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Concetti Chiave

  • Epicuro, fondatore dell'epicureismo, promuove la filosofia del "giardino", mirata alla ricerca della tranquillità spirituale, contrapposta ad altre scuole filosofiche dell'epoca.
  • La "Lettera a Meneceo" di Epicuro discute la felicità come un obiettivo universale e senza età, enfatizzando la necessità di comprendere i piaceri e i desideri umani.
  • Epicuro sostiene che la felicità si raggiunge eliminando la paura degli dei e della morte, promuovendo la ricerca di piaceri semplici e il superamento delle ansie.
  • La filosofia epicurea classifica i desideri in naturali e vani, e distingue i piaceri in cinetici e catastematici, valutando le azioni in base al benessere fisico e spirituale.
  • Epicuro propone il "tetrafarmaco" per eliminare le paure: non temere gli dei, la morte, affrontare i mali con facilità e riconoscere la semplicità dei bisogni per una vita serena.
In questo appunto di Filosofia Antica si presenta brevemente il pensiero di Epicuro, affrontando nel dettaglio la sua concezione di felicità e di desiderio, proposta mediante l'analisi e la comprensione del suo scritto “Lettera a Meneceo”.
Epicuro e la sua filosofia: felicità, desiderio e dottrine fondamentali articolo

Indice

  1. Epicuro: brevi cenni biografici e spiegazione del suo pensiero filosofico
  2. Epicuro: Lettera a Meneceo o Lettera sulla felicità
  3. Analisi dell’epistola Lettera a Meneceo

Epicuro: brevi cenni biografici e spiegazione del suo pensiero filosofico

Epicuro

, il cui nome in greco antico significa "compagno" "alleato", è stato un filosofo, fondatore di una delle più grandi scuole di pensiero dell’età ellenistica, cioè l’epicureismo.

Epicuro nacque a Samo nel 341 a.C. e morì ad Atene nel 270 a.C. Epicuro fu uno dei discepoli sia di Panfilo, seguace del pensiero Platonico che di Nausifane, seguace del pensiero democriteo. All’età di 32 anni Epicuro arrivò ad elaborare la propria dottrina filosofica, e sulla base di questa fondò la sua scuola di filosofia, prima a Mitilene, poi a Lampasco ed infine ad Atene, presso la sua casa, che avendo un giardino si prestava bene come luogo di lezione. Alle lezioni della scuola di Epicuro partecipavano molti discepoli, fra cui anche donne e schiavi, i quali erano trattati al pari degli altri. Proprio per l’ubicazione della scuola, la filosofia epicurea viene detta “filosofia del giardino”. Il carattere rivoluzionario della scuola filosofica fondata da Epicuro si mise ben presto in contrasto con le altre dottrine filosofiche presenti in Grecia in quel periodo; infatti, le scuole filosofiche apertamente in conflitto con l’epicureismo risultavano essere le dottrine socratiche, platoniche, aristoteliche e la scuola stoica, che in quel periodo iniziava ad espandersi nell’universo filosofico ellenico. Infine, all’età di 72 anni Epicuro morì a causa dei calcoli renali. Rispetto alla filosofia, Epicuro si avvicina alla filosofia e allo studio dell'uomo, poiché convinto che l'uomo vivesse una vita triste, costituita da desideri inespressi e falsi scopi, per cui lo studio sarebbe servito per sollevare il suo animo e comprendersi più a fondo. Basando quindi il fine della sua filosofia nella ricerca della tranquillità dello spirito, Epicuro fonda il suo intero pensiero su tre dogmi:

  • il Sensismo, principio secondo cui le sensazioni costituiscono il criterio per riconoscere sia il bene che la verità;
  • l’Atomismo, principio secondo cui Epicuro spiega il concetto di mutamento delle cose attraverso le unioni e le disgregazioni degli atomi;
  • il Semi-Ateismo, principio secondo cui Epicuro era convinto dell’esistenza degli Dei, ma diversamente dal pensiero dell’epoca era convinto che questi non interferissero nelle vicende umane.

Di seguito un elenco delle maggiori opere di Epicuro, molte delle quali risultano ormai perdute:

  • Della Natura
  • Epistolario: Lettera ad Erodoto e Lettera a Meneceo
  • Su scelte e cose da evitare
  • Dichiarazioni
  • Antidoro
  • Sulla regalità
  • Sui tipi di vita
  • Contro Democrito
  • Problemi
  • Sui doni e la gratitudine
  • Sul destino
  • Grande Epitome
  • Piccola Epitome
  • Temista
  • Contro Teofrasto
  • Sugli Dei
  • Sul criterio, o il canone
  • Metrodoro
  • Sulla Santità
  • Teorie sulle passioni, contro Timocrate
  • Sulla ricchezza
  • Sulla retorica
  • Dottrina degli elementi
  • Simposio
  • Sul fine
  • Timocrate
  • Massime capitali

Epicuro: Lettera a Meneceo o Lettera sulla felicità

Lettera a Meneceo, conosciuta anche come Lettera sulla felicità, rappresenta lo scritto più famoso del filosofo. La lettera, scritta sotto forma di epistola, affronta in maniera chiara tutti i maggiori temi della filosofia epicurea, ovvero la ricerca della felicità, la paura della morte, e la concezione di piacere. Di seguito si riporta il contenuto della lettera:
Meneceo,
Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.
Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità.
Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dèi siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità.
Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la porta dell' Ade.
Se è così convinto perché non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta se è veramente il suo desiderio. Invece se lo dice così per dire fa meglio a cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile.
I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un'esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno.
Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza , perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
Chi suscita più ammirazione di colui che ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d'uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode.
Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell'atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali.
Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali.

Epicuro e la sua filosofia: felicità, desiderio e dottrine fondamentali articolo

Analisi dell’epistola Lettera a Meneceo

Dal testo dell’epistola si evince chiaramente che il destinatario sia Meneceo, di lui tuttavia non si sa molto, e si ritiene che fosse un amico o un discepolo di Epicuro. Il suo nome richiama quello di un eroe greco. Rispetto invece al contenuto filosofico della lettera sono quattro sono le massime proposte dal filosofo:

  • Non bisogna temere gli dèi: gli dèi esistono e abitano gli intermundia, lo spazio tra i due mondi reali. Per questo non possono, essendo lontani, agire sul mondo degli uomini tramite punizioni o benefici;
  • La morte è nulla per noi: non bisogna temere la morte perché quando noi siamo, lei non c'è, quando noi non siamo, lei c'è. Dunque, perché preoccuparsi della sua esistenza?
  • Il bene è facile a procurarsi;
  • Facile è sopportare il male: se affligge per un breve periodo, è facile da sopportare, se affligge per un periodo più lungo, è un male più piccolo e dunque sempre facile da sopportare.

Secondo Epicuro la felicità coincide con l’atarassia, ossia l’assenza di dolore fisico e di turbamento spirituale. Il filosofo ritiene inoltre che il saggio debba attuare i principi del tetrafarmaco che permettono di eliminare le paure che angosciano l’uomo e quindi di raggiungere l’atarassia. Epicuro indica le ragioni per non temere gli dèi, la morte, il dolore e per conseguire quel piacere naturale e necessario alla natura dell’uomo: innanzitutto l’uomo non deve avere paura degli dèi poiché essi esistono ma sono disinteressati al mondo umano e non deve avere paura della morte perchè essa non può provocare dolore. Per stabilire poi quali sono dolori e quali piaceri, Epicuro classifica i desideri, solo tramite i quali è possibile decidere quale azione intraprendere e perseguire le sue quattro massime e una vita beata: alcuni sono naturali, altri vani. Di quelli naturali alcuni sono necessari e altri solamente naturali. Di quelli necessari alcuni sono necessari alla felicità, altri al benessere del corpo e altri ancora alla vita stessa. Ogni piacere è perciò un bene, ma non tutti i piaceri sono da scegliere, bisogna valutare i loro vantaggi e i loro svantaggi, armandosi di prudenza e conoscendoli: alcuni sono mobili (cinetici) ossia rispondono a un bisogno fisiologico; invece, quelli catastematici sono piaceri stabili, che nascono dall'assenza di dolore.
Per ulteriori approfondimenti su Epicuro vedi anche qui

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato del nome di Epicuro e quale scuola di pensiero ha fondato?
  2. Il nome di Epicuro in greco antico significa "compagno" o "alleato". Ha fondato l'epicureismo, una delle più grandi scuole di pensiero dell'età ellenistica.

  3. Quali sono i tre dogmi fondamentali del pensiero di Epicuro?
  4. I tre dogmi fondamentali del pensiero di Epicuro sono il Sensismo, l'Atomismo e il Semi-Ateismo.

  5. Qual è il tema principale della "Lettera a Meneceo"?
  6. Il tema principale della "Lettera a Meneceo" è la ricerca della felicità, affrontando anche la paura della morte e la concezione del piacere.

  7. Cosa significa atarassia secondo Epicuro?
  8. Secondo Epicuro, l'atarassia è l'assenza di dolore fisico e di turbamento spirituale, coincidente con la felicità.

  9. Come Epicuro classifica i desideri e perché è importante?
  10. Epicuro classifica i desideri in naturali e vani, e tra i naturali distingue quelli necessari e quelli solo naturali. Questa classificazione è importante per decidere quali azioni intraprendere per perseguire una vita beata.

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