Le raccolte poetiche: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
È la poesia che dà il titolo all’ultima esile raccolta di versi pavesiani, racchiudendone le motivazioni esistenziali e poetiche.Metro: due strofe di novenari
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
[C. Pavese, Le poesie, cit.]
Emerge da questi versi una realtà cruda e desolata. È la morte stessa a recare su di sé, come ultima traccia, gli occhi della persona amata. Non resta altro di un rapporto sempre più labile con la vita, destinato a non trovare più espressione, a cancellarsi e a scomparire nel silenzio.
L’immagine dell’abisso, che porta con sé i fantasmi dell’esistenza, coincide con la perdita di ogni illusione e il definitivo distacco.
Il ripiegamento esistenziale, anche per quanto riguarda gli sviluppi del grande tema poetico di amore e morte, comporta un ritorno alla tradizione, sia per quanto riguarda la misura regolare della versificazione, sia a proposito di specifichi luoghi.
Le opere narrative
Il primo romanzo che introduce la dimensione del mito è Paesi tuoi (1941), in cui le colline delle Langhe sono rappresentate come un mondo primitivo e selvaggio. Vicino alle istanze politicamente impegnate del Neorealismo è invece Il compagno (1947), che narra il maturare della coscienza di classe da parte di un personaggio interamente positivo.Il tema della solitudine esistenziale è al centro del Carcere (1948), che trae spunto dalla vicenda del confino in Calabria. Il rapporto tra l’individuo e la storia è indagato in uno dei migliori romanzi di Pavese, La casa in collina (1948), incentrato sul dramma, dai risvolti autobiografici, di un giovane intellettuale che sceglie il disimpegno della lotta partigiana per orrore della guerra.
Nella trilogia di racconti La bella estate (pubblicata nel 1949 e comprendente La bella estate, Il diavolo sulle colline e Tra donne sole) è rappresentate la crisi di una borghesia priva di ideali in vicende costruite su una trama di elementi mitico – simbolici.
Ancora il mito è il motivo ispiratore dei racconti di Feria d’agosto (1945), caratterizzati da uno stile lirico, e dei Dialoghi con Leucò (1947), ispirati alla mitologia classica.
La luna e i falò
Le tematiche di fondo dell’opera pavesiana sono riassunte nell’ultimo romanzo, La luna e i falò (1950), tra le migliori espressioni della narrativa del secondo Novecento. La vicenda ha come protagonista – narratore un trovatello, soprannominato Anguilla, che dopo essere emigrato in America ritorna nel paese delle Langhe dove è cresciuto. Il proposito di sistemarsi definitivamente nella terra d’origine, tuttavia, fallisce: le persone da lui conosciute sono quasi tutte scomparse e i luoghi stessi sembrano mutati.Il mito dell’infanzia, rappresentati dai falò delle feste paesane, appare irrimediabilmente infranto, spazzato via da altri falò: quello che distrugge la casa dove Anguilla aveva trascorso l’infanzia e quello appiccato al cadavere di Santa, la figlia del ricco possidente presso cui il protagonista aveva lavorato per anni, giustiziata dai partigiani come spia.
La scoperta della tragica fine della ragazza conclude la storia, confermando la sconfitta del mito e facendo coincidere il fallimento esistenziale del protagonista con quello di un’intera società.