamo partiti. È un valore aggiunto, e mi sento quasi ingenuo ad esserci arrivato dopo i vent’anni."

Quali consigli daresti ai tuoi coetanei che vogliono iniziare a scrivere o semplicemente che sono intimoriti di esporsi?
"Non ho consigli da dare a nessuno, non credo di essere nella posizione adatta. Però posso dire che la vergogna è un sentimento che capisco benissimo, e proprio per questo lo odio. La paura di esporsi non ha senso da qualsiasi lato la si guardi, eppure per me c’è stata sempre e continua ad esserci. Potessi parlare col me stesso di qualche anno fa gli direi solo di buttarsi, che tanto agli altri frega molto meno di quello che sembra."

Com’è stato entrare a far parte di un progetto del genere, interfacciarsi con correttori di bozze ed editori a neanche 25 anni?
"Bello, ma è stato così perché Eleonora (la mia editor) sa fare benissimo il suo lavoro. "

Come ti vedi tra cinque anni? Vorresti continuare a scrivere?
"Zero idee su questo. Non sono neanche sicuro che sarò in vita e forse mi va bene così. Però sì, vorrei continuare a scrivere."

Data pubblicazione 31 Maggio 2023, Ore 12:05 Data aggiornamento 31 Maggio 2023, Ore 12:18
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