
Il risultato è sorprendente e sicuramente diverso da tutti gli altri racconti presenti nell’antologia, rendendolo unico nel suo genere e forse unico anche nel panorama editoriale italiano in questo momento. Esperimento quindi ben più che riuscito che l’autrice ammette esser frutto anche dello studio del manuale di “Storia delle Religioni”, testo che si è trovata a fronteggiare di recente e dal quale ha preso spunto per l’idea fulcro del racconto: il mancato riconoscimento del valore del nome e del battesimo, in quanto nell’antichità la mortalità infantile era altissima fino ai 6 o addirittura agli 11 anni di vita. Micol ha poi sviluppato il resto anche grazie ad alcuni spunti e suggestioni che l’avevano accompagnata in questi anni, e che spesso si è ritrovata a buttare giù sui taccuini che l’accompagnano sempre, ovunque vada, per annotare in qualsiasi momento a penna idee e pensieri, come lei stessa ha ammesso nell’intervista esclusiva che ha rilasciato a Skuola.net.
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Da dove nasce il tuo interesse per la scrittura?
"Sono cresciuta ascoltando De André, Bob Dylan e De Gregori – che più che cantautori sono cantastorie - nei viaggi in macchina con mio padre. Credo che siano stati i loro testi a creare fin da subito un immaginario ben preciso nella mia mente. Scrivere è un modo per rivivere quelle sensazioni intime e infantili, credo, partecipando a mio modo a quegli strani racconti musicati, tra la lotta di classe, la parabola biblica e la fiaba."
Durante gli anni di scuola come andavi in italiano? Hai mai avuto particolari riconoscimenti dai tuoi professori o ti hanno aiutato in qualche modo a coltivare questa tua passione?
"Devo ammettere di essere sempre stata la preferita dei professori di italiano. Riconoscevano in me la necessità di esprimermi attraverso la parola scritta. Mi hanno stimolato come potevano, con tracce più elaborate o la lettura di libri complessi. Credo però di averli anche fatti soffrire, con tutte le domande che rivolgevo durante le lezioni!
Ho sempre amato le materie umanistiche, studiarle era semplice per me e credo che siano state proprio la Storia, l’Arte e la Filosofia a far nascere in me una curiosità viscerale per qualsiasi altro ambito affrontato negli anni del liceo. Certo, studiare le materie scientifiche non è stato sempre semplice quanto ragionare su l’”essere” e il “non-essere”, però ho cercato di applicare la stessa energia che riservavo per i temi di Italiano al mondo della Matematica… I risultati sono stati a volte mediocri, a volte del tutto negativi, ma tengo molto alla conoscenza scientifica acquisita negli anni delle scuole superiori."
E’ il primo racconto che scrivi? Prima di approdare ad Accento Edizioni hai scritto altro o pubblicato qualche contenuto online?
"Ho scritto racconti fin dalle elementari, di solito senza portarli a termine, lasciandomi trasportare per breve tempo dall’impeto della creazione e poi rinunciandovi. “Primo” è stata una novità non solo perché ho terminato il racconto, ma anche perché con esso ho finalmente deciso di espormi e partecipare ad un concorso.
In realtà, ho pubblicato anche due articoli grazie alla piccola casa editrice locale “VivereIn”, presso cui una mia parente lavora come editor. Erano entrambi di natura filosofica e cercavano di offrire un punto di vista della mia generazione su domande importanti riguardo alla paura del futuro e alle relazioni con gli adulti.
Non ho mai avuto modo di pubblicare del materiale online, anche se mi piacerebbe cominciare a farlo, con piccoli articoli, racconti e poesie. L’idea sarebbe quella di integrare i testi con delle immagini, dato che attualmente studio Fotografia e amo quel mezzo di espressione quanto la scrittura. Chissà, non appena gli esami mi lasceranno del tempo libero potrei dedicarmi seriamente a questo progetto. "
Il tuo racconto è senza dubbio insolito e parecchio diverso dalle altre voci presenti nella raccolta; da dove è nata l’idea? Qual è stato il modus operandi che ti ha condotto alla creazione di una lingua e quanta è stata la difficoltà che hai trovato nel trovare nuovi suoni, espressioni e parole? Continuerai sulla strada della narrativa fantasy in futuro?
"Quando ci hanno inviato la prima bozza di “Quasi di Nascosto” ho avuto la sensazione che il mio racconto fosse fuori posto, proprio perché il mondo che avevo creato non sembrava essere in linea con le necessità espressive dei miei coetanei. Poi però mi sono convinta del fatto che la mia voce – seppur “insolita” – era comunque quella di un’under-25 che aveva voglia di dire qualcosa e il senso di disagio è andato via.
L’idea è nata una mattina durante lo studio del manuale di “Storia delle Religioni”, in cui una breve didascalia riportava l’esempio di alcune civiltà in cui il tasso di mortalità infantile era abbastanza alto da dissuadere i genitori dal dare un nome ai bambini e battezzarli prima dei 6 o, addirittura, 11 anni. La loro credenza si basava sulla paura e sul dubbio riguardo al “luogo” metafisico da cui le anime dei bambini provenivano prima di “entrare” nei corpi… E in cui poi sembravano decidere di ritornare dopo una morte prematura. Non dare un nome ai piccoli era una maniera, secondo queste culture, per non legare le anime al nostro mondo, rendendo il loro “viaggio di ritorno” più facile. Questo mancato riconoscimento del valore del nome e del battesimo mi ha colpita profondamente – io che fino ai 18 anni sono stata una convinta cattolica per scelta, essendo figlia di due agnostici. Questo tema si è collegato a brandelli di idee e vaghe caratterizzazioni di personaggi che avevo creato in passato. Mi sono subito messa al computer a scrivere precipitosamente il racconto, di getto, rimanendo incollata allo schermo fino a sera. Due giorni dopo ho consegnato la bozza che è stata scelta da Accento.
La lingua inventata è nata sia dalla mia passione per i libri di J. R. R. Tolkien – linguista e inventore della lingua elfica – ma anche dalla mia fascinazione per l’ebraico e per l’arabo a cui mi sono approcciata qualche anno fa.
La narrativa mi appassiona, soprattutto quando porta con sé le tracce delle leggende folkloristiche e dei dialetti locali. Insomma, mi piacciono le storie che conservano tracce di Storia, tracce di vita reale. Credo che continuerò sicuramente a scrivere racconti a tempo perso, ma ho in mente di concentrarmi soprattutto sul giornalismo e sullo scrivere articoli che si possano accompagnare ai miei progetti fotografici."
Quali consigli daresti ai tuoi coetanei che vogliono iniziare a scrivere o semplicemente che sono intimoriti di esporsi?
"Per cominciare a scrivere… Bisogna cominciare a scrivere! Personalmente, adoro portarmi dietro un taccuino e annotare a penna idee e pensieri. Un’altra cosa che aiuta molto è sicuramente l’ascolto, non solo al livello musicale – come ho detto, sono un’amante del cantautorato italiano e americano, che è il genere che più di tutti stimola la curiosità per le storie degli altri – ma anche l’ascolto rivolto verso le persone che ci circondano – dai racconti dei familiari durante i pranzi della Domenica, alle conversazioni degli sconosciuti sull’autobus.
Per me, stimolare la propria creatività è un processo lineare che comincia da uno o più eventi accaduti a me o a qualcun’altro, e procede grazie a dubbi e domande come, “E se invece fosse accaduto in un altro posto?”, “E se fosse successo a qualcun altro?”, “E se avesse cominciato a piovere?”. Appena sento di avere un’idea che sembra avere un capo ed una coda, scrivo il più possibile e ci ritorno giorno dopo giorno per modificarlo a poco a poco. In questa maniera, anche quando non riesco a trovare un finale o smetto di dedicarmici per noia, ho comunque guadagnato un incipit e dei personaggi che potrò utilizzare in futuro, per altri racconti o cortometraggi o piccole strisce a fumetti.
Il coraggio di esporsi viene col tempo e con l’intensificarsi del desiderio di essere visti. Se si vuole far conoscere la propria voce al mondo si deve essere pronti a sfidare se stessi. Vale per la scrittura come per qualsiasi altra cosa nella vita, credo. Se ci lavori a lungo e seriamente, la voglia di mostrare ad altri il frutto della tua fatica e del tuo amore credo sia spontanea. Se sei convinto che ne valga la pena, è meglio prendersi la responsabilità di un rischio piuttosto che di un rimpianto. "
Com’è stato entrare a far parte di un progetto del genere, interfacciarsi con correttori di bozze ed editori a neanche 25 anni?
"Sono sempre stata innamorata del mondo dell’editoria, immaginandolo come un ambito che necessita di ordine, passione e creatività. Un po’ per ansia, un po’ per sentirmi finalmente parte del mondo degli “adulti”, ho fatto del mio meglio per rispettare le scadenze e interfacciarmi all’organizzazione di Accento con la massima professionalità. Ma mentre correggevamo le bozze o mentre parlavo al piccolo pubblico della presentazione del libro alla fiera di Roma, Libri Più Liberi, mi sono trovata nella condizione di dover fingere che la portata dell’esperienza fosse inferiore al suo valore reale per impedire a me stessa di sentirmi non all’altezza. È andata bene, ho scoperto di essere tanto brava a prendermi in giro che ho finito con il sentirmi davvero sicura di me in un ambiente completamente nuovo e “da grandi”. Come dicono nei film americani, “Fake it until you make it”."
Come ti vedi tra cinque anni? Vorresti continuare a scrivere?
"I miei genitori mi hanno sempre spinta a perseguire le mie svariate passioni parlando del futuro come di qualcosa di attuabile ma incerto. La flessibilità per loro è sempre stata più importante del pianificare. Anche le persone che frequento ogni giorno, i miei amici e coetanei, insistono sull’importanza del non avere piani: amo la maniera in cui sembrano prediligere il motto “carpe diem” come fosse lo stendardo della loro libertà giovanile. Li invidio un po’, cerco di imparare da tutti loro a lasciarmi andare alle eventualità della vita… Ma la mia indole un po’ ossessiva vince. Ho quindi un’idea molto precisa di cosa farò tra cinque anni, custodisco gelosamente i miei piani a lungo termine e li amplio di tanto in tanto, facendo in modo che le scelte di ogni giorno puntino nella direzione che mi sono prefissata. Mi vedo viaggiare e continuare a studiare materie come Antropologia e Sociologia, unite al lavoro giornalistico e fotogiornalistico. Ma mi vedo anche unire questi approfondimenti umanistici all’ambito artistico audiovisivo, collaborando con mostre e festival in Europa e all’estero. La mia è in effetti una visione precisa che cerca di rimanere fedele a quella flessibilità insegnatami. Come dicono i miei amici, “Vedremo”."