Concetti Chiave
- Tito Livio, nato a Padova nel 59 a.C. e morto nel 17 d.C., è noto principalmente per la sua opera storica "Annales", conosciuta anche come "Ab Urbe Condita libri".
- La sua opera, composta da 142 libri, narra la storia di Roma dalle origini fino al 9 a.C., sebbene solo una parte sia giunta fino a noi, inclusi i libri che coprono le Guerre Sannitiche e la seconda guerra punica.
- Livio adotta uno stile annalistico, seguendo la tradizione della storiografia latina, basata su narrazioni anno per anno, influenzato da scrittori come Catone il Vecchio e annalisti greci.
- Il suo approccio morale e conservatore emerge nell'opera, dove critica la decadenza dei costumi romani e appoggia posizioni più vicine agli Optimates, ricevendo per questo l'appellativo di "Pompeianus".
- Livio è lodato per lo stile chiaro e fluido della sua scrittura, descritto da Quintiliano come "lactea ubertas", ma criticato da Asinio Pollione per la "patavinitas", o provincialismo padovano.
Tito Livio nasce nel 59 a.C. e muore nel 17 d.C. a Padova. Livio si trasferisce per un lungo periodo della sua vita a Roma per poi ritornare a Padova dove muore. Da queste date comprendiamo che ci troviamo sempre nella provincia, non ricoprì cariche, non fu legato al circolo di Mecenate e non ebbe rapporti di clientela rispetto ad altri personaggi potenti.
Livio scrisse un’opera storica che chiama Annales, composta da 142 libri, che viene ricordata con il nome di Ab Urbe Condita libri, cioè i libri dalla fondazione della città. In questa immensa opera storiografica Livio raccontava la storia di Roma dalle origini, quindi partendo dalla leggenda di Romolo e Remo, arrivando fino al 9 a.C., cioè fino alla morte di Bruto, fratello di Tiberio e figlio adottivo di Augusto; però è possibile che arrivasse anche fino al 9 d.C., cioè fino alla disfatta del generale romano Varo che fu sconfitto nella selva di Teutoburgo dai Germani. Purtroppo di quest’opera immensa ci è giunta solo una parte, ci sono giunti i libri:
• Dal 1 al 10 che raccontano la storia di Roma dalle origini fino al 289 a.C., ovvero fino alle Guerre Sannitiche;
• Dal 21 al 30 che raccontano i fatti della seconda guerra punica;
• Dal 31 al 45 che raccontano le vicende di Roma della sua espansione nel Mediterraneo orientale, ovvero fino al 167 a.C., quindi le guerre di Siria e di Macedonia.
Ad ogni modo, di tutta l’opera liviana ci sono rimasti dei compendi (riassunti) chiamati Periochae.
Dal titolo Annalessi comprende che si tratta di un’opera storiografica basata sullo schema annalistico, cioè su una narrazione anno per anno, che si rifà all’antica tradizione dei pontefici di scrivere sulla Tabula dealbata (tavola bianca) tutti gli avvenimenti, le vicende, i magistrati dell’anno ecc. per poi affiliarla. Quindi la storiografia latina spesso è annalistica perché si rifà agli Annales pontificum, che erano la raccolta di tutti i resoconti schematici dei pontefici, quindi sistema/schema annalistico.
Livio non ritiene di essere in un’epoca fortunata, in una nuova età dell’oro, ma vi è in lui una impronta fortemente pessimistica. Livio è convinto di una decadenza rispetto all’epoca antica e vede il principato come una condizione necessaria, ma non degna di suscitare entusiasmo; di conseguenza non condivide l’entusiasmo di altri intellettuali, scrittori che ritenevano che grazie ad Augusto fosse ritornata una sorta di nuova età dell’oro.
Livio si basa per la composizione della sua opera sugli antichi scrittori di Roma, ad esempio Catone il Vecchio, o sui vecchi annalisti in lingua greca, del II secolo a.C., come Fabio Pittore e Cincio Alimento, questo perché la storiografia latina nasce in lingua greca, e si basa anche sullo studio delle antiche tradizioni e dei miti, in quanto la leggenda è presente nella sua opera.
In Livio percepiamo il rimpianto per i tempi antichi, per un passato in cui gli uomini grazie alle loro virtù avevano operato per il bene dello Stato e di Roma, e questi uomini virtuosi, retti, hanno reso grande Roma. Erano uomini capaci di sacrificarsi per la patria e non agivano per la brama di potere o di denaro, ma operavano generosamente e nobilmente, in un'epoca in cui vigevano ancora le antiche virtù del popolo romano, ovvero il coraggio, la parsimonia, il pudore, l’onestà e la semplicità dei costumi. Situazione diversa rispetto alla decadenza che inizia, secondo Livio, e già come per Sallustio, con le progressive conquiste che portarono in Roma grandi ricchezze, di conseguenza lusso, e quindi decadenza, corruzione, crisi morale e lotte civili dovute alla brama di potere.
La prospettiva di Livio nell’analisi dei fatti storici è di tipo moralistico, cioè si sofferma sui mores, sulla decadenza dei costumi morali, che per altro è tipico della storiografia latina, ad esempio anche Sallustio individua la causa della decadenza di Roma nella crisi morale.
Livio distingue fra storia e leggenda, quindi ha un’attendibilità storica, perché fa riferimenti che sono riscontrabili concretamente e rispecchiano dati reali, invece altre volte risulta più fantasioso e non sempre veritiero e qualche volta accade che sia tendenzioso, cioè presenti la realtà e i fatti in base alla sua prospettiva politica, ad esempio demonizza in maniera troppo radicale il nemico, nel caso, per esempio, di Annibale, invece altre volte demonizza il nemico politico, nel senso che dipinge in maniera negativa i plebei, questo perché i plebei sono coloro che appartengono allo schieramento dei Populares. Per tale ragione Livio appare chiaramente essere orientato verso posizioni piuttosto conservatrici, quindi è più favorevole agli Optimates. Questo era abbastanza evidente, tanto che veniva definito, per le sue simpatie repubblicane, Pompeianus dallo stesso Augusto.
Livio è uno scrittore che ha particolare cura dello stile. Per lui la storia è opus oratorium maxime, cioè la storia è soprattutto opera oratoria, quindi l’aspetto letterario della storiografia risulta particolarmente rilevante. Questo perché la concezione di Livio è che la storia abbia uno scopo celebrativo ed educativo. Livio celebra Roma, che è la grande protagonista della sua opera e la grandezza di Roma è stata creata da grandi uomini dotati di virtutes. Le virtù di questi uomini sono le virtù dei maiores (mos maiorum), in questo Livio si rivela in linea con l’ideologia e la propaganda augustea, in quanto Augusto cercava di restaurare gli antichi costumi, ma invano. Vi è anche in Livio un intento educativo, cioè l’idea di una storia magistra vitae, ovvero la storia come maestra.
Lo stile di Livio fu lodato per la sua chiarezza e limpidezza da Quintiliano, il quale lo definisce attraverso l’espressione lactea ubertas, cioè ricchezza lattea, fluida, quindi a indicare uno stile ampio, ma fluido senza alterità, uno stile in cui i periodi scorrono in maniera fluida, scorrevole, chiara e limpida.
A Livio veniva rimproverata una certa patavinitas da Asinio Pollione e questo “provincialismo padovano” non sappiamo se consisteva in elementi linguistici, ovvero forme espressive prese da Padova, quindi una sorta di tratti dialettali, o se invece alludesse ad un aspetto più ideologico, cioè al conservatorismo di Livio, proprio degli ambienti di provincia.
Domande da interrogazione
- Qual è l'opera principale di Tito Livio e di cosa tratta?
- Qual è la visione di Livio riguardo al principato e all'epoca in cui viveva?
- Su quali fonti si basa Livio per la sua opera storica?
- Come viene descritto lo stile di scrittura di Livio?
- Quali critiche sono state mosse a Livio riguardo al suo stile e alle sue posizioni?
L'opera principale di Tito Livio è "Ab Urbe Condita libri", una vasta opera storica composta da 142 libri che narra la storia di Roma dalle sue origini fino al 9 a.C. o forse fino al 9 d.C.
Livio aveva una visione pessimistica del principato, considerandolo necessario ma non entusiasmante, e non condivideva l'idea di una nuova età dell'oro sotto Augusto.
Livio si basa sugli antichi scrittori di Roma, come Catone il Vecchio, e sugli annalisti greci del II secolo a.C., come Fabio Pittore e Cincio Alimento, oltre a studiare le antiche tradizioni e miti.
Lo stile di Livio è lodato per la sua chiarezza e fluidità, descritto da Quintiliano come "lactea ubertas", indicando uno stile ampio e scorrevole.
Livio è stato criticato per una certa "patavinitas" da Asinio Pollione, riferendosi forse a elementi linguistici dialettali o al suo conservatorismo ideologico.