Concetti Chiave
- La Corte costituzionale ha chiarito che il comitato promotore non può sollevare conflitti di attribuzione post-referendum, ma il legislatore deve rispettare i vincoli derivanti dall'esito referendario.
- Il legislatore può intervenire nella materia oggetto di referendum, ma non può ripristinare formalmente o sostanzialmente la normativa abrogata dalla volontà popolare.
- La sentenza n. 199 del 2012 ha dichiarato incostituzionale una norma che riproduceva la disciplina abrogata, ribadendo il divieto di reintroduzione della normativa cancellata.
- La Corte vuole impedire che l'esito referendario venga vanificato senza mutamenti significativi nel contesto politico o fattuale.
- La Corte costituzionale si riserva il ruolo di arbitro tra democrazia diretta e decisioni parlamentari, evitando schemi rigidi.
Indice
La legittimazione del comitato promotore
La Corte costituzionale ha escluso la legittimazione del comitato promotore a sollevare conflitto di attribuzione in merito al «seguito» legislativo dell’abrogazione popolare (essendo la sua funzione esaurita con la celebrazione del referendum), ma ha anche sottolineato che «la normativa successivamente emanata dal legislatore è pur sempre soggetta all’ordinario sindacato di legittimità costituzionale», e in particolare al controllo della Corte sul rispetto dei vincoli derivanti dall’esito referendario (ord. 9/1997). È vero infatti che il legislatore «conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum»: esso incontra però un limite nel «divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare» (sentt. 32 e 33/1993).
Il limite del legislatore post-referendum
A tale limite si è richiamata la sentenza n. 199 del 2012 con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 75 Cost., dell’art. 4 del decreto legge 138/2011. Questa disposizione, che era stata impugnata da alcune regioni adducendo una pretesa lesione delle proprie competenze, riproduceva sostanzialmente, con limitate modifiche, la disciplina oggetto della consultazione referendaria del 2011 sui servizi pubblici locali (il cosiddetto referendum sull’acqua, vinto dal «sì» con il 95,3%). Come nell’ipotesi di trasferimento del quesito prima dello svolgimento del referendum, si trattava di una nuova disciplina della materia che non aveva modificato né «principi ispiratori» né «contenuti normativi essenziali» di quella preesistente.
Il controllo della Corte costituzionale
Esercitando questo controllo si vuole impedire che l’esito della consultazione «venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile, senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto». Nel caso di specie, ha aggiunto la Corte, non si era verificato «nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata», anche «tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa» (23 giorni).
Il ruolo della Corte costituzionale
La Corte costituzionale rifiuta schemi rigidi e predefiniti e si riserva una delicatissima funzione di arbitrato fra le istanze della democrazia diretta e le scelte del legislatore parlamentare.
Domande da interrogazione
- Qual è il ruolo della Corte costituzionale riguardo ai vincoli derivanti dall'abrogazione referendaria?
- Cosa ha determinato la sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale?
- Qual è l'approccio della Corte costituzionale nei confronti delle decisioni legislative post-referendum?
La Corte costituzionale esercita un controllo di legittimità costituzionale sulla normativa successivamente emanata dal legislatore, assicurandosi che non venga ripristinata formalmente o sostanzialmente la normativa abrogata dalla volontà popolare.
La sentenza n. 199 del 2012 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto legge 138/2011, poiché riproduceva sostanzialmente la disciplina oggetto del referendum del 2011 sui servizi pubblici locali, violando l'art. 75 della Costituzione.
La Corte costituzionale rifiuta schemi rigidi e predefiniti, riservandosi una funzione di arbitrato tra le istanze della democrazia diretta e le scelte del legislatore parlamentare, per evitare che l'esito referendario venga vanificato senza giustificazioni adeguate.