Concetti Chiave
- Hegel considera l'arte greca come un'arte classica, caratterizzata dall'armonia tra ideale e contenuto, un equilibrio perfetto tra spirituale e sensibile.
- La scultura greca viene vista da Hegel come la massima rappresentazione di questa armonia, mentre il Cristianesimo rompe tale equilibrio spostando il focus verso un Dio trascendente.
- Nietzsche, invece, identifica la tragedia attica come la vera espressione dell'arte greca, in contrasto con l'idea di bellezza e misura di Platone e Aristotele.
- Critica Rousseau e il mito dell'uomo incontaminato, sostenendo che la natura umana è dominata da violenza e sopraffazione, piuttosto che da un'idilliaca innocenza.
- Secondo Nietzsche, l'uomo greco è ingenuo e spontaneo, ma qualsiasi tentativo di imitare questo stato risulterebbe artificiale e nostalgico.
Indice
L'arte greca e il classicismo
L’arte greca per eccellenza è stata la scultura umana, ciò ha portato a pensare che il mondo greco avesse molto più di altri il senso della misura, da cui l’idea tipica del Classicismo che il Bello sia misura, armonia.
Il passaggio al cristianesimo
Da ciò l’interpretazione hegeliana della scultura come realizzazione dell'armonicità, dell’accordo tra ideale (spirituale, forma) e contenuto (sensibile): il sensibile viene spiritualizzato e lo spirituale viene sensibilizzato (a differenza dell’arte simbolica, prodotta da civiltà incapaci di rappresentare lo spirituale che percepivano, in Grecia l’arte ha raggiunto una rappresentazione adeguata dello spirituale: questo perché vigeva una concezione religiosa dell’arte, una religione artistica e soprattutto una concezione limitata del divino, capace di instaurare il giusto rapporto tra forma e contenuto, tale per cui il divino poteva essere rappresentato); è con l’avvento del Cristianesimo che si rompe l’armonia appartenente al modello dell’uomo armonico e conciliato, che la “statua va in mille pezzi” (Hegel); “sono trascorsi i bei giorni dell'arte greca”, quando l’arte era espressione del Vero, dell’idea, dello Spirito, ma non le belle opere. Nel passaggio dalla Grecia alla cristianità, quello che è successo non riguarda, secondo Hegel, alcuni soggetti in particolare (il singolo), ma tutta l’Umanità; da una religione particolare (o è solidale alla polis, oppure le è indifferente: la religione non diviene un principio dirompente della polis, un modello che viene a scardinarne la struttura→le statue non hanno la pupilla, mancano di interiorità, di antropomorfismo; la religione ha una linea politica, in quanto gli dèi erano anche gli dèi della polis: ogni città aveva i suoi dèi) si passa ad una religione universale (il cui messaggio non è rivolto al singolo, ma a tutti; il Dio cristiano è trascendente, un modello assoluto che l’uomo può cercare di imitare, di amare in Spirito e Verità); con l’arte romantica, che non è l’arte del Romanticismo ma l’arte cristiana, subentra il principio dirompente di un Dio che afferma la sua superiorità assoluta rispetto all'uomo.
Nietzsche e la vera Grecia
Nietzsche, d’altro canto, sostiene che la vera Grecia non è quella di Platone, Aristotele, in cui regna l’armonica uguaglianza di Bello e misura, ma quella dell’uomo tragico, che ha trovato espressione nella Tragedia attica; la sua polemica è rivolta anche contro Rousseau, cioè contro il suo mito dell’uomo incontaminato, sebbene egli stesso sottolinei come l’esistenza di un tale uomo, di uno stato di natura non sia stata mai accertata. Secondo Nietzsche, quello che Rousseau chiama stato di natura non è mai esistito, in quanto ciò che definiamo “natura umana” è frutto di violenza e di sopraffazione (“Non sono molto più di una bestia, che ha imparato a danzare a forza di botte e di magri bocconi”: l’uomo è un animale che è stato addestrato alla morale così come si addestrano gli animali).
Il mito politico-culturale
Queste opposte interpretazioni condividono l’idea secondo cui questo mito politico-culturale cerca di risolvere i problemi dell’uomo attraverso l’arte (diversamente dalle altre civiltà→tecniche di astinenza, di mortificazione, etc.). L’uomo greco è ingenuo e spontaneo, ma senza saperlo, mentre se si cerca di riprendere, di imitare il mito culturale appartenutogli, quella ingenuità diverrebbe un artificio, per cui all'ingenuo verrebbe contrapposto il sentimentale, cioè il nostalgico, che nasce dalla scelta dell’armonia perduta, da un artificio (critica al Classicismo).
L'infelicità e l'infinito
L’infelicità (la coscienza infelice) nasce dalla consapevolezza della propria mutevolezza cui si accompagna il desiderio di qualcosa di immutabile, di infinito che, però, è ormai irraggiungibile: è strutturalmente infelice perché sa che non può in nessun modo conciliarsi con l’Infinito (con quell'universalità che ha trovato espressione nel diritto romano e nell'idea di civis, retta da diritti universali puramente formali; in Grecia, invece, l’universalità non c’era, in quanto il cittadino rispondeva alle strutture politiche della propria polis).
Domande da interrogazione
- Qual è la concezione di Hegel sull'arte greca?
- Come Nietzsche interpreta la Grecia rispetto a Hegel?
- Qual è la differenza tra l'arte greca e l'arte cristiana secondo Hegel?
- Cosa critica Nietzsche nel Classicismo?
- Come si manifesta l'infelicità secondo Nietzsche?
Hegel vede l'arte greca come "arte classica", caratterizzata dall'armonia tra ideale e contenuto, dove il sensibile è spiritualizzato e lo spirituale è sensibilizzato, rappresentando adeguatamente lo spirituale.
Nietzsche considera la vera Grecia quella dell'uomo tragico espressa nella Tragedia attica, in contrasto con l'armonia e la misura di Platone e Aristotele, criticando il mito dell'uomo incontaminato di Rousseau.
L'arte greca rappresenta l'armonia tra forma e contenuto, mentre l'arte cristiana introduce un Dio trascendente che afferma la sua superiorità assoluta, rompendo l'armonia dell'arte greca.
Nietzsche critica il Classicismo per la sua ricerca di armonia perduta, considerandola un artificio che contrappone l'ingenuo al sentimentale, derivante dalla nostalgia per un'armonia ormai irraggiungibile.
L'infelicità nasce dalla consapevolezza della mutevolezza umana e dal desiderio di qualcosa di immutabile e infinito, che è irraggiungibile, portando a una coscienza strutturalmente infelice.