giada.rossi
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Concetti Chiave

  • Kierkegaard critica l'idealismo per la sua incapacità di cogliere la realtà concreta dell'esistenza, ponendo l'individuo al centro della sua filosofia, in contrasto con i sistemi filosofici razionali.
  • La sua concezione esistenzialista enfatizza l'importanza del singolo e della possibilità, contrapposta al pensiero oggettivo e sistematico che cerca di spiegare tutto attraverso categorie universali.
  • Kierkegaard distingue tra tre stadi dell'esistenza: estetico, etico e religioso, con il salto nella fede come unica via per superare la disperazione e l'irrisolvibile contraddizione dell'esistenza.
  • L'angoscia è vista come una condizione essenziale per l'individuo, derivante dalla possibilità di peccato e dalla libertà, spingendo verso una scelta esistenziale irrimediabile, il salto nella fede.
  • La fede è presentata come un paradosso e un salto qualitativo oltre l'etica, dove il singolo si pone in un rapporto diretto con Dio, al di sopra del generale, contrastando la concezione hegeliana di realizzazione nell'universale.

・venir meno dell’ottimismo e della fiducia nella razionalità propri dell’idealismo

・ critica alla filosofia-sistema e l’attenzione verso l’individuo ➛ precursore dell’esistenzialismo.

・E’ in aperto contrasto con la gerarchia ecclesiastica e con la religione istituzionale.

Precursore dell’esistenzialismo ➛ propone un recupero del piano dell’esistenza sia come affermazione del singolo come unica realtà sia come categoria, cioè come concetto in base al quale pensare e interpretare la realtà stessa.

Indice

  1. La realtà del singolo
  2. Kierkegaard e la filosofia soggettiva
  3. Il pensiero soggettivo e oggettivo
  4. La scelta esistenziale
  5. Singolarità e possibilità
  6. Lo stadio estetico
  7. Lo stadio etico
  8. La disperazione e la fede
  9. Il salto nella fede
  10. L'angoscia e la libertà
  11. Il peccato e la libertà
  12. La disperazione e l'io
  13. Il rapporto con Dio
  14. Il cristianesimo e l'individualità
  15. Lo scandalo del cristianesimo
  16. Critica alla chiesa e al cristianesimo

La realtà del singolo

La realtà del singolo non può essere spiegata dai concetti della filosofia sistematica ed è irriducibile alle sue astrazioni. Il singolo è dunque la categoria fondamentale per una filosofia che si occupa dell’esistenza concreta e non del pensiero astratto.

Kierkegaard e la filosofia soggettiva

Kierkegaard non è un pensatore sistematico; la sua filosofia è una ricerca interiore paragonabile a quella agostiniana. ⤏ postilla conclusiva non scientifica ⤏ contro Hegel perchè la scientificità che vi viene negata è quella del suo sistema filosofico. ↳ pretendeva di dare un senso a tutto

‘’ nello sviluppo storico tutto è razionale, e ogni uomo, in quanto parte dello spirito universale, ne condivide l’immortalità. Se al suo interno, invece, ritagliamo una singola esistenza, la assumiamo come categoria interpretativa della realtà. Tutto cambia, le contraddizioni restano irrisolte’’

L’idealismo spiega l’individuo semplicemente non considerandolo in quanto tale. Il singolo è ricompreso in un sistema che ne garantisce l’universalità e l’eternità: non come singolo, ma come elemento del sistema. Come individuo la prospettiva resta quella del tempo dell’esistenza. L’idealismo garantisce l’immortalità al singolo sottraendolo all’esistenza concreta.

L’astrazione scansa le difficoltà trascurandole, per poi vantarsi di spiegare tutto. Impiega l’immortalità in generale in quanto l’immortalità diventa identica con l’eternità.

Il limite dell’Idealismo è quello di ogni razionalismo, cioè l’incapacità di cogliere la realtà della vita concreta, l’esistenza, poiché il singolo non può essere dedotto dall’universale, il singolo non coincide con il concetto. Sul piano dell’esistenza la conoscenza è sempre oggettiva. I due piani, quello della logica e del sistema non possono che rimanere rigidamente separati: l’uno non riesce a spiegare l’altro.

Il pensiero soggettivo e oggettivo

Totale mutamento di prospettiva: al pensiero oggettivo viene contrapposto il pensiero soggettivo, cioè quello che parte dall’esistente e che ha come unico scopo la spiegazione del singolo. Se lo scenario dell’idealismo è la totalità, quello dell’individuo è il tempo e il divenire.

il pensatore soggettivo è impiegato nell’esistenza; introduce il pensiero astratto in essa. Il pensiero deve perciò confrontarsi con i diversi casi e con la pluralità delle situazioni.

es. diamo una definizione di fede, ma se la consideriamo come fede vissuta, la riflessione diventa inesauribile.

La diversità tra i due tipi di pensiero:

⤍ pensiero oggettivo: supera la contraddizione nella sintesi

⤍ pensiero soggettivo: la contraddizione fra realtà parziali non si risolve, ma impone una scelta tra alternative inconciliabili.

La scelta esistenziale

Se la storia è regolata dalla necessità, la singola esistenza si muove nell’ambito della categoria della possibilità, che implica, per il singolo, una scelta pratica e non teoretica, cioè una scelta che riguarda la propria vita. ➽ Irreversibile (poiché il tempo del singolo è lineare e finito), e determina ciò che l’individuo sarà.

↳ scelta tra possibilità che si escludono a vicenda, senza mediazioni possibili, come un aut-aut.

Singolarità e possibilità

La concezione di Kierkegaard richiede di ridefinire le categorie stesse mediante cui l’esistenza può essere pensata. Le categorie del pensiero soggettivo sono il singolo e la possibilità. Ogni oggetto della filosofia che venga pensato cambia rispetto al modo in cui era concepito nel pensiero oggettivo.

Singolarità e possibilità sono categorie dell’esistenza, non possono essere applicate alla propria alla propria vita dall’esterno ma solo dall’interno.

Ottica agostiniana ⤏ ricerca interiore come analisi di sè. Se le dinamiche del mondo si individuano dall’esterno, quelle soggettive presuppongono l’analisi della propria esistenza: la singolarità può essere compresa solo divenendo un singolo.

Individuo ⤏ considerato come singolo ⤏ trova alternative diverse riconducibili a 2 modelli esistenziali descritti in aut-aut: sono considerati stati dell’esistenza, cioè modi d’essere che permangono per tutta la vita dell’individuo, o anche stadi, cioè momenti sucessivi nella vita del singolo.: estetico - etico- religioso ( ha una collocazione speciale )

I primi due sono autocontraddittori e implicano un proprio superamento. La dialettica di cui parla Kierkegaard è diversa da Hegel perché non raggiunge una sintesi, ma si esprime nella forma dell’antitesi radicale, dell’aut-aut, dove le differenze qualitative restano senza essere superate.

Victor Eremita trova due pacchi di carte, diversi all’apparenza e anche nel contenuto, che chiamerà -carte A- che contiene scritti di estetica su vari argomenti e -carte B- che comprende due saggi di argomento etico, e oltre alle lettere indirizzate ad A, un Ultimatum in cui si afferma che di fronte a Dio l’uomo ha sempre torto.

Lo stadio estetico

Dalle carte A emerge la caratterizzazione dell’esteta, impersonato da molteplici figure come Don Giovanni. I diversi personaggi rappresentano altrettanti stili di interpretazione della vita estetica, che è essa stessa infinita possibilità. L’esteta è colui che non sceglie, che lascia vivere rifiutando di assumere ruoli o responsabilità sociali, che passa di esperienza in esperienza senza mai definirsi come identità stabile. Così non si costruisce come persona, vive nell’istante e perciò rimane privo della continuità che è la base dell’autoidentificazione.

Lo stadio estetico non si esprime come individualità: In quanto legata al godimento estetico che si ripete in infinite varianti, l’attività di Don Giovanni può essere espressa soltanto dalla musica.

Prima del medioevo la sensualità di Don Giovanni non si era mai manifestata nella storia. Essa si presenta infatti come seduzione. Il seduttore non ha continuità, per questo non ha neppure una individualità, di conseguenza la seduzione resta il solo modo in cui l’esteta riesce ad affermare il proprio essere. L’esteta si disperde nelle cose e nelle esperienze, manca di personalità, di un Io inteso come punto di riferimento continuativo della propria esperienza.

Lo stadio etico

Lo stadio etico nelle carte B descrivono solo un personaggio, il giudice Wilhelm. Lo stadio etico è una possibilità esistenziale che si contraddistingue per la sua fissità, per l’assunzione di ruoli che realizzano in modo univoco l’individuo. Vivere eticamente significa essere cittadini, padri, assumere e far propri tutti quei compiti e quelle responsabilità che fanno di noi un preciso tassello della struttura sociale con una propria identità.

Chi vive eticamente sceglie la propria vita e in questo modo definisce se stesso, affermando la propria identità, costruisce un identità e una durata. La vita etica ha una durata, perché in virtù della scelta ha istituito la personalità.

Tuttavia anche lo stadio etico è contraddittorio. L’individuo si costituisce in quanto essere sociale. L’emergere della personalità conduce al riconoscimento di se, che è in pari tempo riconoscimento di fronte a Dio e quindi consapevolezza della propria natura limitata. Questa presa di coscienza porta all’esperienza inevitabilmente connessa allo stadio etico: il pentimento. L’uomo etico che si conosce, si sente inadeguato difronte a Dio, non può accettarsi, ma in quanto autocosciente non può rifiutarsi.

La disperazione e la fede

L’uomo è composto da anima e corpo, elementi divergenti mediati dallo spirito, che è riflessione e consapevolezza di sé. Quando l’individuo raggiunge la consapevolezza di se, la contraddizione connaturata in lui, invece di essere risolta, diviene contraddizione cosciente: l’individuo si sa finito, ma aspira all’infinito. Egli può accettarsi ma in quanto essere limitato, non può realizzarsi; oppure può rifiutarsi, entrando così in conflitto con la sua stessa essenza.

La contraddizione resta irrisolta e genera la disperazione.

L’esistenza è dunque contraddizione irrisolta e irrisolvibile, perché in essa l'individuo o rinuncia a costruire il proprio io come fa l'esteta e quindi finisce per non essere o si riconosce come persona, o come avviene nella vita etica ed entra in contrasto insanabile con se stesso. La contraddizione non può essere risolta ma può essere superata. Il superamento può venire solo con un salto qualitativo, la fede. La dimensione religiosa è ineliminabile e deve essere assunta come originaria.

Il salto nella fede

La fede, intesa come paradosso, e la rottura con l’etica, sono simboleggiate dalla figura di Abramo, che riceve l’ordine da Dio di sacrificare suo figlio. La vicenda è incomprensibile al di fuori della fede, perchè con il sacrificio del figlio egli viola ogni norma etica, si pone al di fuori di questa. E il porsi al di fuori dell’etica è la fede. Nell’etica l’individuo è subordinato al generale e trova in esso il proprio fine, nella fede invece il singolo è al di sopra del generale. Se così non fosse, la fede non sarebbe nulla di diverso rispetto all’etica e dunque sarebbe sempre esistita, anche prima della rivelazione. Se la fede coincidesse con il perseguire il bene allora Abramo sarebbe perduto perché con il suo gesto è andato contro ogni legge morale. La sua scelta è derivata dal rapporto con Dio come persona. In questo modo nel rapporto diretto con Dio il singolo si pone al di sopra del generale.

La concezione hegeliana suggeriva l'esatto contrario: l'individuo si realizza nella misura in cui si riconosce nel generale, identificandosi nell'eticità come spirito oggettivo. L'individuo viene ricondotto al generale, ma scompare come individuo singolo.

La fede implica un’uscita dall’etica. ⤑ Ma come si spiega il salto nella fede? ⤑ L’esigenza per l’uomo di compiere questo salto viene ricondotta all’angoscia ⤑ deriva dalla possibilità del peccato, non è propria della natura umana.

Importanza della possibilità come categoria ⤑ impone una scelta irreversibile (aut-aut) perché determina il nostro stesso essere.

Dobbiamo proiettare queste caratteristiche della possibilità non nella prospettiva di un tempo determinato ma nell’eternità ⤑ cambia radicalmente di significato:

➮ se non crediamo ⤑ possibilità del nulla eterno

➮ se crediamo ⤑ vita eterna o dannazione

L'angoscia e la libertà

L’angoscia fa parte dell’uomo, da quando acquista coscienza di sé. E’ la premessa per il salto nella fede, perché pone l’uomo di fronte a se stesso, alla consapevolezza della propria infinita libertà. L’angoscia è completa responsabilità del proprio destino, che si manifesta con l’aprirsi delle infinite possibilità, tra cui anche quella del peccato. Ogni scelta è irreversibile: l’individuo è solo davanti alle proprie scelte, è responsabile della propria determinazione, ma è anche insufficiente a se stesso, soprattutto quando diventa cosciente che le scelte possono dipendere il proprio destino nell’eternità.

Il peccato e la libertà

L’angoscia è preparazione alla fede e deriva dal peccato: analizzando il peccato originale e le sue conseguenze. Prima che il peccato entri nel mondo, l’uomo vive in uno stato di innocenza: egli non è peccatore perché non può scegliere, ma dato che non può scegliere non è libero e quindi non è individuo. E’ anima e corpo ma non spirito.

Il divieto divino da all’uomo la possibilità di scegliere di infrangerlo; questa libertà suscita l’autoconsapevolezza ⤑ l’uomo si riconosce come individuo capace di scegliere. La possibilità di peccare è essenziale perché l’uomo diventi spirito, ma al tempo stesso espone all’eventualità della colpa e della dannazione.

Per questo l’uomo è un essere paradossale: in quanto può peccare è preda dell’angoscia. Descrive questo stato d’animo paragonandolo alla vertigine: l’angoscia è la vertigine che ci prende guardando un abisso, di cui non si vedono i limiti, così come non si vedono le conseguenze della libertà.

Dalla libertà deriva lo spirito, inteso sia come autocoscienza e sia come sintesi di anima e corpo. Nel momento del peccato originale l’uomo prende coscienza non solo di sé, ma anche del proprio essere ⤑ sessualità.

Lo spirito è la nascita dell’autocoscienza, coscienza dei propri istinti, del peccato ⤑ positivo ⤑ sennò non esisterebbe l’uomo ma un animale inconsapevole o un angelo.

Lo spirito sorge con la possibilità. ⤑ La possibilità del peccato è indispensabile per diventare individui. E una contraddizione che non si può sciogliere, genera angoscia e apre l’individuo alla possibilità della fede. L’angoscia deriva dal prendere coscienza della possibilità ⤑ quindi anche la possibilità di peccare e di separarsi dall’eterno, prelude all’affermazione dello spirito ⤑ individualità

La disperazione e l'io

Il primo momento della coscienza di se produce la disperazione. ⤑ stato esistenziale insito nella natura umana. La fede occupa un ruolo centrale e viene indicata come unica via d’uscita dalla contraddizione irrisolta che è l’esistenza del singolo. Infatti il singolo è eterno, ma non è eterno di per sè , ma solo in rapporto a Dio. Senza la fede l’eternità nel singolo diventa un paradosso e lo getta nella disperazione, è qualcosa di fronte a cui l’individuo si avverte come inadeguato. Un io immortale e al tempo stesso peccatore non può che vivere il proprio peccato come una morte, non è liberazione, ma è proiezione della morte stessa nell’eternità, è un morire in eterno.

La disperazione non è malattia mortale per il fatto che conduce alla morte, sennò la morte sarebbe la fine della malattia e quasi una liberazione. La disperazione, che sorge dal rapporto del singolo con se stesso è piuttosto vivere la morte dell’io.

La metafora del moribondo che vive un’eterna agonia descrive questo stato di coscienza.

L’assenza della speranza di poter morire è l’impossibilità di andare oltre l’io. La disperazione è voler essere autosufficienti, ma sapere di non poterlo essere. L’unica soluzione è accettare la disperazione stessa come autosufficienza per sentire la propria dipendenza da Dio. ⟿ la disperazione è positiva perché lascia una sola via d’uscita, la fede.

L’uomo è sintesi di anima e corpo e raggiungendo l’autocoscienza diviene spirito, cioè io. L’individuo non è automaticamente un io, lo diventa come risultato di un processo mediante il quale determina se stesso. Se questo processo non si compie, l’individuo è disperato in quanto non sa di avere un io ⤑ disperazione impropria, poiché manca l’oggetto della stessa, cioè l’io.

Quando l’individuo percorre il processo per costruirsi come io consapevole di se, allora diventa consapevole di essere limitato, peccatore. ⤑ davanti a due possibilità:

➮ rifiutarsi di essere ciò che è e desiderare di essere diverso ‘ disperazione di non voler essere se stessi’ ⤑ non può essere possibile sul piano dell’esistenza

➮ può accettarsi, ma in quanto limitato non può realizzarsi ‘disperazione di voler essere se stessi’.

In entrambi i casi l’uomo è disperato, e la disperazione deriva dal fatto che, raggiungendo la coscienza di sè, l’individuo raggiunge anche la consapevolezza di Dio.

Il rapporto con Dio

Se si pone di fronte a Dio, l’uomo potenzia il proprio io. Il confronto potenzia però anche la drammaticità dei propri limiti, e quindi la propria disperazione.

Il cristianesimo e l'individualità

Rapportarsi a Dio potenzia la consapevolezza di sé, ma anche quella del proprio peccato. La disperazione che ne segue può essere accettata solo con il salto nella fede. Il peccato aveva reso incolmabile la distanza tra l’uomo e Dio. Il salto nella fede è l’incontro sul piano esistenziale con Cristo. La religione ha senso solo come scelta sul piano esistenziale e personale, anzi è condizione per la costruzione stessa dell’individualità. La fede però non può essere giustificata ne dalla ragione ne dalla logica. Essa è un salto mortale, una scelta che l’uomo fa per superare la disperazione, una scelta motivata dal fatto che la fede è avvertita come una risposta alle proprie contraddizioni.

Lo scandalo del cristianesimo

Analisi dello scandalo come categoria: concetto in base al quale ordinare e interpretare l’esperienza. Lo scandalo del cristianesimo consiste nell’unione di Dio mediante l’incarnazione con ogni singolo individuo. L’accettazione del cristianesimo e l’incarnazione significa far entrare Dio nella vita di ognuno, costringendolo a pensare la sua intera esistenza in termini nuovi.

Il cristianesimo non offre risposte già pronte per i nostri problemi esistenziali, ma consente di affrontarli.

Kierkegaard critica Socrate perché la verità viene comunque da Dio e non da noi, senza questo sforzo interiore per riscoprire in noi il messaggio cristiano non è possibile trovare in esso le risposte. Soltanto mediante questa riscoperta possiamo trovare in noi la via d’uscita dalla disperazione.

Critica alla chiesa e al cristianesimo

Critica la chiesa trionfante e il cristianesimo come abitudine. Il cristianesimo è piuttosto un’esperienza esistenziale profonda che coinvolge la totalità dell’individuo.

Domande da interrogazione

  1. Qual è la critica principale di Kierkegaard all'idealismo?
  2. Kierkegaard critica l'idealismo per la sua incapacità di cogliere la realtà della vita concreta e dell'esistenza individuale, poiché l'idealismo tende a spiegare l'individuo come parte di un sistema universale, trascurando la singolarità e l'esperienza concreta del singolo.

  3. Come Kierkegaard definisce il pensiero soggettivo rispetto a quello oggettivo?
  4. Kierkegaard contrappone il pensiero soggettivo, che parte dall'esistenza concreta del singolo e si concentra sulla spiegazione dell'individuo, al pensiero oggettivo, che cerca di superare le contraddizioni nella sintesi e si occupa della totalità.

  5. Qual è il ruolo della fede nella filosofia di Kierkegaard?
  6. La fede è vista come un salto qualitativo necessario per superare la disperazione e le contraddizioni dell'esistenza. È un'esperienza personale che permette all'individuo di rapportarsi direttamente con Dio, al di sopra delle norme etiche generali.

  7. In che modo Kierkegaard descrive l'angoscia e il suo significato?
  8. L'angoscia è descritta come una vertigine che deriva dalla consapevolezza della propria libertà e delle infinite possibilità, inclusa quella del peccato. È una condizione che prepara l'individuo al salto nella fede, mettendolo di fronte alla responsabilità del proprio destino.

  9. Qual è la critica di Kierkegaard al cristianesimo istituzionale?
  10. Kierkegaard critica il cristianesimo istituzionale e la chiesa trionfante, sostenendo che il cristianesimo dovrebbe essere un'esperienza esistenziale profonda che coinvolge l'intera individualità, piuttosto che una semplice abitudine o un insieme di risposte preconfezionate.

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