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Concetti Chiave

  • Il Decadentismo è un movimento culturale che si oppone al Positivismo, rifiutando la realtà oggettiva e la scienza come fonte di conoscenza, e preferendo esplorare il misterioso e l'enigmatico attraverso stati irrazionali.
  • La poetica del Decadentismo si concentra sull'estetismo, dove il bello è il regolatore della vita, e il linguaggio poetico diventa suggestivo ed evocativo, perdendo il suo valore comunicativo e rendendo le poesie quasi incomprensibili per chi non può accedere al mistero.
  • Il Decadentismo e il Romanticismo condividono il rifiuto della realtà e una fuga verso l'altrove, ma mentre il Romanticismo è guidato dall'entusiasmo, il Decadentismo è caratterizzato da stanchezza e smarrimento, con una poetica che esalta il frammento e la poesia pura.
  • Le forme letterarie decadenti, ispirate da Baudelaire e i poeti simbolisti come Verlaine, Rimbaud e Mallarmé, si distaccano dall'intreccio e dall'oggettività per privilegiare l'analisi interiore, l'estetismo, e l'irrazionale, influenzando autori come D'Annunzio e Pascoli.
  • Giovanni Pascoli, influenzato dal Decadentismo, è noto per una poesia che esplora l'ignoto e il mistero attraverso simbolismi e allusioni, mantenendo una visione di fratellanza e accontentandosi del poco, in contrasto con l'immagine del poeta "maledetto".

Indice

  1. Origini del decadentismo
  2. Caratteristiche del decadentismo
  3. Estetismo e linguaggio poetico
  4. Tecniche espressive e influenze
  5. Tipologie di artisti decadenti
  6. Decadentismo e romanticismo
  7. Influenze sociali e culturali
  8. Conflitti sociali e intellettuali
  9. Opere e autori decadenti
  10. Charles Baudelaire e la sua opera
  11. I fiori del male
  12. Simbolismo e poeti simbolisti
  13. Evoluzione del romanzo decadente
  14. Oscar Wilde e l'estetismo
  15. Gabriele D'Annunzio e il superuomo
  16. Opere di D'Annunzio
  17. Giovanni Pascoli e il fanciullino
  18. Temi e visione di Pascoli
  19. Poesia pascoliana e innovazioni
  20. Myricae e altre raccolte
  21. Poemetti e temi pascoliani
  22. Canti di Castelvecchio e poemi conviviali
  23. Carmina e celebrazioni nazionali

Origini del decadentismo

Il termine “Decadentismo” deriva dall’aggettivo dispregiativo attribuito dalla critica ufficiale a coloro che si contrapponevano al mondo borghese, caratterizzati da uno stato d’animo autodistruttivo, tipico atteggiamento bohémien ispirato ai poeti maledetti di

Essendo che in altri paesi viene definita come corrente culturale, il “Decadentismo” è considerato una corrente culturale degli ultimi due decenni dell’Ottocento.

Caratteristiche del decadentismo

Come prima caratteristica della visione decadente, troviamo il rifiuto del Positivismo (realtà regolata da leggi ferree, scienza permette di dominare l’uomo e progresso visto come sconfitta dei mali che affliggono l’umanità).

Infatti per quanto riguarda l’uomo decadente realtà e scienza non possono dare la vera conoscenza del reale in quanto, quest’ultima è misteriosa ed enigmatica.

Sono infatti attirati da ciò che non si può conoscere, ciò che va oltre l’oggettivo e il visibile, e le loro opere sono caratterizzate da empatia (sensazioni proiettate in oggetti nei quali ci si identifica) irrazionale, come ad esempio nei “Fiori del male” di Baudelaire.

Importante nella cultura decadente è l’inconscio, caratterizzato da un distaccato legame con la persona, ciò permette esperienze ineffabili, conoscendo realtà più vere.

Per riuscire a raggiungere ed esplorare il mistero e il segreto della realtà, i decadenti si sottopongono a stati irrazionali dell’esistere, come malattia, follia, nevrosi, delirio, sogno, incubo, allucinazione, i quali possono venire raggiunti anche tramite alcool (es. assenzio) e droghe, i quali permettono di vedere ciò che è al di la delle cose e del vero.

Ulteriore metodo per consentire l’esperienze attraverso l’ignoto si incontra nel panismo, specialmente utilizzato da D’Annunzio e nelle epifanie (raggiunto caricando un’aspetto della realtà insignificante di una intensa misteriosità).

Estetismo e linguaggio poetico

Nasce il fenomeno dell’estetismo: i Decadenti vedono il bello come regolatore della propria vita, circondandosi da oggetti preziosi e raffinati e rifiutando la banalità e la gente comune. Ne sono colpiti Ruskin, Pater, Huysmans, Wilde e D’Annunzio.

Il linguaggio poetico, perde il suo valore comunicativo, acquisendo quello suggestivo e ed evocativo capace di rivelare l’ignoto. Ciò rende le poesie decadenti al limite dell’incomprensibilità rivolte a coloro capaci di accedere al mistero, in alcuni casi estremi la poesie funge da autocomunicazione, il poeta parla esclusivamente a sé stesso.

Questa caratteristica poetica è data dal fatto che i decadenti riconoscono la loro superiorità aristocratica rispetto al mondo borghese, ritenuto mediocre e volgare, tutto ciò incrementato dalla nascita di opere rivolte al grande pubblico, meccaniche e ripetitive, dalle quali i decadenti vogliono distinguersi e differenziarsi.

Tecniche espressive e influenze

Tra le tecniche espressive più importanti incontriamo la musicalità, infatti la musica era vista come la più importante e magica tra le arti, proprio per questo il linguaggio suscita suoni ed echi profondi. Inoltre la sintassi si fa sempre più vaga, imprecisa ed ambigua.

La metafora è molto utilizzata nelle opere decadenti, in quanto riesce a dare una visione simbolica del mondo ed è capaci di istituire legami impensati tra diverse realtà. Infatti contrariamente al rapporto allegorico, nettamente codificato e comprensibile, quello simbolico o decadente è caratterizzato dal mistero e dall’allusione visti in diversi sensi.

Molto utilizzata è anche la sinestesia, cioè l’accostamento di termini provenienti da diverse sfere sensoriali che conservano un rapporto analogo e oscuro.

Tipica dei decadenti è l’ammirazione per le epoche passate di decadenza, come la grecità alessandrina, l’età bizantina, la tarda latinità imperiale, caratterizzato da estrema raffinatezza. Importanza inoltre al lusso e alla perversione (sadismo e masochismo).

Opposte ad immagini di decadenza malattia e morte, troviamo il vitalismo, cioè l’esaltazione della vita, la ricerca del godimento tipica in Nietzsche e il superomismo, cioè l’esaltazione della forza barbarica sui deboli per poter rigenerare un mondo esausto, tipica in Schopenhauer. Il vitalismo superomistico non è che l’altra faccia della malattia interiore e dell’autodistruzione tipica del decadentismo.

Tipologie di artisti decadenti

Possiamo identificare quindi gli artisti decadenti in:

Artisti “maledetti”: come ad esempio Baudelaire, che vive la sua vita in maniera misera, sgretolata e estrema, fino ad arrivare quasi all’autoannientamento tramite alcool e droghe.

Esteti: coloro che trasformano la sua vita basandosi sul culto del bello, andando continuamente alla ricerca di sensazioni squisite e piaceri raffinati, ha orrore della vita comune. (es. Dorian Gray o il superuomo di D’Annunzio).

“Inetti” a vivere: Colui che si sente escluso e incapace di vivere a causa del troppo pensare. Un esempio lo incontriamo nel “fanciullino” pascoliano il quale rifiuta la vita e la condizione adulta.

Donne fatali: Colei che domina e sottomette il maschio fragile e impotente fino a portarlo alla follia e alla distruzione.

Decadentismo e romanticismo

Il Decadentismo viene considerato anche come la seconda fase del Romanticismo, in quanto incontriamo aspetti decadenti nei climi romantici.

Entrambi i movimenti sono caratterizzati da un rifiuto della realtà e da una fuga verso un altrove, ma mentre nel Romanticismo la fuga è verso l’entusiasmo, nel Decadentismo la fuga è caratterizzata da stanchezza e smarrimento.

Il Romanticismo mirava alle vaste costruzioni concettuali e artistiche, mentre il Decadentismo al frammento.

I Romantici erano inoltre impegnati politicamente e socialmente, infatti credevano di poter incidere in qualche modo nella realtà, i Decadenti invece affermano il principio della poesia pura e libera da interessi politici, pratici e morali.

Infine i Romantici ponevano come valore supremo tutto ciò che è immediato e spontaneo, al contrario i Decadenti esaltano ciò che è frutto di un lavoro raffinato e celebrale.

Entrambi i movimenti sono caratterizzati da un rifiuto della realtà, dalle tematiche negative e dalla crisi della coscienza.

Influenze sociali e culturali

Tutti questi fattori sono reazioni collegate alle età caratterizzate da un moderno assetto capitalistico e industriale, caratterizzato dalla Rivoluzione Industriale, dalle trasformazioni sociali e culturali, dalle crisi cicliche di sovrapproduzione che causavano crisi e miseria, dalla “reificazione” (cioè riduzione dei rapporti umani a rapporti tra merci), e dai conflitti di classe scaturiti dal proletariato operaio.

Mentre per quanto riguarda nello specifico gli aspetti decadenti; derivano dalla comparsa della grande industria, dall’impersonalità del nuovo meccanismo produttivo che trasforma l’uomo in un semplice ingranaggio dalla formazione di società di massa, cioè insiemi di persone omologati uguali e uniformati.

A causa di tutto ciò il poeta viene messo da parte e gli vengono assegnate funzioni dequalificate e ripetitive, proprio per questo reagisce accettando la sua diversità (estetismo, maledettissimo, superomismo) e rifiutando un’avvilente massificazione. Questo fenomeno decadente viene individuato in un poemetto di Baudelaire “Lo Spleen di Parigi” nel quale l’autore descrive la ‘Perdita d’aureola’, cioè la sensazione dei poeti in quel periodo.

Conflitti sociali e intellettuali

Intanto nuovi conflitti sociali andavano espandendosi, il proletariato si ribellava sotto influenza marxista, mentre la borghesia andava sempre più assumendo posizioni autoritarie e ultrareazionarie. Tutto questo spinge l’intellettuale ad escludersi e ad emarginarsi in quanto è estraneo agli interessi borghesi e prova orrore per le classi basse.

Sono fenomeni culturali paralleli, ma derivano da differenti gruppi di intellettuali:

Gli scrittori naturalisti: sono integrati nella borghesia e hanno fiducia nel progresso, nel positivismo e nel materialismo.

Gli scrittori decadenti: rifiutano gli ordini esistenti con i loro atteggiamenti maledetti, irrazionali e misticheggianti.

Nonostante le numerose differenze, vi sono anche temi e atteggiamenti comuni, ad esempio nell Naturalista per eccellenza Emile Zola incontriamo un vitalismo panico tipico del Decadentismo, inoltre Huysmans, Decadente per eccellenza, si identifica come seguace di Zola e collabora con quest’ultimo ne “Le Serate di Médan” (Manifesto del Naturalismo).

Anche in D’Annunzia incontriamo tendenze Naturalistiche, date dagli esordi narrativi influenzati dalle novelle verghiane.

Il Decadentismo viene collocato durante la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e nonostante il termine decadente viene visto come dispregiativo e ottiene critiche negative, da esso scaturiscono opere di grande profondità e innovazione.

Opere e autori decadenti

La produzione decadente si ispira al poeta francese Charles Baudelaire, i primi suoi seguaci furono Verlaine, Rimbaud e Mallarmè (capiscuola del Simbolismo francese), mentre in Italia incontriamo D’Annunzio e Pascoli.

Il romanzo più significativo di questo periodo è “Controcorrente” di Huysmans che si basa sulla figura dell’esteta e contiene tutti i temi tipici decadente. Successivamente incontriamo “Il discepolo” scritto da Bourget considerato il primo romanzo psicologico (analisi della dimensione interiore), quest’ultimo si diffonde anche in Italia per mano di D’Annunzio, Fogazzaro, Svevo e Pirandello.

Charles Baudelaire e la sua opera

Charles Baudelaire viene collocato al confine tra l’età Romantica e quella Decadente.

Nasce nel 1821 a Parigi da una famiglia borghese. Trascorre una vita dissipata della bohème letteraria, successivamente fa un viaggio nell’isola Bourbon dove si risveglia in lui un amore per l’esotico e dove ha una relazione con una mulatta di nome Jeanne Duval. Comincia a farsi conoscere frequentando gli ambienti letterari, ma la sua famiglia è preoccupata per la vita sregolata e lo fa quindi interdire. Per mantenersi si dedica alla critica d’arte e guadagna una notevole autorità. Durante il ’48 viene affascinato dalla Rivoluzione e fonda un giornale in cui scrive articoli violenti. Successivamente scopre il narratore americano Edgar Allan Poe nel quale vede una figura fraterna come scrittore maledetto. Nel ’57 pubblica “I fiore del male”. Nel 1867 però muore a causa della sifilide.

Scrive numerose opere in prosa: “La Fanfarlo”: del 1847 nel quale narra della sconfitta umana di un giovane intellettuale (proiezione autobiografica) nella relazione con una ballerina. Successivamente si dedica alla traduzione di opere di Poe per poterle fare conoscere e apprezzare in Europa.

Nel 1860 pubblica “Diari intimi” e “I paradisi artificiali”.

Nel 1869 pubblica “Lo spleen di Parigi” tramite il quale inaugura un genere nuovo caratterizzato da riflessioni saggistiche, parabole morali bizzarre ecc, utilizzando una scrittura musicale.

I fiori del male


Viene pubblica in una prima edizione nel 1857, composta da cinque sezioni: Spleen e ideale, I fiori del male, La rivolta, Il vino e La morte. Suscita numerose critiche da parte del pubblico benpensante, infatti il tribunale ne ordinò il sequestro e alcune opere vennero censurate.

L’autore ricorse quindi a pubblicare una seconda edizione nel 1861, composta da una sezione aggiuntiva; Quadri parigini e con nuovi testi in sostituzione a quelli censurati.

Nella prima parte dell’opera, Spleen e ideale, l’autore cerca di sfuggire dallo Spleen, cioè da uno stato di noia e disgusto per il mondo in cui vive, ricorrendo a protendersi verso l’ideale, la bellezza, la purezza, nonostante ciò egli ripiomba in basso.

Nella seconda parte dell’opera, Quadri parigini, l’autore illustra lo squallore della città industriale.

Nella terza parte dell’opera, Il vino, l’autore spiega le continue ricerche di una via i fuga, di un’evasione procurata mediante l’alcool e l’oppio o mediante il vizio e la sregolatezza dei sensi (quarta parte dell’opera, Fiori del male).

Nella quinta parte, La rivolta, l’autore fa un’appello a Satana a causa di una reazione disperata per accumulo di tentativi mancati nelle evasioni.

Infine nella sesta e ultima parte, La morte, l’autore individua come unica possibilità di evasione il “grande viaggio”, cioè la morte capace di esplorare l’ignoto.

Inoltre anche nel titolo “I fiori del male” si identifica il carattere provocatorio di Baudelaire, infatti l’immagine dei fiori, sempre vista come simbolo di bellezza e gentilezza, viene associata all’idea del male, del vizio e della corruzione.

Nel 1866 Baudelaire pubblica una lettera nella quale spiega che nell’opera “I fiori del male” ha inserito tutto il suo pensiero, tutto il suo cuore, tutta la sua religione e tutto il suo odio mettendo in evidenza la sua contrapposizione agli ideali correnti.

La raccolta si apre con una parte diretta al lettore; cerca infatti di provocarlo usando immagini violente e ripugnanti e riconoscendo la Noia come vizi peggiore di tutti.

Motivi conduttori di quest’opera si possono individuare nell’infelicità, nella disperazione e nella Noia (cioè lo spleen). La Noia viene vista peggiore dell’infelicità in quanto, come afferma nell’apertura al lettore; “il mondo sarà semplicemente ingoiato da uno sbadiglio”.

Simbolismo e poeti simbolisti

Il Simbolismo deriva da “I fiori del male” e da “Corrispondenze” di Baudelaire. La natura viene vista come un tempio ed è simbolo di una realtà più profonda e autentica e solo il poeta è capace di decifrare codesti simboli.

I simbolisti si differenziano dai naturalisti in quanto vedono nella natura, non più una natura che rappresenta l’oggettività del reale, ma una natura che rappresenta una realtà più profonda che non può essere colta dalla logica comune.

Verlaine ritiene che le parole debbano assumere caratteristiche musicali e puntare sull’indefinitezza suggestiva, Rimbaud e Mallarmé sono tra i principali poeti simbolisti.

Molto utilizzata è l’analogia, sopratutto da Mallarmé, cioè l’utilizzo di richiami tra differenti parole che non c’entrano le une con le altre.

Il Simbolismo si manifestò in diverse riviste parigine, tra cui ad es. “Le Symboliste” e in un manifesto “Manifesto del Simbolismo”.

Nasce a Metz nel 1844 da una famiglia della piccola borghesia.

Vita caratterizzata da abuso di alcool e attivi violenza (contro madre e amici).

Nelle sue poesie esalta la musicalità della parola.

Da importanza alla libertà espressiva.

Temi decadenti ricorrenti nelle sue opere (noia esistenziale, senso di impotenza…).

Vita caratterizzata da trasgressione e irrequietudine.

Si dirige in Africa come segno di rifiuto del mondo borghese.

Però poco dopo, gravemente ammalato, ritorna in Francia.

Poeta visto come esploratore dell’ignoto e dell’irrazionale.

Poca verosimiglianza con la realtà, a causa dei “viaggi verso l’ignoto”.

“Un colpo di dadi non abolirà mai il caso”; 1897 opera immagine del Simbolismo.

L’opera spiega un bisogno di verità, irraggiungibile a causa dell’irrazionalità del reale.

Riconosciuto come caposcuola del Simbolismo.

Apre le vie al Futurismo e all’Ermetismo.

Evoluzione del romanzo decadente

Cambiamenti per quanto riguarda il romanzo, infatti perde importanza l’intreccio e la ricostruzione di un sfondo sociale, mentre prevale l’analisi interiore di un personaggio. Non ci si basa più sulla rappresentazione del vero e della realtà oggettiva, ma sull’irrazionale e sull’estetismo, tipiche tematiche decadenti.

Nasce a Parigi nel 1848.

Inizialmente, a fianco a Zola, condivide le idee Naturaliste.

Ma vi si distacca con il romanzo “Controcorrente” del 1884.

E’ un romanzo con un unico personaggio, Des Esseintes, e senza intreccio.

Il protagonista è un aristocratico che respinge la mediocrità e per questo si isola, durante la sua solitudine si dedica a arte e letteratura in una casa al di fuori della città, deve però abbandonare il suo rifugio a causa di turbamenti psichici.

Un critico disse che l’autore id un opera del genere o si uccide o entra in una crisi mistica.

Oscar Wilde e l'estetismo

Nasce a Londra nel 1854.

Vita caratterizzata da atteggiamenti provocatori ed eccentrici con feroci critiche alla morale comune e dalla sua omosessualità, che lo costrinse a lavori forzati.

Il suo romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” è considerata l’opera più rappresentativa dell’estetismo decadente, dove la bellezza viene vista come valore supremo.

Romanzo che ritrae nel protagonista l’autore stesso.

Nasce a Vicenza da una ricca famiglia borghese nel 1842.

Dopo la carriera d’avvocato, si dedica alla stesura di diversi romanzi.

Il suo primo romanzo “Malombra” si concentra sulla psicologia dei personaggi e da atmosfere misteriose e da eventi soprannaturali.

In altri romanzi, tra cui “Piccolo mondo antico”, “Piccolo mondo moderno” e “Il Santo”, emerge e prevale l’analisi di problemi interiori nei personaggi.

Nasce a Nuoro nel 1871.

A causa dell’ambiente sociale e familiare molto chiuso, viene ostacolata nelle sue ambizioni letterarie.

Romanzi caratterizzati da analisi del mondo interiore dei personaggi.

Importante “Elias Portolu” del 1903 nel quale emergi conflitto tra un padre forte e un figlio debole (come già visto ne “La coscienza di Zeno”).

Gabriele D'Annunzio e il superuomo

Nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese e studia in una delle scuole più aristocratiche d’Italia. Pubblica nel 1879 un libretto di versi “Primo vere” che suscita approvazione. Compiuti i 18 anni si trasferisce a Roma dove frequenta l’università, che abbandona però preferendo vivere in salotti mondani e in redazioni di giornali.

Per alcuni anni si dedica al giornalismo, collaborando in giornali come “La Tribuna”.

Acquista molta notorietà in campo letterario, anche a causa di opere narrative che suscitavano scandalo per i contenuti erotici. Noto inoltre per la sua vita scandalosa fatta di continuo lusso con la quale D’Annunzio diventa un’esteta, un’individuo superiore.

Superata la fase dell’esteta, D’Annunzio si lega alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche, utilizzando la fase del superuomo, durante la quale trascorre una vita “inimitabile” caratterizzata da oggetti di lusso e dalle persone che lo circondavano, come Eleonora Duse, attrice con la quale ebbe una storia.

Nonostante il disprezzo verso la massa, ne aveva bisogno e vi era legato, per poter innanzitutto vendere e continuare a rimanere il superuomo di grande notorietà che era diventato.

Nel 1897 tenta l’avventura parlamentare come deputato dell’estrema destra esprimendo il suo disprezzo verso principi democratici e egualitari, con sogni di restaurazione di un regime aristocratico che facesse diventare dell’Italia un’impero.

Nonostante ciò nel 1900 passa allo schieramento di sinistra, infatti principalmente gli importava farsi vedere e dimostrarsi “grande”.

Nel 1898, per imporsi maggiormente sulle masse si dirige verso il teatro con il componimento “Città morta”.

Nel 1910, a causa dei numerosi creditori che lo stavano cercando fu costretto a fuggire dall’Italia e andandosi a rifugiarsi in Francia, dove scrisse anche opere in francese.

Per poter mettere maggiormente in mostra il suo eroismo, decise di prendere parte alla Prima Guerra Mondiale, combattuta principalmente per via aerea.

Successivamente affiancò i ribelli nella città di Fiume, ma venne scacciato da Mussolini.

Durante il periodo fascista, d’Annunzio, decise di ritirarsi in una villa di Gardone, conosciuta anche come “Il Vittoriale”, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita e dove morì nel 1938.

Opere di D'Annunzio

Prendendo in considerazione le opere di d’Annunzio si nota come si sia rifatto ad autori come Carducci e Verga, tipici degli anni ’80. Più nello specifico in “Canto Novo” incontriamo una metrica barbara e una fusione con la natura tipica del Carducci e spunti sociali tipici di Verga.

Prosa corrispettiva del “Canto Novo” è “Terra Vergine” che ha come modello “Vita dei Campi” di Verga. In “Terra Vergine” l’autore presenta la sua terra di nascita, l’Abruzzo, ma al contrario di Verga, non ne presenta le problematiche, ma ne presenta un mondo idillico senza problemi in maniera personale e soggettiva, contraria all’impersonalità verista.

Nel 1902 pubblica le “Novelle della Pescara”, che mantengono sempre un interesse regionale, ma in un mondo idillico e magico, senza problemi.

Si dirige successivamente alla stesura di opere sotto l’influenza di poeti francesi ed inglesi decadenti, come l’”Intermezzo di rime” del 1883, “Isotta Guttadauro” del 1886 e “Chimera” del 1890. Sono opere caratteristiche della fase dell’estetismo dove tutto viene sottoposto alla legge del bello. Propone così una nuova immagine di un’intellettuale, caratterizzato dalla voglia di fuga del mondo borghese e da una voglia di continuo circondarsi di oggetti preziosi e di lusso.

D’Annunzio si accorge però che la figura dell’esteta non avrebbe potuto combattere il mondo borghese e ne avverte quindi la sua fragilità. Nel 1889 viene pubblicato “Il Piacere” che tratta di un’esteta di nome Andrea Sperelli, che altro non è che l’autore stesso,

un giovane aristocratico proveniente da una famiglia di artisti pieno di crisi e insoddisfazioni. E’ in crisi principalmente a causa di un amore diviso tra una donna fatale, Elena Muti e una donna pura, Maria Ferres. Elena è la donna che desidera eroticamente, ma lo rifiuta e a causa di ciò viene abbandonato da Maria, per questo l’autore resta da solo pieno di sconfitte.

Vi sui può individuare però un’ambiguità, in quanto nonostante apprezzi e stimi il protagonista ne critica certi aspetti, per questo non si può affermare che con “Il piacere” d’Annunzio si distacchi completamente dalla figura dell’esteta.

Mettendo in secondo piano gli eventi esterni e mettendo in evidenza l’interiorità del protagonista l’autore crea un romanzo psicologico.

Successiva alla fase dev’estetismo incontriamo la fase nella quale d’Annunzio viene influenzato dal romanzo russo, componendo nel 1891 “Giovanni Episcopo” che tratta di un uomo umiliato e offeso che arriva all’omicidio, e nel 1892 l’”Innocente” dove si esprime un desiderio di rigenerazione e purezza attraverso il recupero del legame coniugale e della vita a contatto con la campagna.

Nella fase della bontà in sintesi si esprime una voglia di recupero dell’innocenza famigliare e di ritorno alle cose semplici con temi tipici decadenti come atmosfere tenebrose e sensi di morte e estenuazione.

D’Annunzio prende in considerazione alcuni elementi del pensiero del filosofo Nietzsche, tra i quali il rifiuto del conformismo borghese, l’esaltazione dello spirito dionisiaco (Dioniso dio dell’ebbrezza), il rifiuto dell’etica della pietà e dell’altruismo, l’esaltazione della volontà di potenza e il mito del superuomo. Con queste ideologie da vita ad una nuova classe aristocratica alla quale si può accedere attraverso il culto del bello e dall’esercizio di una vita attiva ed eroica.

Questa ideologia di superuomo non nega quella precedente dell’esteta, ma la ingloba in se, in quanto attraverso essa si può arrivare ad un’élite di dominio su un mondo vile e meschino, come quello borghese. Inoltre, il “vate” cioè d’Annunzio proclama il suo compito di profeta di un ordine nuovo, tramite le sue opere, ponendo fine alla democrazia, all’egualitarismo e al liberalismo borghese.

Viene scritto nel 1894 e tratta di un esteta, Giorgio Aurispa, affetto da un’oscura malattia interiore che lo svuota dalle energie vitali, per questo va alla ricerca di un nuovo senso della vita libero dal peso del vittimismo e della sconfitta. Rientra così per un breve periodo in famiglia, ma ciò si rivela peggio a causa del conflitto con il padre, ricorre così a ricercare le radici della sua stirpe, accompagnato dalla sua amata Ippolita Sanzio, in un paesino abruzzese, dal quale però rimane disgustato a causa della arretratezza.

Infine, a causa delle forze negative e della lussuria, ricorre al suicidi cin il quale riesce a liberarsi dal male.

Quest’opera si rifà al romanzo psicologico, infatti le vicende si svolgono all’interno di Aurispa che rifiuta il mondo sociale.

Molto presenti sono le immagini simboliche, come ad esempio l’annegamento di un bambino che esprime la paura di morte per acqua.

Scritto nel 1859, segna una svolta ideologica radicale, infatti il protagonista in precedenza debole, tormentato e umiliato, diventa un eroe forte e sicuro. Il romanzo viene inoltre definito il manifesto politico del superuomo. Tratta di un eroe, Claudio Cantelmo, il quale vuole generare il superuomo, ma nel quale si scorgono perplessità e ambiguità che non devono essere temute dal superuomo. Nella sua ascesa, deve trovare una compagna, da scegliere tra le figlie del principe Montaga. Inizialmente si dirige verso Anatolia, la quale però non gli può essere accanto a causa del triste destino della sua famiglia, infatti Anatolia doveva prendersi cura dei fratelli, della madre e del vecchio padre.

Passa quindi alla scelta di Violante, la quale corrisponde alla donna fatale.

Viene pubblicato nel 1900 e tratta di un eroe, Stelio Effrena, che vuole creare un nuovo teatro fondendo poesia, musica e danza, ma le forze oscure vi si oppongono prendendo corpo in una donna Foscarina Perdita, quest’ultima ostacola Stelio con il suo amore nevrotico e possessivo. La vicenda è ambientata nella città di Venezia, raffinata e decrepita. Il romanzo si conclude con l’allontanamento voluto di Foscarina, nonostante ciò però l’eroe non riesce a concludere la sua opera.

Viene pubblicato nel 1910, il protagonista è Paolo Tarsis, al quale si contrappone una donna fatale, perversa e nevrotica di nome Isabella Inghirami. L’eroe durante una ricerca di una via di liberazione, costituita dalla morte, in una precipitazione aerea in mare, compie una grande impresa atterrando sulle coste della Sardegna.

D’Annunzio nel 1898 pubblica la prima opera teatrale “Città morta”. Riteneva che con il teatro si potesse diffondere l’ideologia del superuomo, e vi si avvicina grazie alla relazione con la grande attrice Eleonora Duse.

Rifiuta il teatro borghese del tempo che vedeva in scene opere di vita quotidiana, ma si dedica ad un teatro di poesia che rappresenti personaggi d’eccezione e vicende fuori dal comune con una complessa trama simbolica.

Principali argomenti trattati sono: storia (“La nave”), mito classico (“Fedra”) e drammi ambientati nel presente (“La città morta” e “La gloria”).

Come sempre la donna viene vista come “Nemica” che ostacola l’eroe nelle sue missioni e inoltre viene ostacolato dal mondo borghese meschino.

Nel 1904 viene pubblicata “La figlia di Iorio” che viene definita dall’autore tragedia pastorale. La vicenda è ambientata in un Abruzzo primitivo, magico e superstizioso per il quale viene espresso un gusto decadente per il barbarico e per il primitivo.

E’ una composizione formata dalle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. Ne fanno parte sette libri; i primi tre sono Maia, Elettra e Alcyone, susseguiti da Merope e Asterope, i mancati, anche se annunciati non vennero mai scritti.

Primo libro, raccolta di liriche di oltre ottomila versi. L’autore adotta il verso libero, cioè un susseguirsi di versi senza ordine preciso, con rime ricorrenti senza schema fisso. Tratta di un viaggio in Grecia realmente effettuato da D’Annunzio nel 1895, dove riscopre un passato mitico a causa del quale prova più orrore per le metropoli industriali, ma vi vede anche nuove potenzialità esaltando il capitale, la finanza internazionale, i capitali d’industria e le macchine. Infatti nel mondo moderno scopre una segreta bellezza.

Secondo libro. Si apre una propaganda politica diretta. Struttura ideologica simile a “Maia”, caratterizzata da un futuro di gloria e bellezza e da un presente da riscattare. Una parte dell’opera è dedicata anche alle città del silenzio, città italiane antiche arretrate e lontane dalla vita moderna (tra cui ad esempio Ferrara).

Terzo libro. Tema principale; fusione panica con la natura accompagnato da un atteggiamento di evasione e contemplazione. Comprende 88 componimenti ed è visto come un diario ideale di una vacanza estiva. Vi è l’utilizzo di musicalità e di un linguaggio analogo (somiglianza nei suoni nei diversi versi).

Viene definita “pura” in quanto è libera dall’ideologia del superuomo, ma in realtà ne è la pura rappresentazione, in quanto solo al superuomo possedente una sensibilità privilegiata, è concesso “fondersi” con la natura.

Dopo il 1910 circa, viene abbandonato il genere romanzesco, sia da d’Annunzio che da altri artisti del periodo. D’Annunzio nello specifico, si dedicherà successivamente alla stesura di opere autobiografiche come il “Notturno”, “Le faville del maglio” e “Il libro segreto”. Emerge quindi il vero D’Annunzio genuino e sincero che compone opere caratterizzate da ricordi d’infanzia, sensazioni e confessioni.

Viene pubblicato nel 1921 in un periodo nel quale l’autore era affetto da cecità, quindi le sue sensazioni si basavano sulle rimanenti sfere sensoriali.

Giovanni Pascoli e il fanciullino

Nasce nel 1855 a San Mauro Pascoli da una famiglia di piccola borghesia rurale, il padre era un fattore. Era una tipica famiglia patriarcale, cioè molto numerosa, Pascoli aveva infatti altri nove fratelli. La vita fu sconvolta nel 1867 a causa dell’uccisione del padre a fucilate mentre tornava a casa dal mercato, Pascoli prova però un senso di ingiustizia in quanto i colpevoli non sono mai stati scoperti. Oltre a grande tristezza questo tragico evento creo anche crisi economica accompagnato da ulteriori lutti.

Ricevette sin da piccolo una formazione classica che costituì la base della sua cultura.

Ottiene una borsa di studio all’Università di Bologna, nello stesso periodo subì il fascino delle ideologie socialiste. Partecipò a manifestazioni contro il governo per le quali venne arrestato, ciò non gli fece cambiare ideologia, ma rimase fedele all’idea di bontà e fraternità tra gli uomini. Muore a Bologna nel 1912.

Temi e visione di Pascoli

Provando a ricostruire il “nido familiare” e dimostrando l’attaccamento ai familiare si può notare quanto Pascoli avere una struttura psicologica fragile, incrementata anche dai lutti subiti durante il periodi infantile.

Non ebbe relazioni amorose, perché le vedeva come qualcosa di misterioso e proibito.

Le sue sorelle svolgono una funzione materna nei suoi confronti.

Prova orrore per la vita in città, rimanendo a contatto con il mondo della campagna in una casa in affitto a Castelvecchio di Barga.

Si dedica per parecchi anni all’insegnamento universitario in città come Messina, Bologna, Pisa e poi di nuovo Bologna dove succedette Carducci.

Le sue opere sono caratterizzate da un’influenza positivistiche che lo hanno colpito durante la sua infanzia, ma si nota anche come Pascoli perda fiducia nella scienza, e con l’affermarsi delle tendenze ideologiche e spiritualistiche si conduce verso l’ignoto e il mistero.

Molto importante nelle opere pascoliane sono gli oggetti materiali, in quanto sono caricati di valori simbolici e allusivi che rimandano a qualcosa al di la di esso.

La visione pascoliana può venire quindi paragonato a quella dannunziana escludendone le differenze di tono e si colloca perfettamente nel periodo decadente.

La visione di Pascoli può essere riassunta nel suo ampio saggio “Il fanciullino” pubblicato nel 1897. Il poeta infatti deve vedere le cose come un fanciullino cioè come se le vedesse per la prima volta con ingenuo stupore e meraviglia. Il poeta appare come “veggente” con una vista più acuta di quella degli uomini comuni.

La poesia per pascoli deve essere “pura”, cioè libera da fini e scopi civili, morali e propagandistici. Ma nonostante ciò li può avere, in quanto è assolutamente spontanea e disinteressata e quindi può avere effetti di utilità sociale e morale, come ad esempio ne “Il fanciullino” dove pascoli vi vede un messaggio sociale di fratellanza tra gli uomini e distruzione delle classi sociali, rifiutando la lotta tra classi sociali.

Da ciò deriva il suo pensiero che la poesia è anche nella piccole cose, cioè che le piccole cose sono allo stesso livello di quelle sublimi e lussuose.

Anche dalle opere emerge in Pascoli un socialismo umanitario e utopico che diffonda amore e fratellanza.

Partendo dagli anni universitari, l’autore, fu colpito dal fascino di Bakunin e di Andrea Costa e dalle loro idee anarco-socialiste. Consistevano in proteste contro le ingiustizie, Pascoli nello specifico era stato traumatizzato dall’uccisione del padre, dallo smembramento della famiglia, dai lutti dalla povertà ecc. cioè tutti eventi contro i quali bisognava lottare.

A causa delle sue adesioni venne represso dalla polizia, e condannato a mesi di prigione, dopo una manifestazione anti governativa, dovette abbandonare ogni forma di militanza attiva.

Oltre al problema della repressione, vi si accostava anche una crisi generale delle sinistra, la quale abbandonò le ideologie utopiche di Bakunin dirigendosi verso quelle di

Pascoli però non concordava pienamente, era in disaccordo in quanto non condivideva i conflitti violenti, ma sognava una fratellanza fra tutti gli uomini.

Al base di tutto ciò vi è un elevato pessimismo e la convinzione che chi ha sofferto ma perdona diventa migliore degli altri, quasi una creatura privilegiata.

Era necessario abolire la voglia di aumentare la propria classe sociale, in quanto bisogna aiutarsi e andare d’accordo. Molto importante è la proprietà che è essenziale per internare il suo perfetto ideale di vita, costituito da un piccolo proprietario rurale che gestisce la sua terra circondato dalla sua famiglia.

Pascoli riteneva che il nido individuale dell’uomo fosse la famiglia, mentre, per gli italiani era la nazione, per questo nasce il nazionalismo pascoliano, viene principalmente toccato dal tema dell’emigrazione, del quale l’Italia era afflitta.

Nel 1911 afferma inoltre che la guerra in Libia fosse giusta, mischiando il socialismo umanitario ad un nazionalismo colonialistico.

Pascoli si rivela tra i poeti il più decadente (perchè pieno di angosce), ma rappresenta l’esatto contrario del poeta “maledetto” (cioè colui che rifiuta la realtà borghese) in quanto egli si presenta come un piccolo borghese, felice della sua vita mediocre e difeso dal nido domestico della famiglia.

Nonostante egli affermi che la sua poesia è pura e priva di messaggi al suo interno, vi emerge una funzione pedagogica, basata sulla diffusione del messaggio pascolano dell’accontentarsi del poco, vivendo all’interno della propria classe sociale in paniera pacifica, collaborando con gli altri ceti.

Collegata alla funzione pedagogica, emerge dalla poesia pascoliana la predicazione sociale e umanitaria, e il sogno di un mondo affratellato.

Tutto ciò avviene in modo patetico e zuccheroso, usando un sentimentalismo con tematiche angosciose e tristi (es. bambini morti, piccoli mendicanti, dolori vari…)

Tra i tempi principali delle sue poesie, incontriamo quindi tematiche dirette a lettori appartenenti allo stesso ambito sociale, basato sul mito del “fanciullino” ,del “nido familiare”, dei morti (a causa della perdita del padre, che anche qui assume un valore pedagogico basato sulla necessità di perdono e di concordia).

Pascoli si propone come “vate” (=guida) della popolazione italiana facendo valere i suoi temi fondamentali; proprietà, famiglia, devozione, fedeltà ai morti, accontentarsi del poco, pietà per i sofferenti.

Poesia pascoliana e innovazioni

Il Pascoli inquieto e tormentato si inserisce ben presto nel decadentismo europeo, colui che agli oggetti più comuni attribuisce sensi simbolici e allusivi, che ha la consapevolezza della duplicità della psiche, che comprende l’inadeguatezza della realtà rispetto al sogno, tiene presente la morte.

Pascoli si presenta anche come poeta irrazionale, capace di raggiungere profondità sconosciute attraverso la sua esplorazione irrazionalistica. Viene quindi considerato il più decadente, in quanto riesce attraverso un nuovo modo a rappresentare e vedere aspetti inediti del reale.

Soluzioni formali fortemente innovative che aprono la poesia novecentesca caratterizzate da aspetti differenti:

La sintassi: E’ l’aspetto che colpisce più immediatamente. La coordinazione prevale sulla subordinazione, nella quale sono abbinati più frasi senza un vero rapporto e di norma sono di carattere nominale (cioè una successione di sostantivi e aggettivi).
Vi è un rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, ma prevale il “fanciullino” che trasmette mistero e scompone i rapporti gerarchici abituali, donando un’atmosfera visionaria di sogno.

Il lessico: Mescola differenti stili lessicali, troviamo infatti nei suoi testi termini aulici, termini gergali e dialettali, termini botanici e ornitologici e parole di lingue straniere.

Gli aspetti fonici: Cioè i suoni che compongono le parole. Troviamo in prevalenza riproduzioni onomatopeiche (es. versi d’uccelli, suoni di campane…). Utilizzate anche le assonanze e le allitterazioni.

La metrica: Pascoli impiega i versi più utilizzati in Italia (endecasillabi, decasillabi ecc.), ma con gli accenti sperimenta cadenze ritmiche inedite. Il verso solitamente viene frantumato, tramite enjambements, parentesi, punti di sospensione ecc.

Le figure retoriche: Utilizzato molto da Pascoli è il linguaggio analogico mediante l’impiego di metafore, le quali paragonano due realtà differenti in maniera sorprendente e impensata garantendo un largo spazio all’immaginazione.
E’ inoltre utilizzata la sinestesia.

A causa di queste caratteristiche la poesia pascoliana è considerata parte della poesia novecentesca.

Nel corso degli anni ’90 pascoli lavoro su differenti generi poetici.

Le sue opere infatti non vengono raccolte in base alla data di pubblicazione , am in base alla forma, alla natura stilistica e alla metrica.

Myricae e altre raccolte

Fu la prima vera e propria raccolta delle poesie di Pascoli.

Uscita nel 1891 con 72 componimenti, aumentò negli anni fino ad arrivare al 1900 con un totale di 156 componimenti.

I componimenti sono di carattere molto breve, che trasmettono sensi misteriosi e suggestivi che rimandano ad una realtà ignota ed inafferrabile.

Spesso evocano le idee della morte.

Molto utilizzate sono le onomatopee, attribuisce molto valore simbolico ai suoni ed utilizza una linguaggio analogico con una sintassi frantumata.

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero

resta un aratro senza buoi che pare

dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene

lo sciabordare delle lavandare

con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,

e tu non torni ancora al tuo paese!

quando partisti, come son rimasta!

come l’aratro in mezzo alla maggese.

Nel campo che è per metà arato per metà no

c’è un aratro senza buoi che sembra

dimenticato, in mezzo alla nebbia.

E scandito dalla riva del fiume si sente

il rumore delle lavandaie che lavano i panni,

sbattendoli, e lunghe cantilene:

Il vento soffia e ai rami cadono le foglie,

e tu non sei ancora tornato!

da quando sei partito sono rimasta

come un aratro abbandonato in mezzo al campo.

Le figure retoriche sono: allitterazione in f/s in soffia frasca, anafora (mezzo/aratro), onomatopea in sciabordare (parola che di per sé ha valore onomatopeico), chiasmo (vento soffia/ nevica la frasca), iperbato(e cadenzato…viene), similitudine (come l’aratro in mezzo alla maggese), metafora (nevica la frasca = le foglie cadono come neve dagli alberi), e una sinestesia (in “tonfi spessi”)

San Lorenzo , io lo so perché tanto

di stelle per l'aria tranquilla

arde e cade, perché si gran pianto

nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto :

l'uccisero: cadde tra i spini;

ella aveva nel becco un insetto:

la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende

quel verme a quel cielo lontano;

e il suo nido è nell'ombra, che attende,

Anche un uomo tornava al suo nido:

l'uccisero: disse: Perdono ;

e restò negli aperti occhi un grido:

portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,

lo aspettano, aspettano in vano:

egli immobile, attonito, addita

le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi

sereni, infinito, immortale,

oh! d'un pianto di stelle lo inondi

quest'atomo opaco del Male!

San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero

di stelle nell’aria serena

s’incendia e cade, perché un così gran pianto

risplende nel cielo.

Una rondine ritornava al suo nido:

l’uccisero: cadde tra rovi spinosi:

ella aveva un insetto nel becco:

la cena per i suoi rondinini.

Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende

quel verme a quel cielo lontano;

Anche un uomo tornava alla sua casa:

lo uccisero: disse: Perdono;

e nei suoi occhi sbarrati restò un grido:

portava con sé due bambole per le figlie...

Ora là, nella solitaria casa,

lo aspettano, aspettano invano:

egli, immobile, stupefatto mostra

le bambole al cielo lontano.

E tu cielo, dall’alto dei mondi

sereni, che sei infinito, immortale

inondi con un pianto di stelle

quest’atomo opaco del male!

Le figure retoriche sono: Diversi enjambements (come v. 1/2 o v. 9/10), allitterazioni di “l” e di “r”, sineddoche (v. 5 tetto=nido), similitudine (“…come in croce…” v. 9), metonimia (v. 11 nido=uccellino), sinestesia (v. 15 “…negli occhi un grido…”), anafora (v. 9/17 “Ora è là”). L’ultimo verso “Atomo opaco del male” si riferisce al mondo, cioè alla terra, ed è quindi sia una metafora che una perifrasi.

Dov’era la luna? ché il cielo

notava in un’alba di perla,

ed ergersi il mandorlo e il melo

parevano a meglio vederla.

Venivano soffi di lampi

da un nero di nubi laggiù;

veniva una voce dai campi:

chiù...

Le stelle lucevano rare

tra mezzo alla nebbia di latte:

sentivo il cullare del mare,

sentivo un fru fru tra le fratte;

sentivo nel cuore un sussulto,

com’eco d’un grido che fu.

Sonava lontano il singulto:

chiù...

Su tutte le lucide vette

tremava un sospiro di vento:

squassavano le cavallette

finissimi sistri d’argento

(tintinni a invisibili porte

che forse non s’aprono più?...);

e c’era quel pianto di morte...

chiù...

Mi domando dove fosse la luna,

visto che il cielo aveva un colore chiaro

e il mandorlo e il melo sembravano sollevarsi per vederla meglio.

Da nuvole nere in lontananza

venivano dei lampi

mentre una voce nei campi ripeteva:

chiù.

Solo poche stelle brillavano nella nebbia bianca.

Sentivo il rumore delle onde del mare,

sentivo un rumore tra i cespugli,

sentivo un’agitazione nel cuore

al ricordo di una voce che evocava un dolore antico.

Si sentiva un singhiozzo lontano:

chiù.

Sulle vette dei monti illuminate dalla luna,

soffia un vento leggero

mentre il canto delle cavallette

sembra il suono dei sistri funebri

che bussano alle porte della morte che forse non si aprono più?…

e continua insistentemente un pianto funebre …

chiù…

Le figure retoriche sono: “Chiù (Onomatopea+anafora)”, sinestesia (“Soffi di lampi”), metonimia (“Nero di nubi”), climax ascendente (“voce dai campi/singulto/pianto di morte”), anafora (v. 11/13), similitudine (v. 14), onomatopea (v.12 “fru fru fru”), allitterazioni “s”, “i”, personificazione (v. 3 “ ergersi il mandorlo e il melo”).

Durante la poesia vengono fatte delle domande, il prete esprime incertezza per questo.

Un bubbolìo lontano. . .

Rosseggia l’orizzonte,

come affocato, a mare:

nero di pece, a monte,

stracci di nubi chiare:

tra il nero un casolare:

un’ala di gabbiano.

Il brontolio di un tuono lontano…

L’orizzonte si accende di rosso,

come se fosse di fuoco, verso il mare;

sui monti il cielo è nero come la pece,

in mezzo vi sono nubi bianchi: tra le nuvole nere c’è un casolare:

un’ala di gabbiano.

Le figure retoriche sono: “Bubbolio”=brontolio è una parola onomatopeica,


E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;

il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tacito tumulto

una casa apparì sparì d'un tratto;

come un occhio, che, largo, esterrefatto,

s'aprì si chiuse, nella notte nera.

E cielo e terra si mostrò ciò che era:

la terra ansante, livida, in sussulto;

il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tragico tumulto

una casa apparì sparì d'un tratto;

come un occhio, che, largo esterrefatto,

s'aprì si chiuse, nella notte nera.

Le figure retoriche sono: climax ascendente (ansante, livida in sussulto, ingombro, tragico, disfatto, largo esterrefatto), anastrofe (bianca bianca nel tacito tumulto, una casa apparì…) enjambements (v 6-7), similitudine (“come un occhio s’aprì si chiuse”), ossimoro (“tacito tumulto”), metafora (“terra ansante”, “cielo tragico”).

Gémmea l’aria, il sole così chiaro

Che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,

e del prunalbo l’odorino amaro

senti nel cuore.

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante

Di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante

sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,

odi lontano da giardini ed orti,

di foglie un cader fragile. E’ l’estate,

fredda, dei morti.

L’aria è limpida e splendente come se fosse una gemma e il sole è così chiaro che tu cerchi gli albicocchi fioriti e hai l’impressione di sentire dentro di te l’odore amaro del biancospino.

Ma il rovo è secco, e i rami delle piante senza foglie tracciano un disegno nero nel cielo limpido e senza uccelli in volo. Il passo risuona sul terreno che, indurito dal gelo, sembra vuoto all’interno.

Tutto intorno c’è silenzio, e solo al soffio del ventosi sente lontano dai giardini e dagli orti il rumore delle foglie secche che cadono dagli alberi e vengono calpestate. È l’estate di San Martino.

Le figure retoriche sono: sinestesia (“odorino amaro”), ossimoro (“estate fredda”).

Poemetti e temi pascoliani

Sono composti dai “Primi Poemetti” del 1904 e dai “Nuovi poemetti” del 1909.

Si tratta di componimenti più ampi rispetto a quelli di

Subentrano per la prima volta le terzine dantesche.

Come in Myricae assume una posizione rilevate la vita di campagna, infatti i componimenti prendono il nome dalle varie operazioni del lavoro dei campi, come ad esempio “La sementa”, “L’accestire”, “La fiorita” o “La mietitura”.

Mediante ciò il poeta vuole celebrare la piccola proprietà, in contrapposizione alla realtà contemporanea, che rappresenta un rifugio rassicurante.

In realtà, il periodo che Pascoli ammira è un periodo passato, che attualmente sta scomparendo, ma nonostante ciò è differente da quello che veniva offerto da Verga.

Per questo si può affermare che il mondo ideale per Pascoli è utopico e idillico, in quanto ignora ne ignora gli aspetti più crudi, come la miseria e la degradazione.

Ulteriori temi trattati nei “Poemetti” sono inquietanti e torbidi (“Il vischio”, “Digitale purpurea”, “Suor Virginia”), oppure che rimandano alla memoria (“L’aquilone”) o che trattano di emigrazione, alla quale Pascoli teneva molto (“Italy”).

Canti di Castelvecchio e poemi conviviali

Vengono pubblicate nel 1903.

Sono definiti dall’autore stesso “Myricae”; sono quindi volti a continuare e a basarsi sulla linea della prima raccolta.

Anche qui troviamo immagini della vita di campagna, e infatti come in Myricae compare una misura breve e non narrativa. Ancora una volta ricorrere il tema della tragedia familiare e dei morti e del nido rassicurante e consolante. Non mancano neanche i temi più inquieti e morbosi (eros e morte).

Le figure retoriche sono: personificazione (“là sola una casa bisbiglia”, “Un'ape tardiva sussurra”, “Passa il lume su per la scala”), similitudine (“come gli occhi sotto le ciglia”), metonimia (“le farfalle crepuscolari”), sinestesia (“l’odore di fragole rosse” sensazione visiva "rosse" + sensazione olfattiva “profumo”).

I “Poemi Conviviali” hanno un carattere completamente diversi dai “Canti di Castelvecchio”. Prendono il nome da “Il Convito” cioè la rivista sulla quale la maggior parte dei componimenti era comparsa.

Tratta di temi estetizzanti, infatti vi troviamo poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antichi. Il linguaggio è raffinato e mira ad imitare lo stile della poesia classica, con alcuni cenni a quella parnassiana.

Carmina e celebrazioni nazionali

I “Carmina” sono 30 poemetti e 71 componimenti brevi, scritti da pascoli quando si trova ad Amsterdam, grazie a questi riuscì a vincere numerose medaglie d’oro.

Sono dedicati agli aspetti più marginali della vita romana e hanno come protagonisti personaggi umili, gladiatori o schiavi.

Nelle ultime raccolte Pascoli assume le vesti di celebratore delle glorie nazionali propagandando messaggi morali e vivili. Oggi giorno risultano illeggibili (artificiosi e virtuosi).

Pascoli fu anche un saggio e un critico.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'origine e il significato del termine "Decadentismo"?
  2. Il termine "Decadentismo" deriva da un aggettivo dispregiativo usato dalla critica ufficiale per descrivere coloro che si opponevano al mondo borghese, caratterizzati da un atteggiamento autodistruttivo e bohémien, ispirato ai poeti maledetti come Baudelaire. Gli intellettuali di questo movimento lo adottarono polemicamente, attribuendogli un privilegio spirituale.

  3. Quali sono le principali caratteristiche del Decadentismo?
  4. Il Decadentismo si caratterizza per il rifiuto del Positivismo, la ricerca di una conoscenza del reale che va oltre l'oggettivo e il visibile, e l'importanza dell'inconscio. Gli artisti decadenti sono attratti da stati irrazionali come malattia e follia, e utilizzano l'estetismo e un linguaggio poetico suggestivo per esprimere il mistero della realtà.

  5. Come si manifesta l'estetismo nel Decadentismo?
  6. L'estetismo nel Decadentismo si manifesta attraverso la ricerca del bello come regolatore della vita, il rifiuto della banalità e della gente comune, e l'uso di un linguaggio poetico che perde valore comunicativo per acquisire un valore suggestivo ed evocativo. Gli esteti si circondano di oggetti preziosi e raffinati, distinguendosi dalla mediocrità borghese.

  7. Quali sono le tecniche espressive utilizzate dai decadenti?
  8. I decadenti utilizzano tecniche espressive come la musicalità del linguaggio, la metafora, la sinestesia e l'analogia per creare una visione simbolica del mondo. Queste tecniche permettono di istituire legami impensati tra diverse realtà e di evocare il mistero e l'allusione.

  9. Quali sono le influenze culturali e le reazioni sociali al Decadentismo?
  10. Il Decadentismo è influenzato dalla seconda fase del Romanticismo e si oppone alla realtà borghese e alla massificazione causata dalla Rivoluzione Industriale. Gli intellettuali decadenti si emarginano dalla società, rifiutando l'omologazione e accettando la loro diversità attraverso l'estetismo e il superomismo.

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